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Quota 26 mila contagi

Contro il lockdown delle scuole

Il tema della chiusura del paese non riguarda più la categoria del “se” ma quella del “come”. Il governo ha tre piani per il lockdown 2.0 e in due di questi gli istituti scolastici si salvano. Tracce per il futuro

Claudio Cerasa

Lasciare le scuole aperte dà speranza, offre ristoro e indica un tentativo di tenere il presente drammaticamente incerto ancorato ai possibili sogni del futuro. Ma lasciare le scuole aperte in caso di lockdown potrebbe rivelarsi una scelta giusta anche per questioni legate all'epidemiologia. Una ricerca italiana, in esclusiva

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I ministri del governo Conte non lo potranno mai confermare ufficialmente eppure più passano le ore e più risulta evidente che all’interno del governo sta maturando una consapevolezza difficile da smentire: l’opzione del lockdown generale non appartiene più alla categoria del se ma appartiene ormai alla categoria del come. C’è chi parla già di una data possibile fissata sul calendario, addirittura lunedì prossimo, e c’è chi parla invece di una data massima, ovvero il 7 novembre, ma più che perderci nel gioco del toto date ciò che invece conta per capire come sarà la chiusura del paese è studiare le tre opzioni che il governo sta valutando per organizzare il secondo lockdown all’italiana.

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I ministri del governo Conte non lo potranno mai confermare ufficialmente eppure più passano le ore e più risulta evidente che all’interno del governo sta maturando una consapevolezza difficile da smentire: l’opzione del lockdown generale non appartiene più alla categoria del se ma appartiene ormai alla categoria del come. C’è chi parla già di una data possibile fissata sul calendario, addirittura lunedì prossimo, e c’è chi parla invece di una data massima, ovvero il 7 novembre, ma più che perderci nel gioco del toto date ciò che invece conta per capire come sarà la chiusura del paese è studiare le tre opzioni che il governo sta valutando per organizzare il secondo lockdown all’italiana.

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L’opzione uno è quella che abbiamo descritto ieri: regioni e sindaci si prendono la responsabilità di chiudere a livello locale in modo aggressivo per evitare che sia lo stato a fare per tutti quello che potrebbe essere fatto solo per qualcuno.

 

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L’opzione due è un lockdown sul modello francese: scuole materne e primarie aperte, ristoranti e bar chiusi e le principali attività produttive che restano aperte.

 

L’opzione tre è un lockdown sul modello sperimentato a marzo con chiusure per tutti, anche per le scuole, per due settimane, e riaperture graduali dopo due settimane, scuole comprese.

 

Nella nuova geografia dei lockdown europei c’è però una novità interessante che è cominciata a emergere da giorni ed è la scelta di fronte alla quale si sono trovati molti paesi che hanno ricominciato a chiudere: decidere se tenere o no aperte le scuole. Francia, Germania e Irlanda hanno richiuso il paese lasciando però saggiamente aperte le scuole dell’infanzia e le scuole primarie. E lo hanno fatto non solo sulla base di una valutazione epidemiologica ma anche sulla base di una valutazione culturale. La valutazione culturale è centrale ed è intuitiva e non riguarda solo la necessità di dare la possibilità ai genitori con bambini piccoli di poter lavorare da casa ma riguarda anche una questione che ha messo a fuoco perfettamente alcuni giorni fa su questo giornale Cliff Taylor, capo della redazione Economia dell’Irish Times: “Le scuole aperte ci danno speranza: in questi mesi, in Irlanda, si è capito che sono luoghi fondamentali per il benessere psicologico dei più piccoli e che sono fondamentali anche per i genitori che lavorano”.

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Lasciare le scuole aperte dà speranza, offre ristoro e indica un tentativo di tenere il presente drammaticamente incerto ancorato ai possibili sogni del futuro. Ma lasciare le scuole aperte in caso di lockdown potrebbe rivelarsi una scelta giusta anche per questioni legate all’epidemiologia. In Germania, il dieci ottobre, il ministro dell’Istruzione ha comunicato i dati sui contagi nelle scuole, raccolti a campione nel corso dei mesi, e ha offerto numeri incoraggianti: nel Nord Reno-Westfalia e in Baviera è stato colpito solo lo 0,04 per cento degli studenti e solo lo 0,1 per cento degli insegnanti; a Berlino, è stato colpito solo lo 0,07 per cento degli studenti e solo lo 0,14 per cento degli insegnanti. In Italia statistiche precise non se ne conoscono (mentre si sa per esempio che il governatore della Puglia Michele Emiliano ha scelto di chiudere tutte le scuole, escluse quelle dell’infanzia, dopo che 417 studenti sono risultati positivi a fronte di una popolazione studentesca di 562 mila ragazzi). Ciò che si sa, invece, è che esistono alcuni studi indipendenti che da settimane monitorano l’andamento dei contagi a scuola. E accanto a quelli raccolti dal nostro Enrico Bucci sul sito del Patto trasversale per la scienza ce ne sono altri interessanti che verranno presentati a giorni. Uno di questi studi è quello a cui stanno lavorando da settimane a Roma, al Bambino Gesù, Carlo Federico Perno, microbiologo e virologo, e Alberto Villani, presidente della Società italiana di pediatria, che dopo aver campionato 1.500 ragazzi all’interno di due scuole romane (scuole che hanno registrato un solo caso di positività in questi mesi) hanno raccolto una serie di valutazioni interessanti che sono state anticipate al Foglio. La prima è questa ed è importante: è risultato, a seguito di una serie di doppie tamponature, che il test salivare è attendibile per tracciare le potenziali positività degli studenti all’interno delle scuole. La seconda è altrettanto incoraggiante: non vi è alcuna evidenza statistica tale da determinare l'assunto che le scuole siano un luogo più rischioso di altri. “Ma il vero problema – ci dice in conclusione Agostino Miozzo, direttore del Comitato tecnico scientifico – non è vedere se la scuola è pericolosa o meno. Il problema è un altro: attivare tutte quelle risorse necessarie a identificare, monitorare, isolare tempestivamente i positivi. Essere in grado di fare tamponi a tappeto in tempo reale e dare le corrette indicazioni”. La scuola può essere un modello di come si può convivere con la pandemia. Conviene ricordarselo, prima del prossimo lockdown.

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