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Un Sì antipopulista al referendum che non c’è. Perché parliamo del Mes

Claudio Cerasa

Dall’Europa e dalla maggioranza, ma anche dall’opposizione, attraverso i governi regionali, i segnali di cinque buoni motivi per credere che alla fine l’Italia ricorrerà a questo fondo straordinario

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Italy, what a Mes! La settimana che si apre sarà importante per il nostro paese non solo per capire come funzionerà la riapertura delle scuole ma anche per capire se tra sette giorni, ovvero all’indomani del referendum e delle elezioni regionali, sarà finalmente possibile parlare con meno sciatteria di un tema non del tutto irrilevante per il futuro dell’Italia e incidentalmente anche per il futuro delle scuole. Tema: cosa faremo con i benedetti e santissimi fondi del Mes? Il Mes ormai sapete tutti cos’è e non staremo lì ad annoiarvi con i dettagli tecnici. Basti solo ricordare qual è la scelta che il nostro paese dovrà compiere nelle prossime settimane: decidere se attivare o meno la linea di credito senza condizionalità che il Fondo salva stati ha garantito, per le spese sanitarie, ai paesi dell’Eurozona che ne hanno necessità. Il dibattito politico, anche qui, sapete come è strutturato. Il Partito democratico dice sì: dateci il Mes! Italia viva dice sì: viva il Mes! Forza Italia dice sì: vogliamo il Mes! La Lega dice no: il Mes porterà la Troika! Fratelli d’Italia dice no: il Mes è il cavallo di Troia dei burocrati di Bruxelles! Il M5s dice no: se nessun altro paese europeo chiede il Mes, perché l’Italia lo dovrebbe volere?

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Italy, what a Mes! La settimana che si apre sarà importante per il nostro paese non solo per capire come funzionerà la riapertura delle scuole ma anche per capire se tra sette giorni, ovvero all’indomani del referendum e delle elezioni regionali, sarà finalmente possibile parlare con meno sciatteria di un tema non del tutto irrilevante per il futuro dell’Italia e incidentalmente anche per il futuro delle scuole. Tema: cosa faremo con i benedetti e santissimi fondi del Mes? Il Mes ormai sapete tutti cos’è e non staremo lì ad annoiarvi con i dettagli tecnici. Basti solo ricordare qual è la scelta che il nostro paese dovrà compiere nelle prossime settimane: decidere se attivare o meno la linea di credito senza condizionalità che il Fondo salva stati ha garantito, per le spese sanitarie, ai paesi dell’Eurozona che ne hanno necessità. Il dibattito politico, anche qui, sapete come è strutturato. Il Partito democratico dice sì: dateci il Mes! Italia viva dice sì: viva il Mes! Forza Italia dice sì: vogliamo il Mes! La Lega dice no: il Mes porterà la Troika! Fratelli d’Italia dice no: il Mes è il cavallo di Troia dei burocrati di Bruxelles! Il M5s dice no: se nessun altro paese europeo chiede il Mes, perché l’Italia lo dovrebbe volere?

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Il referendum sul Mes, a guardar bene, è in realtà un referendum più politico che tecnico ed è evidente che non dovrebbe essere difficile scegliere se avere un prestito a un tasso dell’1,8 per cento (che è il tasso di interesse a 20 anni con cui la scorsa settimana sono stati piazzati sul mercato i Btp ventennali) o un prestito a un tasso quasi zero (che è il tasso di rendimento a dieci anni della linea di credito del Mes). Ma più che rimbambirvi con i numeri e con le posizioni politiche, il tentativo che faremo in questo articolo è quello di spiegarvi cinque ragioni solide, almeno speriamo, per cui il referendum sul Mes non verrà vinto dai sostenitori del no Mes. Le ragioni, più che tecniche, sono politiche e da giorni sul terreno della politica sono disseminati piccoli segnali utili a decodificare il giallo del Mes.

 

