“Il mondo è cambiato, deve cambiare anche il centrodestra”. Parla Giorgetti

Giancarlo Giorgetti, vicesegretario della Lega alla Festa del Foglio “Uniti contro il Covid? Solo se il governo ci coinvolge davvero”

    Diamo al benvenuto alla festa del Foglio a Giancarlo Giorgetti, vicesegretario della Lega. Giorgetti, ha sentito Tajani. Forse partirei proprio da qua, dal centrodestra. Le chiedo: è una formula che ha ancora senso? Sono cambiati gli equilibri del centrodestra? Ci dobbiamo aspettare che questa coalizione, che esiste dal 1994, continuerà a esistere o è una formula superata, dal suo punto di vista? “Ho visto Tajani, ma purtroppo non lo sentivo, quindi non so cos’abbia detto lui. Io dico semplicemente che le formule devono rinnovarsi perché muta la società e muta la politica. Lo scenario può cambiare perché cambia la società. Oserei dire che anche tutto quello che è accaduto dopo e durante la pandemia e il nuovo mondo che ci sarà esigerà sicuramente un aggiornamento della proposta politica. Certamente il centrodestra non è più quello di dieci o vent’anni fa, i rapporti di forza sono cambiati, i leader che si sono imposti, in particolare Salvini, chiaramente portano avanti una linea diversa rispetto al passato, anche nei toni, e anche il modo di fare politica è cambiato: sicuramente conta molto di più il social e meno la televisione, tanto per chiarire. Detto tutto ciò, a me sembra chiaro che la proposta del centrodestra dovrà tener conto di quello che è cambiato e anche dei posizionamenti internazionali. Ci dovrà essere spazio anche per chi la vede in modo diverso rispetto a determinati aspetti, ci sarà sicuramente quella che viene definita una destra ‘sovranista’, ma ci deve essere sicuramente anche una destra liberale, e chiamiamola così, una ‘popolare’, tanto per intenderci”.

     
    Si è assistito negli ultimi tempi a una riproporzionalizzazione del quadro politico, si sa che si va verso una riforma di quel tipo, almeno così sembra almeno in apparenza. Le coalizioni per come le abbiamo conosciute fino a oggi si sono rette anche perché c’era un sistema elettorale che le favoriva. La domanda è se una legge elettorale proporzionale poi non influisca in qualche modo a determinare l’esplosione di questi gruppi che abbiamo conosciuto finora, tanto più – e concludo – se al loro interno questi gruppi sempre più spesso dimostrano di avere scarse affinità. La Lega di oggi è più distante di quanto non lo fosse un tempo da Forza Italia, non soltanto perché la Lega è cresciuta assai.  “Innanzitutto, dobbiamo dire che se veramente si andrà verso la disgrazia della legge elettorale proporzionale, sicuramente questo paese avrà grossi problemi, molti di più rispetto a quelli che già oggi ha e che ha affrontato perché la disgregazione del quadro politico, l’ingovernabilità e la perenne instabilità che ne deriverebbe secondo me è nociva. Detto questo, sicuramente il proporzionale enfatizzerà le differenze a destra, come a sinistra, come al centro, e moltiplicherà i soggetti politici, fra l’altro tutti alla ricerca di uno spazio di celebrità per superare la soglia di sbarramento, che a mio avviso scenderà inesorabilmente verso il basso, al 3 per cento o addirittura meno. Tutto questo non aiuterà né la creazione di governi stabili né la chiarezza. Questo è il mio punto di vista e sicuramente questo avrà un effetto anche all’interno del centrodestra, come per tutti”.

     
    La settimana scorsa i tre leader dalla distanza si sono incontrati, Salvini e Meloni credo che fossero nella stessa stanza insieme a Tajani, Berlusconi era collegato via Zoom da una casa in Francia, mi pare di ricordare. Si sarebbe dovuto discutere delle candidature a sindaco per tutte le città ma soprattutto per le due capitali d’Italia, Roma e Milano. Era stato stabilito dai tre che entro la prima settimana di novembre si sarebbe tirato fuori un nome, noi sappiamo che a Roma è già partita la corsa: c’è Calenda, c’è la Raggi. Eppure non è andata così, si è tutto bloccato. E’ forse anche questo un elemento che dimostra un po’ di difficoltà nel tenere insieme la coalizione, nel trovare una proposta comune? “Al contrario. Essendo stato testimone diretto negli ultimi anni dei vertici per la scelta dei candidati, direi che questa volta, per la prima volta, c’è un clima che va al di là delle appartenenze partitiche, delle designazioni partitiche dei candidati o, come si suol dire in termini dispregiativi, della spartizione dei medesimi. Al contrario, c’è un metodo che io trovo assolutamente ideale e che è quello della condivisione dei candidati migliori che possono registrare la maggiore convergenza al di là delle indicazioni di partito”.

