Renato Brunetta, 70 anni, nuovo ministro per la funzione Pubblica (LaPresse)

La polemica

Brunetta contro lo smartworking nella pa? Falso. Ecco cosa aspettarsi dal nuovo ministro

Ruggiero Montenegro

Una vecchia intervista rilanciata su giornali e social network scatena il putiferio. Poi arriva la rettifica. Vista la proroga dello stato d'emergenza, fino al 30 di aprile non ci dovrebbero essere cambiamenti. Ma quali sono davvero gli obiettivi del nuovo inquilino di Palazzo Vidoni?

“Chi ha interesse ad avvelenare i pozzi? Chi ha interesse a giocare con gli equivoci?” È quello che si è chiesto Renato Brunettaneo ministro per la Funzione pubblica, vittima suo malgrado di una svista del Corriere della Sera che l'ha lasciato “sconcertato e dispiaciuto”. Ieri infatti il giornale di via Solferino ha rilanciato un'intervista dell'estate scorsa in cui l'esponente di Forza Italia si scagliava contro il telelavoro: “Basta smart working, riapriamo tutto. I dipendenti pubblici devono tornare in ufficio”

  

   

Un abbaglio, insomma, che Brunetta ha definito inspiegabile e a cui sono seguite le scuse del Corriere, al diretto interessato e ai lettori. Una notizia che ha fatto subito il giro di redazioni, telegiornali e siti internet suscitando grande scalpore e forti polemiche, probabilmente immeritate. Se non altro perché il 22 giugno, data in cui il ministro ha rilasciato l'intervista a TgCom24 il contesto era ben altro, con l'estate appena iniziata e sostanziali differenze di contesto, sia a livello epidemiologico (si andava verso la riapertura dell'Italia) sia a livello politico. Tuttavia, pur tralasciando il discutibile tempismo e i legittimi dubbi del ministro, resta in piedi l'interrogativo più importante: quali sono gli obiettivi del nuovo inquilino di Palazzo Vidoni? In quale direzione si muoverà il governo Draghi in materia di pubblica amministrazione?
     

Il tema della pubblica amministrazione ricoprirà uno spazio fondamentale nelle prossime azioni del governo. La riforma del settore è infatti fondamentale anche per accedere ai miliardi del Recovery Fund ed è stata oggetto di raccomandazioni specifiche da parte dell'Europa verso l'Italia. Ma per sapere cosa ha in testa il nuovo ministro, bisognerà attendere ancora. Per il momento, infatti, Brunetta ha preso tempo, trincerandosi dietro il silenzio istituzionale, in “doveroso riserbo, e in attesa del discorso programmatico alle camere del presidente Draghi”, che si rivolgerà al Parlamento domani. Nel frattempo restano alcuni spunti che il nuovo numero uno della pa ha lasciato dietro di sé nelle ultime settimane, oltre a quanto si può dedurre dalla sua esperienza precedente nello stesso ruolo, quando fu protagonista della cosiddetta riforma “anti fannulloni”.

 

Il Brunetta pensiero

Nell'ultimo mese, Brunetta ha invocato in più di un'occasione l'arrivo alla guida del paese dell'ex presidente Bce, l'uomo "giusto da cui ripartire" e a cui affidare gli investimenti che toccheranno all'Italia. Un uomo in grado, di “azzerare la competizione partitica” e dunque di guidare un esecutivo all'insegna della collaborazione tra forze politiche. Lo stesso solco entro cui, possiamo immaginare, cercherà di muoversi anche il neo ministro per realizzare la tanto invocata semplificazione, per mettere mano alla burocrazia, e ridurre il formalismo del paese. Più nello specifico, proprio una settimana prima della nomina, in un intervento su Huffinghton Post, Brunetta ha messo in fila le principali necessità italiane, tra cui la riforma del codice degli appalti, e soprattutto “della pubblica amministrazione, con il silenzio-assenso, poteri sostitutivi, totale informatizzazione”. Alcuni dei temi che avevano caratterizzato la sua riforma del 2008-2009.

 

   

“Punire i fannulloni”

“Premiare i lavoratori meritevoli e punire i fannulloni”, anche con il licenziamento. Fu questo lo slogan che accompagnò la riforma della pa, varata in due atti tra il 2008 e il 2009, quando Silvio Berlusconi affidò a Brunetta il compito di rimettere a posto la macchina dello stato. In quell'occasione, il forzista provò a introdurre nuovi strumenti di valorizzazione del merito, e quindi di valutazione delle performance dei dipendenti, e in particolare delle responsabilità dei dirigenti. Inoltre si metteva mano alle normative sulle assenze, anche con decurtazioni legate ai giorni di malattia, e al sistema dei permessi. Si trattava insomma di una missione difficile che non riscosse il successo sperato dai suoi fautori, né riuscì a imprimere quella svolta efficientista alla pubblica amministrazione, ma che anzi suscitò critiche e contrasti.

 

Nel 2014 toccò a Marianna Madia, con il governo Renzi, provare a rivedere il meccanismo pubblico; oggi la palla torna di nuovo tra le mani di Brunetta, che conterà sul supporto del nuovo capo di Gabinetto Marcella Panucci, per riprovare laddove non era riuscito dieci anni fa. 

 

Il contesto oggi 

I dati li fornisce un monitoraggio del dipartimento della Funzione pubblica della presidenza del Consiglio. A gennaio 2020, i lavoratori in smart working erano appena l’1,7 per cento del totale. L’esplosione della pandemia ha portato ai picchi di maggio scorso, con percentuali oltre l’87 per cento per le amministrazioni centrali. Il lavoro agile ha riguardato l’86 per cento delle amministrazioni interpellate, dal 94 per cento al 100 per cento se parliamo degli enti sopra i 10 addetti. Va ricordato inoltre che, secondo i calcoli sindacali della vigilia del dpcm di ottobre scorso, su 3,2 milioni di lavoratori pubblici ci sono 1,2 milioni nell'istruzione e nella ricerca, mentre 648.000 sono impegnati nella sanità e oltre 500.000 sono le forze armate e gli altri dipendenti con un contratto di diritto pubblico, settori nei quali è difficile immaginare lo smart working se non in minima parte. A poter lavorare da remoto sono dunque i dipendenti delle funzioni centrali come quelli dei ministeri (circa 234.000) e una parte di quelli degli enti locali (circa 512.000 in totale), oltre a una componente residuale degli altri comparti.

 

Per il settore pubblico la scadenza della modalità in lavoro agile era fissata al 31 gennaio, secondo il decreto del 23 dicembre 2020. Dopo la proroga dello stato d'emergenza fino al 30 aprile 2021, anche le altre misure adottate per il contenimento del contagio, tra cui appunto lo smart working, sono state prolungate. Il decreto Rilancio prevede l'obbligo delle amministrazioni di "organizzare, nella misura del 50 per cento del personale impiegato in attività compatibili, il lavoro dei propri dipendenti applicando il lavoro agile semplificato". Insomma, fino al 30 aprile non dovrebbe cambiare nulla neppure con il nuovo ministro. E le varianti virali in circolazione rendono ancora più improbabile un ritorno alla situazione precedente.