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rossogialli in fibrillazione

Sulle riforme la maggioranza va in tilt, e Conte diventa "la bella addormentata"

Sul superamento del bicameralismo Pd e Iv spingono, Leu e M5s frenano. Renzi si prepara ad alzare il tiro, e anche al Nazareno sono stufi dello stallo. Il M5s, invece, cambia il capogruppo alla Camera

Valerio Valentini

La riunione coi capigruppo e il ministro D'Incà finisce in baruffa. Renzi invoca la resa dei conti e convoca la segreteria: "Così non può andare avanti". La rabbia di Delrio e Marcucci, l'irritazione di Zingaretti. E il Pd ribattezza il premier

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L’argomento si prestava talmente tanto all’uopo dello scontro, che la baruffa è sorta quasi senza che la si cercasse. Perché per Italia viva il superamento del bicameralismo, perno centrale dell’abortita riforma del 2016, resta ancora una bella bandiera da sventolare: e i renziani Marco Di Maio e Davide Faraone, sia pure in videoconferenza, hai voglia se la sventolano. E però, con uguale antitetica tigna, nel M5s subito precisano che no, non può esserci una riproposizione del referendum bocciato dagli italiani. E ai grillini Davide Crippa e Ettore Licheri va in scia Federico Fornaro, esponente di Leu: “Per noi le priorità rimangono la legge elettorale proporzionale e i correttivi per limitare la compressione della rappresentanza, specie al Senato”. Altro che sopprimerlo, insomma. “Prima di pensare a nuove riforme – prosegue Fornaro – si rispetti l’accordo di maggioranza di ottobre”. Quello, per capirci, che proprio Matteo Renzi, scartando di lato per tornare a elogiare le virtù del maggioritario, ha mandato a ramengo.

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L’argomento si prestava talmente tanto all’uopo dello scontro, che la baruffa è sorta quasi senza che la si cercasse. Perché per Italia viva il superamento del bicameralismo, perno centrale dell’abortita riforma del 2016, resta ancora una bella bandiera da sventolare: e i renziani Marco Di Maio e Davide Faraone, sia pure in videoconferenza, hai voglia se la sventolano. E però, con uguale antitetica tigna, nel M5s subito precisano che no, non può esserci una riproposizione del referendum bocciato dagli italiani. E ai grillini Davide Crippa e Ettore Licheri va in scia Federico Fornaro, esponente di Leu: “Per noi le priorità rimangono la legge elettorale proporzionale e i correttivi per limitare la compressione della rappresentanza, specie al Senato”. Altro che sopprimerlo, insomma. “Prima di pensare a nuove riforme – prosegue Fornaro – si rispetti l’accordo di maggioranza di ottobre”. Quello, per capirci, che proprio Matteo Renzi, scartando di lato per tornare a elogiare le virtù del maggioritario, ha mandato a ramengo.

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E insomma si resta così, impantanati sul reciproco rinfaccio di accuse, con Graziano Delrio e Andrea Marcucci che stanno nel mezzo, a proporre una mediazione di prammatica (“Proviamo almeno ad accelerare sulle misure su cui c’è consenso unanime, non fermiamo tutto un’altra volta”) e forse proprio per questo sono sempre più stufi del fuoco di veti incrociati, mentre il ministro grillino per i Rapporti col Parlamento, Federico D’Incà, può poco oltre che certificare lo stallo. Anche perché accanto a lui, in rappresentanza di Giuseppe Conte, c’è quell’Alessandro Goracci, capo di gabinetto del premier, che non ha certo mandato di prendere iniziativa politica per conto di Palazzo Chigi: e dunque, con zelo notarile, annuncia che si premurerà di riferire al presidente che no, neppure questo vertice coi capigruppo di maggioranza – svoltosi nella mattinata di lunedì – è servito a granché, e dunque occorre riconvocare un tavolo coi leader dei partiti

 

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Ma è evidente che, se si litiga sul bicameralismo, è perché si vuole litigare su altro. E non è certo per i ritardi sulle riforme del titolo V o della legge elettorale, né per le cautela sull’inserimento della tutela ambientale in Costituzione, se i deputati del Pd, quando si riuniscono col loro capogruppo, si riferiscono ormai al premier come alla “bella addormentata”. E’ il tentennare su tutto, che indispone Delrio, e con lui pure Nicola Zingaretti, se è vero che l’irritazione per l’immobilismo, consegnata dai due capigruppo del Pd a una nota, viene condivisa e rilanciata anche dal Nazareno. Se Conte è il garante degli accordi presi tra i leader della maggioranza, ragionano da quelle parti, spetta a lui anche sbrogliare la matassa. 

 

Lo dirà con toni più decisi, più risoluti, anche Matteo Renzi. Che per domani mattina ha convocato la “cabina di regia” di Iv, una sorta di segreteria del nuovo partito che servirà a mettere a verbale quel che l’ex premier già da giorni va ripetendo ai suoi parlamentari in privato, e cioè che “se i tavoli di maggioranza non producono entro fine mese quello che è stato definito al tavolo dei leader è chiaro che il tentativo di pensare al futuro di questo governo abortisce”. Dicembre, insomma, con la legge di Bilancio da approvare, le semplificazioni da varare in preparazione al Recovery plan e un dialogo con le opposizioni che deve pur condurre a un qualche esito, oppure perire, è il banco di prova. “Perché il paese non è in una fase in cui si può tergiversare”, ribadirà Renzi in videoconferenza coi suoi. E se è vero che l’impazienza del leader di Iv si scontra con l’esercizio di prudenza a cui il Covid costringe tutti, se è vero che le fughe in avanti del senatore di Scandicci spesso costringono pure il Pd a ripiegare sulla difesa d’ufficio di Conte, è anche vero che tra gli sbuffi di Renzi e quelli di larga parte del Pd c’è sempre meno distanza. E così, se l’ex premier confessa che “se in un mese non si riesce a definire un’agenda credibile per i prossimi due anni bisogna prenderne atto”, perché “forse qui c’è chi s’è prefissato come obiettivo solo quello di arrivare indenne al semestre bianco, tra un rinvio e l’altro”, in un vertice tra maggiorenti dem alla Camera, venerdì, con metà del vecchio esecutivo Renzi presente, si è sentito gridare che “a Palazzo Chigi s’illudono di sopravvivere indugiando, ma è proprio indugiando che rischiamo tutti di cadere rovinosamente”.

 

Che fare, dunque? In una manovra a gennaio, che si tratti di rimpasto o di governissimo, in tanti ci speculano, ci scherzano, ci credono. Ma è l’ennesimo rinvio di una mossa sempre incombente e mai davvero reale. Marcucci, che meno di un mese fa proprio evocando il rimpasto nell’Aula del Senato ha scatenato un mezzo putiferio, a vedere la pressione crescere quasi se la ride sotto i baffi: “Io sul tema ho già dato, e mi sono sentito dare dell’eretico per aver detto che il re, o almeno qualche suo ministro, era nudo. Se altri ora ne convengono, ne prendo atto”

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A più modesta ridefinizione delle gerarchie di potere, invece, è dedita la pattuglia del M5s alla Camera. A cui ieri sera, il capogruppo Crippa, ha confermato che a giorni partiranno le procedure per il rinnovo del direttivo a Montecitorio. Sperando che non finisca come l’ultima volta: quando, per stabilire l’avvicendamento tra Ciccio D’Uva e lo stesso Crippa, ci vollero sei mesi, cinque votazioni andate a vuoto, e una faida mitologica. 
 

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