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il giorno della salita al colle

Renzi confida nell'asse trasversale per fermare la corsa alle urne di Conte: "Ci sono margini per sostituirlo"

Valerio Valentini

Il leader di Italia viva sorpreso dai mancati segnali da Palazzo Chigi. Il premier vuole ricucire o andare al voto? Intanto gli emissari di Palazzo Chigi tentano i renziani: "Mollate Matteo e avrete un posto in lista". I mugugni di Lotti, le trame di Salvini. Oggi il leader di Iv torna al Quirinale

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Il delitto da evitare coincide con quello da compiere. “Il delitto sarebbe non provarci, perché i margini per sostituirlo ci sono”, dice Matteo Renzi. Si riferisce a Giuseppe Conte, l’ombra che incombe in tutte le conversazioni che il senatore di Scandicci scambia con chi lo interroga sulle sue intenzioni. Ma queste sono le battute, le risposte a bruciapelo. Quella che conta, invece, il leader di Italia viva dovrà darla oggi a Sergio Mattarella. E sarà più ponderata, volta a ribadire che veti su singole persone non ce ne sono, ma la gravità dei problemi impone a tutti “la responsabilità del coraggio, non della sopravvivenza”.

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Il delitto da evitare coincide con quello da compiere. “Il delitto sarebbe non provarci, perché i margini per sostituirlo ci sono”, dice Matteo Renzi. Si riferisce a Giuseppe Conte, l’ombra che incombe in tutte le conversazioni che il senatore di Scandicci scambia con chi lo interroga sulle sue intenzioni. Ma queste sono le battute, le risposte a bruciapelo. Quella che conta, invece, il leader di Italia viva dovrà darla oggi a Sergio Mattarella. E sarà più ponderata, volta a ribadire che veti su singole persone non ce ne sono, ma la gravità dei problemi impone a tutti “la responsabilità del coraggio, non della sopravvivenza”.

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E insomma, nel giorno che precede la sua salita al Colle,  Renzi ci tiene a specificare che la crisi politica non è frutto di capricci, ma è “diretta conseguenza della crisi economica, pandemica e scolastica”. Anche per questo, di buon mattino, l’ex premier sollecita i suoi parlamentari: “Vorrei andare al Quirinale con un documento che rappresenti tutta la nostra preoccupazione per i dati macroeconomici”. Contorno, certo. Perché poi il sugo della storia starà tutto in quella domanda che ogni ragionamento sovrasta e ogni ambiguità straccia: e Conte? “Di certo non potremo non constatare che, da parte del premier, non c’è stato alcun contatto”, spiega Renzi ai suoi parlamentari. Il che appare quantomeno bizzarro, visto che nel frattempo il reclutamento di responsabili, tra baruffe sul simbolo e bisticci vari, langue. E allora l’apparente cocciutaggine del premier si spiega solo in un modo: con la fregola elettorale. Lo deduce, Renzi, anche dalle confidenze che i suoi gli fanno.

 

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Perché da Chigi non mandano segnali di dialogo, è vero, ma mandano invece emissari a promettere ricandidature certe a chi, dal M5s come da Iv, accettasse di assecondare un percorso che ha come esito finale il ritorno alle urne. E poi si sa com’è: le voci corrono, i pettegolezzi rimbalzano. E così capita che in Transatlantico, interrogato sul rischio di elezioni anticipate, il dem Enrico Borghi scuota la testa: “Lasciamo stare gli spin. La chiave d’uscita da questa crisi è la trasformazione della maggioranza di europeisti e  riformisti, oggi numerica in Parlamento, in una maggioranza politica”. E capita anche che  perfino Ignazio La Russa, uomo di mondo e di fede meloniana, se la rida nei corridoi di Palazzo Madama: “Qui avremo il paradosso per cui, mentre il Cav. sarà contro le elezioni, Conte sarà a favore. E avrà la meglio il Cav., come sempre”. Che è poi anche la convinzione di Renzi, il quale non a caso ha ripreso i contatti con Berlusconi quasi come ai bei tempi del Nazareno. E sa - se non altro per averlo sperimentato in corpore vili, nell’estate del 2017 - che quasi sempre, quando il dominus della situazione pensa bene di condurre tutti al martirio del voto anticipato, finisce per essere il nemico comune contro cui coalizzarsi.

 

E allora ecco che tutto torna a mettersi in moto, nel Palazzo. Anche sotto la crosta d’apparente compattezza del Pd. Luca Lotti, cordialissimo nemico del suo ex capo, coi suoi parlamentari predica cautela, ma con loro condivide tutte le perplessità per l’eccessivo appiattimento di Zingaretti e compagni sulla posizione “Conte o morte”. Mugugni, malumori. “Il punto è che non possiamo impiccarci sul Conte ter - sibilano i deputati del correntone riformista del Pd - ma neppure possiamo essere noi i primi a dirlo”. E non è un caso allora che a dirlo sia un eretico come Tommaso Nannicini: “Nessuno lo dice, ma è evidente che Conte non ha più chance”. 

 

Il tutto, peraltro, mentre per sabotare l’operazione che dovrebbe portare Conte verso un’autolesionistica rincorsa alle urne si spendono anche i fedelissimi di Luigi Di Maio. Che ai pontieri renziani parlano tanto  di Stefano Patuanelli, con l’aria  di chi forse vuole bruciare un rivale interno e di chi certo vuole affermare la tesi per cui, tolto il fu “avvocato del popolo”, ci sono altri nomi a cinque stelle spendibili per Palazzo Chigi. Ed è forse anche per questo che Renzi non vuole passare come l’unico regicida. Non subito, almeno, non oggi. Del resto, che ci sia un secondo giro di consultazioni lo danno un po’ tutti per scontato, magari dopo un mandato esplorativo a Roberto Fico. Dunque tempo per sparigliare ce ne sarà: e se davvero, come ha detto Matteo Salvini ieri, “una volta tolto Conte da Chigi si può ragionare su tutto”, ecco che Renzi non può non pensare che valutare altri nomi potrebbe essere interesse di tanti. E infatti lui della ex presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia, ad esempio, dice un gran bene ogni volta che può. 

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