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Il retroscena

Letta e il congresso Pd: "Ora non spariamoci sui piedi". Spunta anche De Micheli

Non c'è solo il governatore Bonaccini pronto a candidarsi, ma anche l'ex ministra delle Infrastrutture: "Da sempre me lo chiedono, questa volta potrei stupirvi"

Simone Canettieri

Il segretario blocca il dibattito interno e invita il partito a pensare alle comunali e alla partita del Quirinale. Poi è pronto a giocare d'anticipo convocando la conta

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“Non spariamoci sui piedi”. A chi gli parla del congresso del Pd, Enrico Letta in questi giorni risponde così. Una metafora da Sciences Po. Senza essere triviale, ricorrere al tafazzismo che alberga nel palazzone del Nazareno e nemmeno nella morettiana formula del “continuiamo così, facciamoci del male”. Il messaggio comunque è chiaro.

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“Non spariamoci sui piedi”. A chi gli parla del congresso del Pd, Enrico Letta in questi giorni risponde così. Una metafora da Sciences Po. Senza essere triviale, ricorrere al tafazzismo che alberga nel palazzone del Nazareno e nemmeno nella morettiana formula del “continuiamo così, facciamoci del male”. Il messaggio comunque è chiaro.

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E però è un fatto politico che un pezzo del suo partito (Base riformista) guardi al congresso con una certa insistenza, un’ansia figlia della paura di scomparire dalla liste dalle prossime politiche. Temono la pulizia etnica. Così come non sfugge a Letta il trambusto che proviene dalla sinistra del Pd dove – vedi l’ideologo Goffredo Bettini, ma anche il vicesegretario Peppe Provenzano – non si fa altro che prendere distanze dall’attuale governo Draghi e preconizzare il prima possibile (con l’elezione del capo dello stato) la fine di questa esperienza. E’ la componente “vedovi del contismo”. In questo fondale di cartapesta, poi, si agitano i nomi di chi potrebbe in qualche modo correre per guidare il Pd: gli anti-Letta. Il primo nome, il più robusto, è quello di Stefano Bonaccini, l’eterno quasi candidato. Dieci giorni prima delle dimissioni di Nicola Zingaretti, il governatore dell’Emilia-Romagna subì un pressing molto forte per tentare la scalata al partito e rompere gli indugi. Non ce ne fu bisogno. Una dinamica che si ripete anche in questo periodo. Tuttavia Bonaccini continua a dire a tutti che “non sarò mai l’uomo di una corrente”. E dunque se davvero cederà alle lusinghe, non lo farà solo per conto di Base riformista. Gli ex renziani sono ormai minoranza in direzione nazionale, ma affollano i gruppi parlamentari: un effetto ottico. 


In questo tourbillon, di candidati ne girano anche altri. Il primo è quello di Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, che ciclicamente viene tirato in ballo. Poi c’è una donna: Paola De Micheli, ex ministro delle Infrastrutture del governo Conte 2. Al Foglio la deputata del Pd dice: “E’ vero. E non è la prima volta che nel partito mi chiedono di candidarmi. Magari questa volta vi stupirò”.

 

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De Micheli poi aggiunge che, secondo lei, il congresso difficilmente si svolgerà prima delle politiche. Chissà. Questo è lo scenario, di massima. E poi c’è Letta che appunto non vuole che il suo partito si faccia male agli arti inferiori con un’arma da fuoco. Il segretario del Pd adesso è concentrato sulle amministrative di ottobre e sulla sfida personale alle suppletive di Siena. Sulle comunali  non azzarda pronostici, ma è sicuro che i dem sono “competitivi” nei capoluoghi di regione, le sfide che fanno titolo. Una precondizione non banale, “visto il partito che ho ereditato”. Dilaniato cioè dalle lotte intestine, fatali per Zingaretti.

 

Poi, certo, c’è la partita del Colle, la grande variabile. Letta continua a dire che Draghi deve continuare il suo mandato fino alla scadenza del 2023, ma allo stesso tempo non crede che in caso contrario la legislatura possa interrompersi prima dell’epilogo naturale. Il segretario del Pd per non bruciare la troppa carne al fuoco per ora cerca di capire come andranno le amministrative e poi proverà a portare il suo partito, senza traumi, nel grande gioco del Quirinale, sperando che ne scaturisca un quadro gestibile. Poi alla fine potrebbe essere proprio Letta a giocare d’anticipo e indire un congresso straordinario. Senza aspettare che siano gli altri, o meglio loro, a chiederlo.   

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