     
    Ce ne dice uno per Roma e per Milano? “Sicuramente non saranno indicazioni di personaggi politici ma saranno espressione di quella che viene chiamata normalmente ‘società civile’, imprenditori, magari alti funzionari, ci sono dei nomi che hanno dato la disponibilità su cui si sta arrivando al risultato, ma saranno i tre leader, non certamente io, che quando sarà il momento esprimeranno l’indicazione. Devo dire però che il metodo è una novità positiva rispetto al passato. Io ne sono molto felice perché lo avevo caldeggiato, e finalmente si va verso candidature che credo che incontreranno non soltanto il gradimento degli elettori, ma dimostreranno anche la volontà di evolversi del centrodestra”.

     
    In tanti pensano che Giorgia Meloni se si candidasse a Roma vincerebbe. “Lei però non pensa di candidarsi, penso che questo sia proprio da escludere. L’ho detto prima, non saranno candidati partitici o di partito, ma sicuramente saranno candidati politici nel senso lato del termine, cioè espressione di un modo di concepire la società e il futuro delle città e dell’Italia diverso rispetto a quello della maggioranza grillina-Pd”.

     
    Un altro intervento di questa giornata è stato quello di Luigi Di Maio, con il quale lei ha condiviso un periodo al governo. Sembrava a tutti noi osservatori che si fosse creata una certa chimica. Le chiedo: c’è del rammarico per come è andata a finire quella storia? “Beh, quando si rompono delle alleanze c’è sempre del rammarico. I rapporti personali tra me e Di Maio erano ottimi prima e sono buoni anche adesso. E credo che non sia stato certamente Di Maio uno dei responsabili della crisi”.

     
    E chi lo è stato allora? “Non faccio nomi, ma io penso che tra i colpevoli, sul fronte avverso, non si possa certamente citare Di Maio. Poi sul resto, concludete voi. Io penso che a un certo punto, quando non c’è la possibilità di dare risposte e non c’è condivisione sui più importanti dossier (dalla giustizia all’autonomia, all’economia), è giusto che i governi si sciolgano. Al contrario di governi che nascono senza programmi, senza condivisione e che hanno l’unico obiettivo di perpetuare la specie, cioè sostanzialmente di restare al governo senza fare nulla o rinviando i problemi. Si chiamano ‘governi’ entrambi però hanno delle conseguenze molto diverse”.
    E ogni riferimento al governo rossogiallo è puramente voluto. “Dico semplicemente che è nato come governo di scopo per impedire le elezioni e quindi la possibile vittoria di Salvini e disgraziatamente, aggiungo io, da governo di scopo con quest’obiettivo a sei mesi, si è ritrovato a gestire questa crisi epocale, una crisi al di sopra e al di là delle sue possibilità, questo mi sembra abbastanza evidente, lo capiscono tutti tranne probabilmente parte dei diretti interessati”.

     
    E’ un cataclisma epocale quello che ci ha colpito. E Di Maio, proprio qualche ora fa, da questo stesso schermo dal quale parla lei adesso, ha proposto una cabina di regia allargata all’opposizione. Qual è il pensiero del numero due della Lega? “Questa è una nostra proposta che abbiamo fatto a marzo, dopodiché il governo si è ritenuto sostanzialmente autosufficiente, quindi non ha ritenuto di coinvolgere in alcun modo le opposizioni, ha coinvolto in modo alternato le regioni e gli enti locali. Adesso che la situazione si fa particolarmente delicata, forse qualcuno, fortunatamente, ha cominciato a pensare che il buon senso consiglierebbe uno sforzo comune o quantomeno di condivisione. Certamente quello che non è possibile accettare è il ruolo dell’opposizione di ratifica, di corresponsabilità di decisioni prese esclusivamente da altri”.

