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il nuovo governo

Lo schema Draghi: dieci ministri politici e tre tecnici. Ma Pd e M5s temono Salvini

"Votare su Rousseau è rischioso", diceva Crimi ieri. Oggi la svolta, "altrimenti al Senato non teniamo". Ma Di Maio sbuffa: "Cose di pazzi". I nomi dei ministrabili. Il Carroccio rischia di essere decisivo in Paramento. Domani mattina Zinga riunisce il gabinetto per tentare di alzare il prezzo

Valerio Valentini

Due ministeri per ciascun partito, uno a Leu e Iv: questa la bozza. Guerini vuole starci, Zingaretti forse. Il premier, stupito dalla svolta del Truce, chiama Giorgetti. Il M5s va in tilt: Crimi costretto a cedere a Rousseau per fermare la rivolta al Senato

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A sbirciare negli appunti che riproducono lo “schema Draghi” e che girano tra i vertici dei vari partiti, si direbbe che il governissimo è già nato. Ha una sua forma e un suo organigramma. E’ largo, larghissimo, e assai politico. Perché dei tredici ministeri con portafoglio, tre soli sarebbero da assegnare a figure tecniche, diretta espressione del premier incaricato e del Quirinale. Il resto, da suddividere equamente tra Pd, Lega, M5s e Forza Italia, con due caselle ciascuno, mentre Iv e LeU ne otterebbero uno solo. Questo, almeno, sulla carta. Ma nel ribollire degli umori della vigilia, la tetragona stabilità dell’assetto che Draghi ha ipotizzato sembra traballare pericolosamente.

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A sbirciare negli appunti che riproducono lo “schema Draghi” e che girano tra i vertici dei vari partiti, si direbbe che il governissimo è già nato. Ha una sua forma e un suo organigramma. E’ largo, larghissimo, e assai politico. Perché dei tredici ministeri con portafoglio, tre soli sarebbero da assegnare a figure tecniche, diretta espressione del premier incaricato e del Quirinale. Il resto, da suddividere equamente tra Pd, Lega, M5s e Forza Italia, con due caselle ciascuno, mentre Iv e LeU ne otterebbero uno solo. Questo, almeno, sulla carta. Ma nel ribollire degli umori della vigilia, la tetragona stabilità dell’assetto che Draghi ha ipotizzato sembra traballare pericolosamente.

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Intanto perché c’è un problema che si chiama Lega. Che non sta tanto nella sua partecipazione all’esecutivo, data così per scontata che i nomi di Giancarlo Giorgetti e di Riccardo Molinari sembrano già essere stati scelti come quelli dei “ministrabili”. E certo, come il grillino Stefano Patuanelli ha detto con alcuni dei parlamentari, “è  strano sentire queste atti di fede europeista da parte di chi a Bruxelles siede insieme alla Le Pen e AfD”. Ma è pur vero che la conversione sulla via di Città della Pieve è così folgorante che ieri Marco Zanni, capo delegazione della Lega al Parlamento europeo, uno che negli anni s’è reso celebre per le sue intemerate sbracate contro “il draghetto della Bce”, ieri è intervenuto a difendere il premier incaricato dagli insulti scagliatigli addosso dai sovranisti tedeschi che di Zanni e compagnia sono vicini di banco. E lo stesso Draghi, tra l’incredulo e il compiaciuto, sabato pomeriggio ha chiamato lo stesso Giorgetti per riferirgli il suo stupore di fronte alla svolta così convinta e repentina di Salvini nel corso della consultazione, quando gli aveva anticipato che anche sul piano del Recovery il Carroccio avrebbe ovviamente convertito la propria astensione in voto favorevole, tanto a Roma quanto a Bruxelles. E del resto, in quelle stesse ore perfino Luca Morisi, il padre della Bestia, rassicurava personalmente i dirigenti leghisti che esprimevano dubbi sulla capriola, esortando - lui! - a “ignorare i leoni da tastiera”, ribadendo che “per ogni voto perso ora ne guadagneremo due o tre, anche al sud”.

 

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Ma non è solo questione di coerenza, né di estetica, se al Nazareno hanno grossi dubbi sulla coabitazione al governo con la Lega. Certo, le ubbie identitarie sono state superate. D'altronde Stefano Bonaccini, di fronte ai primi dubbi e alle paventate ipotesi di sostegno esterno a Draghi, s’era affrettato ad allertare i colleghi romani del Pd: “Ho la coda di imprenditori emiliani che mi chiedono se siamo matti, a boicottare Draghi”. E lo stesso Graziano Delrio, ai suoi deputati più titubanti, s’è mostrato risoluto, spiegando che in un governo del genere, benedetto da Mattarella e guidato dall’ex capo della Bce, “non si può pensare di stare con un piede solo”. Nicola Zingaretti forse ce li metterebbe pure entrambi, se a chiederglielo fosse Draghi. “Ci sta pensando”, sospira chi gli sta accanto. Anche perché sa che il correntone di Base riformista, maggioritario nei gruppi parlamentari, rivendica un posto da ministro per Lorenzo Guerini nelle trattative che verranno. E se l’altro, come pare, dovesse essere destinato a Dario Franceschini, il segretario resterebbe di nuovo sguarnito dentro il Cdm. Certo, con un coinvolgimento diretto di esponenti leghisti, renderebbe più facile per Zingaretti rinunciare.

 

Ma resterebbe comunque l’altro problema: quello, cioè, dei numeri parlamentari. E con la Lega che rafforzerà inevitabilmente l’asse con FI, stando entrambe al governo, Salvini rischia di avere potere di vita e di morte sul governo. Tanto più che il M5s, che sarebbe il partito di maggioranza relativa, è nel subbuglio più totale. E così finisce che Vito Crimi, reggente a tempo indeterminato, esordisca nell’assemblea di domenica sera spiegando ai suoi parlamentari che “stavolta votare su Rousseau sarebbe molto pericoloso”, e che del resto “le nostre riunioni a che servono, se poi non decidiamo mai?”, e meno di ventiquattro ore dopo indica una votazione sulla piattaforma di Casaleggio, con una decisione così improvvisa che Luigi Di Maio - che nel governo Draghi ci crede anche perché crede alla sua possibilità di restare alla Farnesina: “Non chiedetemi di ministeri, ché sono in conflitto d’interesse”, ha detto ai suoi che lo tampinavano sul tema - s’è ritrovato a contattare i parlamentari grillini per condividere il suo sconcerto (“Cose di pazzi”). Ma in realtà Crimi è stato costretto al mezzo azzardo proprio per tentare di fermare un’insubordinazione che, ancora ieri mattina, al Senato contava almeno tredici grillini pronti a votare No, e almeno altrettanti dubbiosi. E così le telefonate dei colonnelli dell’oltranzismo, da Morra alla Taverna, dalla Lezzi alla Lupo, hanno messo il reggente con le spalle al muro. “Se vogliamo riprenderli a bordo, dobbiamo usare Rousseau”, ha poi spiegato Crimi. E dunque mercoledì e giovedì, al termine delle consultazioni, Draghi resterà appeso al giudizio della piattaforma di Casaleggio. E chissà come dovrà spiegarlo, questo, a Bruxelles.

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