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Nomine e servizi segreti, il blitz di Conte nella trama delle larghe intese

Valerio Valentini

La mossa intempestiva del premier sulla Fondazione per la cybersicurezza apre le danze per le nuove promozioni. Blindato Vecchione, e con la perenne incognita di Mancini, all'Aise potrebbero avanzate due candidati interni graditi a Pd e centrodestra

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La ricorrenza, data la materia trattata, non  pare delle più fauste. E non per il dogma dell’immacolata concezione, ovvio. E’ che quando si parla di servizi, e di trame che in questi casi si vogliono sempre un poco occulte perfino quando vengono fatte fin troppo alla luce del sole, l’8 dicembre riporta inevitabilmente alla memoria la marcia dei forestali verso gli uffici della Rai, nel 1970. E così quando lunedì pomeriggio, nel bel mezzo del Cdm, è scoppiato il pasticcio intorno alla costituenda Fondazione per la cybersicurezza, qualcuno a Palazzo Chigi ha pensato a un bizzarro scherzo del destino, pronosticando tensioni crescenti. La verità è che però l’appuntamento è obbligato: perché l’incarico del prefetto Gennaro Vecchione a capo del Dis, il Dipartimento sulla sicurezza che sovrintende a tutto il comparto dei servizi, scade  il 10 dicembre. E dunque sarà proprio nei giorni in cui ricorre il cinquantennale del tentato golpe Borghese, che la politica italiana si accapiglierà intorno alla ridefinizione dei vertici della sua intelligence, in una fase in cui all’intelligence viene chiesto di essere più forte dei governi che dovrebbero controllarla, più inclusiva delle maggioranze cangianti, forse già sensibile alle larghe intese che verranno. Non che Vecchione sia in discussione, in effetti. La sua riconferma per altri due anni viene già data per scontata da tutti, salvo cataclismi dell’ultim’ora.

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La ricorrenza, data la materia trattata, non  pare delle più fauste. E non per il dogma dell’immacolata concezione, ovvio. E’ che quando si parla di servizi, e di trame che in questi casi si vogliono sempre un poco occulte perfino quando vengono fatte fin troppo alla luce del sole, l’8 dicembre riporta inevitabilmente alla memoria la marcia dei forestali verso gli uffici della Rai, nel 1970. E così quando lunedì pomeriggio, nel bel mezzo del Cdm, è scoppiato il pasticcio intorno alla costituenda Fondazione per la cybersicurezza, qualcuno a Palazzo Chigi ha pensato a un bizzarro scherzo del destino, pronosticando tensioni crescenti. La verità è che però l’appuntamento è obbligato: perché l’incarico del prefetto Gennaro Vecchione a capo del Dis, il Dipartimento sulla sicurezza che sovrintende a tutto il comparto dei servizi, scade  il 10 dicembre. E dunque sarà proprio nei giorni in cui ricorre il cinquantennale del tentato golpe Borghese, che la politica italiana si accapiglierà intorno alla ridefinizione dei vertici della sua intelligence, in una fase in cui all’intelligence viene chiesto di essere più forte dei governi che dovrebbero controllarla, più inclusiva delle maggioranze cangianti, forse già sensibile alle larghe intese che verranno. Non che Vecchione sia in discussione, in effetti. La sua riconferma per altri due anni viene già data per scontata da tutti, salvo cataclismi dell’ultim’ora.

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E però se Conte, come pare certo, vorrà ribadire la sua incondizionata fiducia all’uomo che lui ha voluto al capo del Dis, e di cui si fida ciecamente, dovrà a quel punto squadernare tutto il dossier che impone un riassetto dei servizi, assegnando degli incarichi che da tempo sono rimaste vacanti. E forse è per questo che i più maliziosi, dietro l’intempestivo inserimento della norma che rende operativa la Fondazione per la cybersicurezza all’interno di una legge di Bilancio che dovrà necessariamente essere discussa in tutta fretta dal Parlamento nel mese di dicembre, ci hanno visto il tentativo, magari spregiudicato, del premier, di aprire le danze, di preparare il terreno per le grandi manovre. Altrimenti perché affrettarsi, dando solo un minimo preavviso ai capi delegazione di Pd, M5s e Iv, ad attivare un istituto per certi versi parallelo al Dis,  pensato in origine da Matteo Renzi nel 2016, quando l’allora premier voleva assegnarlo al fedelissimo Marco Carrai, e poi rimasto sempre sospeso, anche per via delle perplessità tecniche degli apparati?