     
    Ma in caso voi siete ancora disponibili? “Questo lo ha sempre detto e ribadito Salvini. Onestamente non ci siamo sentiti rispondere più che due o tre frasi di circostanza. Io posso dire con assoluta certezza che certamente, certamente, non è colpa dell’opposizione la mancata collaborazione di questi sei mesi”.

     
    Lei stesso faceva prima riferimento al Covid, a questa disgrazia che ci ha colpito tutti, non solo noi italiani. Ha manifestato anche delle critiche al governo poco fa, dicendo che si chiamano “governi” entrambi, ma ci sono quelli che fanno le cose e quelli che galleggiano e basta. Ma allora la domanda è: al posto di Conte, dell’alleanza rossogialla, che cosa avreste fatto voi?” “Innanzitutto, io penso che la prima cosa è una questione di metodo, cioè la condivisione sicuramente con le regioni, gli enti sociali, le categorie e i sindacati (le cosiddette ‘parti sociali’): decisioni condivise, responsabilità diffuse. Quello che è stato assolutamente inaccettabile in questi mesi è lo scarico di responsabilità. E’ famosa proprio per questo la politica della pubblica amministrazione: ribaltare le responsabilità, dare le colpe a qualcun altro. Ho assistito a dei dibattiti in Parlamento scandalosi su questo punto, non degni del momento che l’Italia stava vivendo. Col senno di poi è facile dire ‘avremmo fatto così’. Io dico semplicemente che basta che lei vada a riprendere a marzo le dichiarazioni di quando noi dicevamo ‘questa è una crisi che richiede l’intervento di almeno 50 miliardi subito da mettere sul piatto per quanto riguarda l’economia’, mentre dal governo ci proponevano 3 miliardi, 6 miliardi, 20 miliardi. Piano piano i fatti purtroppo ci hanno dato ragione, ma non ci voleva molto a capirlo: basta vedere quello che è successo ed è stato fatto negli altri paesi europei, dove interventi ben più massicci sono stati messi in campo. Ribadisco, adesso col senno di poi andare a dire ‘avremmo fatto così’ è dire cose banali e anche non corrette perché di fronte a una situazione di questo tipo tutti possono sbagliare e io dico che tutti abbiamo sbagliato. Quello che non è accettabile è che qualcuno si metta sulla cattedra, dia le pagelle, magari aizzi anche i magistrati. La settimana scorsa sono state aperte le inchieste sull’epidemia ad Alzano: vedremo se è colpa del governo, dello stato, delle regioni, del direttore sanitario. Ma in guerra c’è poco spazio per le riflessioni, bisogna dare delle risposte. Ribadisco, secondo me quello che è mancato in questi mesi è una condivisone larga delle decisioni, e purtroppo quello che è stato molto presente è lo scarico di responsabilità. Cosa che in questi momenti è da evitare”.

