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La Lega resta la Lega. La svolta moderata di Giorgetti in Europa non esiste

Domenico Di Sanzo

Il vicesegretario del Carroccio predica un avvicinamento al Ppe. Ma la truppa leghista a Bruxelles si rifiuta di votare il bilancio dell'Unione, non senza malumori interni. E sulla questione bielorussa, su cui il responsabile Esteri del partito aveva insistito, non c'è alcun cambiamento

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"Ha sempre idee chiare in testa, ma non sempre vengono ascoltate", scrive Antonio Polito a proposito di Giancarlo Giorgetti, introducendo il suo colloquio con il vicesegretario della Lega sul Corriere della Sera. E Polito è facile profeta. Perché quella considerazione anticipa ciò che accade solo qualche ora dopo la pubblicazione dell'intervista. Il Parlamento Europeo è riunito per votare il Qfp, che sta per Quadro finanziario pluriennale, in parole povere si tratta del bilancio europeo a lungo termine per il periodo 2021-2027. Strumento che stavolta si collega anche al Recovery Fund, e insomma alle risorse per far fronte alla crisi economica causata dalla pandemia. I 28 eurodeputati del Carroccio, nonostante le visioni "moderate" di Giorgetti, non prendono nemmeno in considerazione l'ipotesi di dire sì al pacchetto. È astensione anziché voto contrario.

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"Ha sempre idee chiare in testa, ma non sempre vengono ascoltate", scrive Antonio Polito a proposito di Giancarlo Giorgetti, introducendo il suo colloquio con il vicesegretario della Lega sul Corriere della Sera. E Polito è facile profeta. Perché quella considerazione anticipa ciò che accade solo qualche ora dopo la pubblicazione dell'intervista. Il Parlamento Europeo è riunito per votare il Qfp, che sta per Quadro finanziario pluriennale, in parole povere si tratta del bilancio europeo a lungo termine per il periodo 2021-2027. Strumento che stavolta si collega anche al Recovery Fund, e insomma alle risorse per far fronte alla crisi economica causata dalla pandemia. I 28 eurodeputati del Carroccio, nonostante le visioni "moderate" di Giorgetti, non prendono nemmeno in considerazione l'ipotesi di dire sì al pacchetto. È astensione anziché voto contrario.

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E chi è tentato di vedere uno spiraglio in questa sfumatura viene subito smentito dalle dichiarazioni dei leghisti. Con quelli più sovranisti e intransigenti a fare da portabandiera della delegazione. I parlamentari delle commissioni Bilancio e affari economici e monetari vergano una nota in cui parlano di "nuove tasse europee a danno dei cittadini, delle famiglie e delle imprese italiane". Tra i firmatari del comunicato ci sono alcuni arcisovranisti come i no-euro Antonio Maria Rinaldi e Francesca Donato. Oltre a Marco Zanni, capogruppo di Identità e Democrazia, il gruppo di estrema destra a cui aderisce la Lega insieme ai lepenisti e ai tedeschi di Afd. L'ex grillino Zanni, no-euro impenitente, si sfoga nella sua dichiarazione di voto. Parla di una risoluzione di maggioranza "sprezzante nei torni e pericolosa nel metodo". E via con la trita e ritrita "dittatura del pensiero unico". Zanni va all'attacco del regolamento sullo Stato di diritto, al centro delle polemiche da parte di Ungheria e Polonia, definito "uno strumento di ricatto politico divenuto priorità assoluta per questa maggioranza europea".

 

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Proprio la stessa maggioranza di cui fa parte il Ppe. Considerato da Giorgetti l'approdo naturale di una Lega che voglia aspirare a diventare un partito di governo, scrollandosi di dosso le scorie antieuropeiste. Il numero due del Carroccio lo dice che più chiaro non si può: "Non capisco che ci facciamo nel gruppo con l'estrema destra tedesca. Ne ricaviamo solo guai e nessun vantaggio". Ed è ovvio che non si tratta di traslocare armi e bagagli per trasferirsi domattina nel partito di Angela Merkel, ma di aspettare il passaggio di leadership nella Cdu tedesca e magari trascorrere un anno di purgatorio nel girone dei "non iscritti" a nessun gruppo. Anche se, al momento, sembra difficile conciliare l'idea con le pulsioni che animano il gruppo salviniano a Bruxelles. Dove la corrente degli accoliti del duo ineffabile Borghi-Bagnai appare maggioritaria. Lo stesso Zanni è un discepolo dei due economisti anti-euro. Mentre come al solito Salvini naviga nel mezzo. Un giorno truce, l'altro "dulce". Sebbene la recente svolta sul "governo-ponte" di larghe intese possa essere interpretata come il segnale di uno scongelamento della Lega dall'immobilismo politico dell'ortodossia lepenista e identitaria. Infatti Giorgetti plaude e dice Sì "a un governo di ampia base parlamentare, con dentro i migliori", guidato da Mario Draghi.

 

Eppure a Bruxelles, luogo eletto da dove dovrebbe partire la mutazione del Carroccio, le cose stanno diversamente. La truppa di chi è stufo del nazionalismo si infoltisce poco a poco, ma a ritmi ancora troppo lenti. C'è il friulano Marco Dreosto, il capo delegazione Marco Campomenosi, ligure, il veneto Gianantonio Da Re detto Toni, la piemontese Gianna Gancia. Gancia vive da separata in casa nel gruppo Id ed è stata l'unica leghista a sottoscrivere la dichiarazione congiunta di 91 eurodeputati per congratularsi con i leader dell'opposizione bielorussa, vincitori del premio Sakharov 2020. Proprio Giorgetti, il 24 settembre scorso, aveva criticato gli europarlamentari della Lega per non aver votato la mozione contro il dittatore bielorusso Lukashenko. Le idee sono chiare, ma ancora troppo poco ascoltate.

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