 

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C’è insomma chi ci ha visto il tentativo di preparare un comodo scivolo per Roberto Baldoni, il docente della Sapienza che già si occupa di cybersicurezza, ma dalla poltrona di vicedirettore del Dis, e che potrebbe essere chiamato a lasciare spazio a una vecchia conoscenza di Piazza Dante, se davvero i disegni di Conte e di un bel pezzo del M5s,  si dovessero compiere. Non facile, in effetti, perché quelle trame porterebbero alla promozione di Marco Mancini, attuale capo delle risorse finanziarie del Dis, grande esperto di controspionaggio caduto in disgrazia dopo il caso Abu Omar, ma abile ad allacciare i rapporti col sottosegretario alla Difesa grillino Angelo Tofalo, che per il M5s si occupa di intelligence, e con alcuni dei fedelissimi di Luigi Di Maio alla Farnesina. E però su Mancini, non da oggi, pende un veto che nel Pd riconducono addirittura al Quirinale, e che di certo trova consenso a Piazza Dante.

 

Segno insomma di una tensione crescente, e che investirà inevitabilmente anche Palazzo Chigi. Perché Conte, oltre a blindare Vecchione, conserverà senza dubbio per sé anche la delega sui servizi, quella che invece, per una prassi decennale interrotta solo durante la premiership di Paolo Gentiloni (in un governo comunque di transizione, come fu il suo), viene affidata a un sottosegretario di fiducia che la esercita a tempo pieno. Il Pd la reclama da tempo, questa cessione: ma il fu avvocato del popolo, che ai vantaggi concessi dall’avere accesso diretto ed esclusivo a certi dossier riservati s’è evidentemente affezionato, non accetterà.

 

E dovrà allora accettare, però, che nelle altre nomine ci sia un ruolo più centrale del Pd, se vuole evitare che i malumori sfocino in conflitti. Per questo a vicedirettore dell’Aise, l’ex Sismi guidato da Giovanni Caravelli, dovrebbe con ogni probabilità essere promosso Luigi Della Volpe, generale della Guardia di Finanza, attuale responsabile della controproliferazione, assai gradito dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini. Una soluzione interna che da sempre, peraltro, viene ben vista dagli apparati. E’ forse anche per questo se, come chiedono il Pd e larghe fette del centrodestra, si dovrà tener conto dei pareri dell’attuale capo dell’Aise per assegnare anche la seconda casella di vice tuttora vacante, la scelta potrebbe ricadere su un altro generale della  Finanza, e attuale capo di gabinetto dell’agenzia, Enrico Tedeschi. Che, dopo vent’anni di servizio e una lunga stagione a capo del sistema d’intercettazioni Sigint, i segreti di Forte Braschi li conosce come pochi.

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Ed è qui insomma che le trattative per la ridefinizione degli organigrammi dei servizi potrebbero anticipare, o prefigurare, quegli equilibri futuri o futuribili, forse incombenti seppur non imminenti, di un allargamento dei perimetri della maggioranza. Perché la promozione di Della Volpe e di Tedeschi,  col primo favorito anche da un apprezzamento del Carroccio,  potrà scaturire da un dialogo costruttivo, se non da una vera intesa, con un pezzo del centrodestra. Di certo a Forza Italia non dispiacerebbero, queste soluzioni, e forse nemmeno alla Lega, a cui pure non dispiacerebbe un dirottamento ai vertici dell’Aise di quel Carlo Massagli che è oggi consigliere militare di Palazzo Chigi, ma che conserva ottimi rapporti con l’ex sottosegretario alla Presidenza Giancarlo Giorgetti, con cui spesso lavorò a contatto durante il governo gialloverde, e che ha ricevuto recenti attestati di stima  da Matteo Salvini e dal presidente del Copasir, il leghista Raffaele Volpi. Ma significherebbe, forse, concedere troppo, almeno formalmente, a Conte. Il quale, sul percorso che porterebbe alle larghe intese, comincia ad andarci coi piedi di piombo, forse temendo che lo sbocco di quel sentiero lo condurrebbe sullo strapiombo di un nuovo governo. 

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