     
    Cambio radicalmente argomento, ma solo in apparenza. Nelle settimane passate lei aveva posto un problema sulla collocazione internazionale della Lega. Noi osservatori abbiamo l’impressione che nel gruppo europeo della Lega qualcosa in effetti sia cambiato dopo il suo intervento. Ricordo che lei è anche responsabile esteri della Lega. In particolare, a Bruxelles il gruppo della Lega ha fatto per la prima volta un voto molto significativo perché ha preso le distanze dal dittatore bielorusso Lukashenka. Questa cosa è stata letta come un passetto di distanziamento dal gruppo dei sovranisti più sbrigliati, mi consenta questa espressione. E’ vero? Qualcosa cambia nel collocamento internazionale del partito? “La politica esige anche la discussione in un partito che è il primo partito italiano ancora oggi in base a tutti i sondaggi. E’ giusto che noi riflettiamo su come cambia il mondo e su come magari dobbiamo cambiare anche noi. L’ho detto all’inizio rispetto alla vicenda del centrodestra: è un processo. Io non credo che questi processi si possano fare in ventiquattr’ore, in un mese. Dobbiamo chiederci: l’Europa come sta cambiando? Magari sta cambiando anche nella direzione da noi auspicata, anzi, sta cambiando, ed è quello che ho semplicemente detto io. Cerchiamo di osservare attentamente quello che sta avvenendo. Io da anni esprimo apprezzamenti per Mario Draghi, ma non perché lo voglia presidente della Repubblica o del Consiglio, perché ha fatto alla Banca centrale europea, contrariamente a quello che prescrive il trattato, quello che adesso tutti invocano. E quindi, ad esempio, è evidente che come si sta comportando oggi la Banca centrale europea è un fatto positivo rispetto a quello che accadeva soltanto cinque anni fa. E come pure il fatto che si facciano degli Eurobond per finanziare il Recovery fund, a mio giudizio, ma a nostro giudizio, è un passo in avanti rispetto a quello che accadeva prima. Dopodiché, è chiaro che noi abbiamo le nostre idee, le nostre posizioni, abbiamo sempre avuto un atteggiamento critico sulle cose che non andavano bene (dall’immigrazione, alla politica di bilancio e di proposte economiche un po’ manichee e con gli occhi bendati, che sicuramente non facevano gli interessi dell’Italia). Ecco, questo è un processo. Io non ho l’ambizione, e credo che nessuno nella Lega pensi che in quattro e quattr’otto si possa cambiare pelle, però siccome abbiamo gli occhi aperti e le orecchie pronte ad ascoltare, vediamo quello che succede e ascoltiamo il rumore di fondo che si sente. Per quanto riguarda la Bielorussia, se io mi professo un difensore della libertà, della democrazia, del pensiero liberale, non ho difficoltà a condannare il Venezuela come la Bielorussia. Questa è la linea a cui noi ci dobbiamo attenere e non ammette eccezioni, basandoci sui fatti concreti. La mia ambizione è che in tutti i paesi del mondo ci possano essere elezioni libere e democratiche senza manganellamenti o trucchi elettorali”.

     
    “Lei dice l’Europa sta cambiando, anzi l’Europa è cambiata, chi fa politica poi deve guardarsi attorno, deve leggere la realtà e poi adattarsi in base a come la realtà si è modificata. Allora, una cosa di cui si è parlato, magari in maniera fantasiosa, è lo scenario di una Lega che entra nel Partito popolare europeo. Questa non è esattamente la politica dei passettini che descriveva lei, è un salto molto complicato forse. Però tra il gruppo dei sovranisti e il Partito popolare europeo ci sono delle sfumature, delle vie di mezzo. Una di queste sono i conservatori europei, dove per esempio è già collocata Giorgia Meloni. “Guardi, innanzitutto io non ho mai detto né sostenuto, e l’ho detto pubblicamente: non sono così fesso da chiedere l’adesione al Partito popolare europeo, anche perché i matrimoni si fanno in due, e io penso che il Partito popolare europeo in questo momento risponderebbe picche. Quindi è una cosa che non è mai stata proposta. Quello che ho detto e ribadisco è che secondo me uno non può pensare di fare politica in Italia e in Europa oggi senza guardare con curiosità a cosa avviene nel dibattito politico in Germania, dove va la Cdu, quindi dove andrà poi il Partito popolare europeo, che sviluppo avranno i partiti cosiddetti ‘verdi’ (che sono ‘verdi’ veramente negli altri paesi, diversamente dall’esperienza storica italiana). Se uno non guarda queste cose, come può pretendere di fare politica in Europa? Per questo l’obiettivo che mi pongo, come responsabile esteri, è che la Lega sia conosciuta per quella che è: un movimento politico che guida 14 regioni in Italia, le più moderne e anche sviluppate (e paradossalmente le più europee culturalmente), che è stato al governo per dieci anni, che quando è stato al governo l’anno scorso ha fatto il risultato di bilancio migliore in assoluto rispetto a tutti i governi precedenti, raggiungendo l’incredibile risultato dell’1,6 per cento nel rapporto deficit/pil, quando voi giornalisti avete riempito, giustamente, le pagine della guerra tra il nostro governo gialloverde e l’Europa per il 2,4, 2,2, 2,04, 1,8. Detto tutto ciò, secondo me ci vuole un atteggiamento realistico e pragmatico, e con questo atteggiamento realistico e pragmatico bisogna affrontare i problemi in Italia, bisogna posizionarsi in Italia e bisogna affrontare i problemi in Europa, posizionarsi in Europa e anche nel mondo. E’ semplicemente questo, è la bussola che dovrebbe orientare un partito politico che sul realismo e sul pragmatismo ha costruito anche le sue fortune e la sua base elettorale. Perché questo è quello che ci chiedono tanti nostri elettori”.