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Riformare la Pubblica amministrazione con la discontinuità

Giacinto Della Cananea

E’ importante che il nuovo presidente del Consiglio abbia scelto Renato Brunetta per questo ministero. A patto di discostarsi dalla linea fin qui seguita

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Nell’assumere l’incarico per la formazione del nuovo governo, il presidente Draghi ha mostrato piena consapevolezza della grave situazione che l’Italia sta affrontando. Ha indicato i problemi principali: “Vincere la pandemia, completare la campagna vaccinale, offrire risposte ai problemi quotidiani dei cittadini, rilanciare il paese” (3 febbraio). Ha fatto riferimento alle risorse straordinarie messe a disposizione dall’Unione europea. Nei successivi colloqui con gli esponenti delle forze politiche e sociali ha indicato tre grandi riforme, la cui realizzazione è indispensabile per risolvere quei problemi e cogliere le opportunità. Tali riforme riguardano la Pubblica amministrazione, il fisco e la giustizia civile.

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Nell’assumere l’incarico per la formazione del nuovo governo, il presidente Draghi ha mostrato piena consapevolezza della grave situazione che l’Italia sta affrontando. Ha indicato i problemi principali: “Vincere la pandemia, completare la campagna vaccinale, offrire risposte ai problemi quotidiani dei cittadini, rilanciare il paese” (3 febbraio). Ha fatto riferimento alle risorse straordinarie messe a disposizione dall’Unione europea. Nei successivi colloqui con gli esponenti delle forze politiche e sociali ha indicato tre grandi riforme, la cui realizzazione è indispensabile per risolvere quei problemi e cogliere le opportunità. Tali riforme riguardano la Pubblica amministrazione, il fisco e la giustizia civile.

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Tutti, o quasi, sembrano d’accordo, in particolare, con la riforma amministrativa, ritenuta indispensabile per effettuare gli investimenti e per rilanciare così lo sviluppo economico, l’occupazione, i diritti civili e sociali (per esempio, per l’accesso alla banda larga). Ma può essere di qualche utilità ricordare che, negli anni scorsi, non è stato così. Il primo governo Conte ottenne la fiducia del Parlamento, il 5 e 6 giugno 2018, su dichiarazioni programmatiche volte a realizzare l’ambizioso “cambiamento” annunciato dal “contratto di governo”. Esse enunciarono il proposito di far sì che l’amministrazione non fosse “un avversario da cui difendersi, ma un alleato con cui cooperare”, segnatamente per gli imprenditori e i professionisti. Però, a ben guardare, quel programma si limitò a stabilire obiettivi generali, se non generici, in termini di diritti da tutelare (il reddito di cittadinanza), lotta alla corruzione, sanzioni da comminare (agli evasori). Non considerò l’amministrazione nel suo complesso, né si pose la questione di come modernizzarne l’organizzazione e il funzionamento, al di là del riferimento alla digitalizzazione. Ebbe come ministro per la pubblica amministrazione un ottimo avvocato, Giulia Bongiorno, che si concentrò su alcuni temi, come i concorsi pubblici e la mobilità del personale. Non mancarono le critiche, per esempio da parte di Giuliano Cazzola. I risultati concreti furono pochi, anche per la breve vita dell’esecutivo.

 

In quello successivo, le linee programmatiche relative alla politica generale del governo, approvate dal Parlamento il 4 settembre 2019, misero in primo piano “le misure di deburocratizzazione e di semplificazione amministrativa”, che avrebbero dovuto essere prese con la legge di Bilancio per il 2020, che – però – fu predisposta tardivamente e non introdusse misure concrete. Esse furono di nuovo annunciate all’inizio del 2020, in un piano della nuova titolare della Funzione pubblica, Fabiana Dadone. Ma, quando si manifestò l’emergenza sanitaria, non se ne fece più nulla. L’unico ambito nel quale si tornò a parlare della semplificazione dei procedimenti amministrativi fu quello delle opere pubbliche. Purtroppo, com’è stato osservato da Sabino Cassese, il decreto legge diretto alla semplificazione si limitò ad alcuni interventi, mentre si riempì lungo il percorso di norme assai eterogenee, tanto da indurre il presidente della Repubblica a chiedere ai presidenti delle Camere maggiore attenzione, per il futuro.

 

Dunque, più della metà della legislatura è stata contraddistinta da programmi ambiziosi e da annunci, privi – però – d’una visione adeguata della complessità d’una pubblica amministrazione che ha tre principali difetti: condiziona innumerevoli attività dei cittadini, degli imprenditori, dei professionisti, senza avere le competenze e le risorse tecnologiche per agire tempestivamente; la sua azione è irrigidita dalle troppe leggi; deve interagire con una società in rapida evoluzione, ma ha dirigenti e impiegati con un’età media elevata. Di fronte a difetti così seri, che dipendono da una lunga serie di errori commessi in passato, bisogna guardarsi sia dalla tentazione di alcuni politici – come l’ex ministro Vincenzo Visco – di addossare colpe agli altri (i burocrati, i magistrati), sia da quella che Luigi Einaudi definiva con preoccupazione “la via breve”, cioè il dare per scontato che vi siano soluzioni semplici per problemi complessi.

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Per questo motivo è importante che Mario Draghi abbia messo la riforma della Pubblica amministrazione al centro dell’agenda politica e abbia scelto Renato Brunetta, che ha un’adeguata conoscenza dei vari nodi da sciogliere. E’ da auspicare che il ministro si discosti fin dall’inizio dalla linea fin qui seguita, perché la complicazione ha prevalso sulla semplificazione, con decreti costellati da numerosi e lunghi articoli. Il governo Ciampi, nel 1994, semplificò ben cento procedimenti amministrativi, ricorrendo ai regolamenti di delegificazione. Si può fare altrettanto in tempi rapidi, se il dipartimento tornerà a occuparsi della funzione pubblica nel suo insieme, nell’interesse di tutti.

 

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