L'autocommissariamento

"Sulla Lombardia non si molla". L'accordo tra Salvini e il Cav. per puntellare Fontana

Valerio Valentini

Il capo del Carroccio ha già costruito una cintura di sicurezza per mettere sotto tutela Palazzo Lombardia. La centralità di Moratti e Guidesi. Il pressing del Pd, le valutazioni di Palazzo Chigi sul commissariamento della regione. E la Gelmini nel mezzo

L’accordo è chiaro, di quelli che non necessitano di essere rinnovati. “Sulla Lombardia non si indietreggia”, si ripetono a vicenda Matteo Salvini e il Cav. Come a ribadire che no, di lasciar commissariare la Lombardia non se ne parla proprio. Anche perché, a ben vedere, un commissariamento c’è già stato. Nel senso che il rimpasto di gennaio ha già creato intorno al periclitante Attilio Fontana, che già confessa ai suoi di non volersi ricandidare, una sorta di cintura di sicurezza. Che vede, dal lato forzista e da quello leghista, la centralità crescente di Letizia Moratti e Guido Guidesi.

 

L’una, chiamata a gestire la Sanità coi galloni di vicepresidente, agisce ormai da plenipotenziaria. L’altro, neo assessore allo Sviluppo, fa da cinghia di collegamento con Roma e si occupa del lato economico della crisi. E non che le tensioni manchino, ovviamente. Basta origliare tra le chiacchierate non proprio benevoli che si scambiano i consiglieri di centrodestra, rimpallandosi le responsabilità della figuraccia. Coi forzisti vicino a Francesco Ferri, la fu giovane promessa azzurra messo a dirigere Aria, che non ci stanno ad accollarsi la colpa del fallimento della super agenzia regionale che dovrebbe sovrintendere all’attuazione del piano vaccinale. E i leghisti che vedono il loro assessore al Bilancio, Davide Caparini, mettere le mani avanti e ammettere che sì, la creazione di Aria per fusione delle tre precedenti partecipate regionali fu un’idea sua, ma “se non si fosse fatta staremmo messi ben peggio”.

 

E insomma di valide ragioni per dare battaglia politica, a Milano e dintorni, ce ne sarebbero eccome. Ma l’assalto dell’opposizione almeno finora non è stato granché, se è vero che ieri i senatori lombardi del Pd hanno preso da parte Enrico Letta per chiedergli una mano, “perché il caso Lombardia va sollevato a livello politico sul piano nazionale”. Lo stesso Daniele Marantelli, varesotto eretico, membro uscente della segreteria dem, ha deciso di “lanciare un appello ai ministri Orlando e Guerini - ci spiega - perché prendano un’iniziativa”. Solo che l’opposizione più efficace alla regione, per consuetudine consolidata da tempo, era il sindaco di Milano a farla. Ma con Beppe Sala costretto a una non belligeranza istituzionale in virtù dell’emergenza pandemica, il centrosinistra lombardo si ritrova abbastanza afono. E così anche la proposta avanzata dal segretario regionale dem, Vinicio Peluffo, che chiede il commissariamento di Palazzo Lombardia sulla gestione del piano vaccinale, cade un po’ nel vuoto. E non perché, al Nazareno, l’ipotesi non sia stata vagliata nelle scorse ore. “Noi da settimane chiedevamo a Fontana, inascoltati, di affidarsi al sistema di Poste”, scuote il capo la deputata milanese Lia Quartapelle, fresca di nomina nella segreteria nazionale di Letta. “E invece ci ritroviamo con una regione che è quartultima nel rapporto tra cittadini e vaccinati e quintultima per numero di dosi somministrate agli over 80. Nello scaricabarile stavolta è toccato ai vertici di Aria - prosegue - ma è inaccettabile. I ritardi della Lombardia, regione più ricca e popolosa d’Italia, sono un caso nazionale. Per cui o dalla giunta di Fontana chiedono un aiuto, o un aiuto in qualche modo bisognerà pur darglielo”.

 

E dipendesse dal generale Francesco Figliuolo, lui sarebbe pronto a offrirsi alla causa. Solo che tra i poteri del commissario straordinario, hanno notato a Palazzo Chigi, non c’è quello di commissariare le regioni nella gestione del piano vaccinale. E dunque Maria Stella Gelmini, ministra per gli Affari regionali che nella faccenda è parte in causa anche come maggiorente azzurra in Lombardia, e che dunque assai difficilmente potrebbe maneggiare un atto che sancisse la subordinazione della sua giunta al governo romano, studia semmai strade alternative, assai più contorte, per prevedere un supporto da parte delle strutture della Difesa ma solo in caso di richiesta da parte delle regioni. Anche perché sulla Lombardia vige un accordo tra Salvini e il Cav., frutto del rinnovato accordo che ha portato al rimpasto d’inizio anno. Con la Moratti, vicepresidente sempre meno vice, che è sempre più punto di riferimento, nel bene e nel male, per i funzionari regionali coinvolti nel piano vaccinale. E Guidesi, uomo forte del Carroccio di governo cresciuto alla scuola di Giancarlo Giorgetti, che tiene sempre più le redini della sponda leghista della giunta su indicazione di Salvini. Fontana, non proprio in forma smagliante davanti alle telecamere, per ora lascia fare. E Bertolaso, messo ai margini della stanza dei bottoni di Palazzo Lombardia, mugugna non poco. Il commissariamento insomma non ci sarà. Il commissariamento in fondo c’è già stato.

  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.