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la crisi di governo

La corsa di Conte per fare fuori Renzi dal governo dei responsabili

Valerio Valentini

Il premier è sicuro dei numeri in Aula, e va alla conta. Ai suoi nuovo sostenitori potrà anche dare ricompense in un nuovo esecutivo. La baruffa sul calendario. La preoccupazione del Quirinale. Il leader di Iv alle prese coi malumori del suo gruppo. Ma martedì, al Senato, sarà un rodeo

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La cosa strana è che entrambi hanno fretta. E in questa corsa parallela non si capisce chi insegua chi. Così Giuseppe Conte è convinto che la compressione della crisi giochi a suo favore. E Matteo Renzi, invece, pure. “Mi dicono di aspettare perché una parte del Pd forse ancora ci crede, nella riconciliazione con Iv”, riferisce il premier alle sue sentinelle in Parlamento, con l’aria di chi nei suggerimenti di Dario Franceschini (“Non escluderti a priori di dover tornare a confrontarti anche con Iv”), nei suoi inviti alla cautela, ci sente il retrogusto dell’insidia. E allora spinge perché lo spazio per la riconciliazione non ci sia, perché le tossine messe in circolo dalla conferenza stampa di Renzi (“Mi ha dato dell’antidemocratico: ma vi rendete conto?”) non possano essere smaltite.

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La cosa strana è che entrambi hanno fretta. E in questa corsa parallela non si capisce chi insegua chi. Così Giuseppe Conte è convinto che la compressione della crisi giochi a suo favore. E Matteo Renzi, invece, pure. “Mi dicono di aspettare perché una parte del Pd forse ancora ci crede, nella riconciliazione con Iv”, riferisce il premier alle sue sentinelle in Parlamento, con l’aria di chi nei suggerimenti di Dario Franceschini (“Non escluderti a priori di dover tornare a confrontarti anche con Iv”), nei suoi inviti alla cautela, ci sente il retrogusto dell’insidia. E allora spinge perché lo spazio per la riconciliazione non ci sia, perché le tossine messe in circolo dalla conferenza stampa di Renzi (“Mi ha dato dell’antidemocratico: ma vi rendete conto?”) non possano essere smaltite.

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Perché più che la forma è stata la sostanza della rottura, a far infuriare Pd e M5s. E infatti Davide Faraone, capogruppo renziano a Palazzo Madama, ieri lo diceva chiaramente ai suoi colleghi senatori: “Per noi un Conte ter andrebbe comunque bene, purché abbia una marcia diversa”. Ma certe frasi, certe accuse scagliate da Renzi contro Conte, sono quelle ad aver innescato la rabbia generale. “Se uno viene a una festa e ti incendia casa, non è che poi può illudersi che offrendoti il brindisi si torni amici come prima”, dicevano i ministri dem a margine del Cdm di mercoledì. E così Conte approfitta di questa ostilità del momento, che spinge anche i ministri grillini a negare qualsiasi nuova collaborazione con Iv. E, forse anche osservando l’attivismo di Luigi Di Maio (che s’intesta un’apertura alla galassia un tempo lontanissima di Forza Italia, tratteggiando, lui, una possibile maggioranza Ursula nel segno della fede europeista), ecco che Conte rifugge ogni indugio e si decide a una resa dei conti in tempi rapidi.  

 

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Non rapidissimi, tuttavia. E qui si arriva all’altra fretta, quella di Renzi. Che infatti catechizza così i suoi senatori: “Bisogna parlamentarizzare in fretta questa crisi. Perché a Palazzo Chigi hanno, come unico obiettivo, quello di trovare nuovi responsabili e far saltare il nostro gruppo”. Ne servono almeno sei, di nuovi sostenitori del governo. “Ed è ancora molto difficile”, ragiona Renzi. Che prova pure lui a stringere i tempi. E, sfruttando il pressing delle opposizioni, dà mandato a Faraone di assecondare la richiesta di ricevere Conte in Aula già tra sabato e domenica. L’altra ipotesi, quella che sarebbe stata gradita ai pontieri del Pd, porterebbe al venerdì successivo, il 22. Così, si dice, ci sarebbe il tempo di approvare lo scostamento e mettere al riparo il decreto “Ristori V”. La mattutina conferenza dei capigruppo al Senato s’infiamma, viene sospesa e rimandata al pomeriggio.

 

Nel frattempo Conte sale al Quirinale: ci sono da formalizzare le dimissioni delle ministre renziane, e inevitabilmente si parla anche del calendario della crisi. Sergio Mattarella viene descritto dai suoi collaboratori come notaio che in nulla s’intromette sul percorso parlamentare. L’unica osservazione che dal Colle ribadiscono è che un governo dimissionario difficilmente, stando alla prassi costituzionale, potrebbe approvare uno scostamento di bilancio. Questione dibattuta, in punto di diritto, ma che diventa un’arma di pressione sulla truppa renziana, visto che alla fine si decide che le comunicazioni di Conte, con tanto di votazione, avverranno lunedì alla Camera e martedì al Senato. Prima, dunque, del varo dello scostamento. E così due senatori di Iv avvertono i colleghi: “Se votiamo contro il governo prima che si approvi lo scostamento, verremo additati come coloro che bloccano i ristori”, dicono Mauro Marino ed Eugenio Comincini.

 

Ma la strategia della pressione su Iv passa anche per un’altra indiscrezione: quella che vuole che Riccardo Nencini, senatore eletto sotto le insegne del Psi e che ha poi offerto a Renzi il simbolo con cui creare il gruppo di Iv, viene dato in procinto di farsi contiano. E sono cattiverie a cui devono crede, a Chigi, se da quelle parti quasi se la canticchiano: “Il senatore di Scandicci finirà nel gruppo Misto”. Scenario inevitabile, se Nencini facesse il grande salto. Che lui però aborre. “Ricostruzioni assurde”, ci dice il senatore: “Io ad avventure come quelle dei responsabili non parteciperò mai”. Sempre che a dare concretezza all’avventura, più che la conta in Aula non ci pensino le trattative per un nuovo governo. Perché, se dallo showdown di martedì Conte dovesse uscirne in piedi, potrebbe poi comunque salire al Quirinale per dimettersi e avviare il percorso verso il suo terzo esecutivo. E a quel punto, i responsabili diventerebbero perfino ministrabili. 

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