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il cencelli per i servizi

Così Conte prova a usare le nomine sui servizi segreti per evitare la crisi

Dietro l'inconcludenza sui pescatori rapiti in Libia ci sono i tatticismi nell'intelligence, col rimpallo di responsabilità tra Palazzo Chigi e la Farnesina. I sospetti del Pd, l'attivismo di D'Alema e Letta, e la grana di Leonardo. Perché lottizzare i servizi è pericoloso

Valerio Valentini

Dopo il blitz per confermare il suo fedelissimo Vecchione, ora il premier temporeggia per riempire le nomine mancanti. E così spera di calmare il Pd, e ricucire con D'Alema e Gianni Letta. Ma lo stallo manda in fibrillazione la nostra intelligence

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Quando le baruffe smuovono la cenere del quieto convivere, la brace che arde si rivela proprio negli atti più banali. E così finisce che l’insofferenza del Pd verso lo stallo con cui si sta gestendo la faccenda dei diciotto pescatori tenuti prigionieri in Libia, in un rimpallo di responsabilità tra la Farnesina e Palazzo Chigi che va avanti da inizio settembre, si scarichi in una mozione parlamentare che, a prenderla solo per quel che è, avrebbe del paradossale. Perché in sostanza i senatori dem, la cui pattuglia è peraltro legata per la gran parte al ministro della Difesa Lorenzo Guerini, chiedono al loro governo di darsi da fare per “mettere in campo tutte le iniziative necessarie” per sottrarre l’equipaggio dei pescherecci italiani dalle mani del generale Haftar. Ora. Centosette giorni dopo il sequestro. Al che è uno dei firmatari a incaricarsi di spiegare il senso dell’operazione: “Non vorremmo – dice il senatore dem – che a Chigi stessero temporeggiando per  allestire un ritorno in grande stile a Natale, magari in diretta Facebook”.

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Quando le baruffe smuovono la cenere del quieto convivere, la brace che arde si rivela proprio negli atti più banali. E così finisce che l’insofferenza del Pd verso lo stallo con cui si sta gestendo la faccenda dei diciotto pescatori tenuti prigionieri in Libia, in un rimpallo di responsabilità tra la Farnesina e Palazzo Chigi che va avanti da inizio settembre, si scarichi in una mozione parlamentare che, a prenderla solo per quel che è, avrebbe del paradossale. Perché in sostanza i senatori dem, la cui pattuglia è peraltro legata per la gran parte al ministro della Difesa Lorenzo Guerini, chiedono al loro governo di darsi da fare per “mettere in campo tutte le iniziative necessarie” per sottrarre l’equipaggio dei pescherecci italiani dalle mani del generale Haftar. Ora. Centosette giorni dopo il sequestro. Al che è uno dei firmatari a incaricarsi di spiegare il senso dell’operazione: “Non vorremmo – dice il senatore dem – che a Chigi stessero temporeggiando per  allestire un ritorno in grande stile a Natale, magari in diretta Facebook”.

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E però, oltre all’ansia da prestazione mediatica, a incrociare questa vicenda di bizzarra inconcludenza diplomatica c’è  anche un’altra questione, più delicata. E ruota intorno al sospetto che a rallentare la risoluzione del caso libico sia l’incertezza su chi debba prendersene il merito. A livello politico, certo, ma  soprattutto dentro gli apparati d’intelligence. L’ultima volta, con Silvia Romano, ad attenderla in gran pompa a Fiumicino c’erano appunto Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, in perenne competizione mediatica, e insieme a loro c’era il generale Luciano Carta. Che pochi giorni dopo avrebbe lasciato la direzione dell’Aise, il servizio segreto estero, per diventare il nuovo presidente di Leonardo. Un’uscita in grande stile, insomma: ché in certi ambienti, come diceva Charlie Chaplin, più dello stile nell’ingresso sul palco conta quello nell’uscita di scena.

 

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E allora non è un caso se, insieme allo stallo sui pescatori ostaggio di Haftar, ce n’è un altro parallelo: che riguarda, appunto, gli apparati d’intelligence e di sicurezza nazionale. Un settore su cui Conte sa evidentemente modulare la velocità delle sue azioni a seconda delle esigenze. E così, dopo il mezzo blitz a fine novembre, per ottenere la riconferma del suo fedelissimo Gennaro Vecchione alla guida del Dis, ha lasciato che le trattative per la scelta dei vicedirettori delle agenzie di sicurezza interna (Aisi) ed esterna (Aise) s’impaludassero. Colpa dell’incombere del Recovery, come si giustificano a Palazzo Chigi, e delle annesse scazzottate con Matteo Renzi.

 

Ma forse, come mugugnano a mezza  bocca esponenti di governo del Pd e del M5s, c’è anche che il tavolo delle nomine, con le relative spartizioni, può essere la camera di compensazione ideale in cui risolvere le tensioni politiche. Ed è così che qualche consigliere di Conte può pensare che a rappacificarsi col Pd possa servire il ritirare, dalla lista dei papabili vicedirettori dell’Aisi, quell’Edoardo Valente che pare godere della simpatia del premier per fare spazio a uno tra Giuseppe De Donno e Massimo Airola, entrambi generali dei Carabinieri graditi al Nazareno. E anche per l’Aise, non è escluso che Conte alla fine stoppi la promozione a vicedirettore del suo attuale consigliere militare Carlo Massagli (così da evitarsi anche la rogna di dover trovare un sostituto), riaprendo le negoziazioni su due figure interne a Forte Braschi, come Luigi della Volpe ed Enrico Tedeschi. Senza contare, infine, che entro metà gennaio bisognerà nominare anche il comandante generale dei Carabinieri e di capo di stato maggiore dell’Esercito.

 

E qui, a cavallo tra le agenzie e le Forze armate, per Conte si gioca una partita che va oltre i confini dell’attuale maggioranza, e che dovrebbe consentirgli di offrire un pegno di riconoscenza a quei mondi che tanto sostegno, più o meno sotterraneo, gli hanno garantito in questo anno e mezzo di tribolato governo rossogiallo. Un cordone di sicurezza che va da Massimo D’Alema a Gianni Letta, e che non sempre, negli ultimi passaggi, si è visto trattare col riguardo auspicato dal fu avvocato del popolo.

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Che poi, tra le tante, potrebbe ritrovarsi a dover gestire anche un’altra grana. Quella di Leonardo, il cui ad Alessandro Profumo continua a essere bersagliato dalle ingiurie di un pezzo del M5s e che però, quando dieci giorni fa è stato attaccato frontalmente da Matteo Salvini in Senato, non ha ricevuto la difesa di nessun esponente della maggioranza. “E l’incertezza sul suo destino si riflette sull’azienda”, sbuffano nel Pd, dove pure sono divisi su come procedere, ma dove concordano nel dire che questo limbo rischia di far perdere al colosso dell’aerospazio importanti commesse, oltre ad agitare i malumori dei vertici dell’aeronautica. E insomma se è vero che il temporeggiare è una tattica che a Conte garantisce la resistenza, è anche vero che l’inconcludenza che ne deriva, negli ambienti dell’intelligence, sta creando non pochi scompigli. E non solo sulle faccende libiche. 

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