il retroscena

Così il Pd e la riforma della giustizia finiscono ostaggio degli ultras del M5s

L'ipotesi di un'entrata in vigore differita della riforma: fino al 2024 tre anni per l'Appello, poi si passa a tre

Valerio Valentini

La mediazione di Conte s'infrange su Bonafede. Letta ci ripensa e prova ad allontanarsi dai grillini, che picconano la Cartabia. La delusione della Guardasigilli di fronte al sostegno dem al sabotaggio messo in atto dal suo predecessore. Poi Via Arenula offre un estremo compromesso

Che per giungere alla mediazione non sarebbero bastate poche parole concilianti dette all’uscita da Palazzo Chigi dopo l’incontro con Mario Draghi, Giuseppe Conte deve essersene accorto subito, lunedì. Perché di lì a un paio d’ore i deputati grillini della commissione Ambiente ufficializzavano il loro sdegno in un comunicato. “Ma come? Noi qui a combattere contro Cingolani sul dl ‘Semplficazioni’, e Giuseppe che gli dà piena fiducia?”. Al che è toccato al ministro Stefano Patuanelli chiedere agli ultras ecologisti di rientrare nei ranghi: “Lo capite che così indebolite Conte, non Cingolani?”. E chissà allora cosa deve aver pensato l’ex premier quando ieri mattina, dopo le rassicurazioni della sera prima, è stato ufficializzato il numero di emendamenti al ddl giustizia: 916.

 

Un atto di deliberata, imperterrita ostilità (considerando che a sera ne arriveranno altre centinaia, di emendamenti) che induce qualche ripensamento perfino nel Pd. “E’ chiaro che se si intestardiscono sulla strada del Vietnam parlamentare, noi non li seguiamo”, dice Alfredo Bazoli, capogruppo dem in commissione Giustizia, che evoca  lo stesso canovaccio verificatosi lunedì notte in commissione Ambiente: quando, dopo il fallito tentativo di mediazione di Conte, il M5s s’è incapricciato sui suoi emendamenti bandiera, ed è finito col votarseli da solo, in un gesto di rivendicata solitudine. Del resto, che a seguire le bizze del grillismo sulla giustizia si rischia il collasso, deve essersene reso conto lo stesso Enrico Letta, se è vero che ieri mattina, a colloquio con le sue capogruppo, ha riconosciuto l’urgenza di correggere la rotta, spiegando che non le rimostranze del M5s, ma le preoccupazioni espresse da sette corti d’Appello italiane, hanno spinto il Pd a chiedere un supplemento di riflessione sulla prescrizione.

 

 Ma se la Cartabia è rimasta così delusa dalla scantonata del Nazareno è perché in quella scelta di letta c’ha visto una forse involontaria ma comunque pericolosa connivenza del Pd con chi in questi mesi, più che nel cercare un’intesa, s’è speso per sabotarla. Perché Via Arenula aveva chiesto sin da metà maggio al M5s di produrre un documento con le proprie proposte di superamento dello stop alla prescrizione. E però Alfonso Bonafede, troppo preoccupato di rottamare da solo la riforma che portava il suo nome, ha preferito aspettare. Così da tenersi le mani libere per poter poi dire che no, il disegno di revisione del processo penale era una vergogna. “Li avete sentito Gratteri e De Raho?”, ripeteva non a caso ieri l’ex ministro ai suoi colleghi, col tono di chi vuole fomentare gli animi, rilanciando le  critiche lanciate dai due magistrati chiamati dallo stesso M5s a commentare la riforma Cartabia in audizione alla Camera. E tanto basta a rinfocolare le escandescenze grilline, “a mettere a rischio il governo, che coi 5s che si sfilano - avverte Bazoli - finirebbe con l’essere troppo schiacciato sulle posizioni di Salvini”.

 

E forse è anche per questo che alla fine un gioco di diplomazia che coinvolge anche Palazzo Chigi e il Quirinale arriva a benedire un’ulteriore mediazione, a cui la Cartabia acconsente con l’animo di chi non vorrebbe. E cioè un’entrata differita dello stop alla prescrizione, con l’estensione a tre anni del tempo previsto per la celebrazione  del rito d’Appello fino al 2024, quando poi la riforma andrebbe a regime e i termini per il secondo grado verrebbero ridotti a due anni. Ipotesi ancora da definire, nel momento in cui Conte, da poco passate le 20, apre l’assemblea dei parlamentari del M5s. Col dubbio di dover confutare i suoi esagitati deputati che sabotano l’intesa, oppure il se stesso che ventiquattr’ore prima quell’intesa diceva di auspicarla. 

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.