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Il primo segnale interessante è quello offerto il primo settembre da Paolo Gentiloni, commissario europeo all’Economia, che nel corso di un’audizione alla Camera ha messo nero su bianco una frase difficilmente contestabile dalla maggioranza che lo ha voluto a Bruxelles: “Le condizionalità macroeconomiche che hanno caratterizzato la crisi precedente sono state eliminate per queste linee di credito straordinarie destinate alla sanità”. Il tema delle condizionalità, dunque, è destinato a diventare un non tema, a meno che il Movimento 5 stelle non voglia mettere in discussione le parole del commissario Gentiloni, ma a offrire qualche elemento utile sulla possibilità o meno che dopo le regionali la maggioranza possa attivare il Mes (con i cui soldi potrebbe essere anche aiutata la scuola a ripartire con maggiore sicurezza, magari destinando una parte di quei miliardi all’assunzione di personale medico all’interno delle scuole) ci ha pensato qualche giorno fa il capogruppo alla Camera del Pd, Graziano Delrio, che nel corso di una trasmissione televisiva, dialogando con il capogruppo alla Camera della Lega Riccardo Molinari, si è lasciato sfuggire una mezza verità. Molinari ha chiesto a Delrio con quale legittimità il governo ha dato mandato alla Commissione europea di far partire la richiesta per accedere ai 27,4 miliardi di euro previsti per l’Italia dal fondo europeo dedicato alla lotta contro la disoccupazione (Sure) e Molinari lo ha fatto sapendo che il meccanismo di questo fondo non è così diverso dal meccanismo del Mes: le modalità di accesso sono diverse (per attivare il Sure il governo deve passare dalla Commissione, per attivare il Mes il governo non ha bisogno di passare dalla Commissione) ma il processo sempre quello è: un prestito è quello del Mes (tasso 0,18 per cento) e un prestito è quello del Sure (tasso anche più alto: 1,4 per cento). Molinari ha chiesto a Delrio la ragione per cui il governo non aveva coinvolto il Parlamento nella scelta di attivare il fondo Sure e si è chiesto se per caso il governo non avesse considerato sufficiente per richiedere il Sure un passaggio parlamentare in luglio quando le Camere approvarono una risoluzione sulle comunicazioni del premier in vista del Consiglio europeo straordinario del 17-18 luglio a Bruxelles con la quale chiesero al presidente del Consiglio di lavorare per attingere in futuro ai fondi Ue. Il Mes, come il Sure, non era specificato in quella risoluzione e Molinari per questo si è posto una domanda legittima: ma non è che aver detto di sì, in quella risoluzione, all’attivazione dei fondi europei è stato un viatico per dire di sì a tutti i fondi offerti dall’Europa, compreso il Mes? Delrio, in diretta, ha allargato le braccia e ha lasciato intendere, con un giro di parole, che quel pensiero di Molinari non è del tutto privo di senso. In verità, il fondo Sure è stato richiesto partendo da un’altra base giuridica, una misura contenuta nel decreto “Rilancio”, ma la sostanza non cambia: il Pd è convinto che l’attivazione del Mes sia una questione in via di risoluzione e ne è convinto a tal punto che il segretario, Nicola Zingaretti, che solitamente rifugge dalla tentazione di avere posizioni nette, su questi temi, da settimane non fa altro che ripetere giustamente viva il Mes, viva il Mes.

 

La convinzione di Delrio, e del Pd e di Italia viva, è poi suffragata da altri elementi interessanti che riguardano un tema interno alla maggioranza e uno interno all’opposizione. La maggioranza, per cominciare, nel piano nazionale per le riforme presentato a luglio ha previsto, nero su bianco, uno stanziamento di 32 miliardi di euro per il rafforzamento delle strutture sanitarie, che casualmente coincide con la quota che spetterebbe all’Italia in caso di accesso alla linea di credito sul Mes (36 miliardi). Abbiamo posto questa domanda la scorsa settimana a Giuseppe Conte, e il premier ha confermato che l’impegno dell’Italia è quello. E anzi lo sarà ancora di più: “Vogliamo strutture più sicure, moderne, adeguate dal punto di vista antisismico, ripensate in un concetto green e digitale. Ma il progetto si inserisce in un piano complessivo da 75 miliardi di euro”. E dove prenderà l’Italia quei soldi? Il ministro della Salute, Roberto Speranza, sempre in un’intervista rilasciata al Foglio qualche settimana fa, lo ha detto con chiarezza: quei soldi possono venire dal Mes e per questo il governo, dice Speranza, “nell’auspicio che la politica risolva i nodi che vi sono all’interno della maggioranza, sta lavorando a un progetto per utilizzare bene tutti i soldi che il governo troverà per rafforzare il nostro sistema sanitario”. E lo stesso si è augurata anche il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, che sempre dialogando con il nostro giornale ha offerto uno spunto di riflessione ulteriore: “Se sia giusto prendere il Mes? Penso assolutamente di sì e penso che tutto ciò che può aiutare il nostro sistema sanitario a essere ancora più forte vada accolto e utilizzato come si deve. E per quanto mi riguarda, avere un sistema sanitario ancora più forte significa avere un paese che sceglie di mettersi al sicuro prendendosi ogni giorno un po’ più cura di se stesso”.

 

Per quanto possa sembrare paradossale, poi, i ministri del governo che sognano di poter accedere ai fondi del Mes potrebbero trovare presto alleati preziosi tra i governatori delle regioni, che al netto di quello che accadrà domenica prossima in Campania, Puglia, Marche, Toscana, Veneto, Liguria e Valle d’Aosta, tranne piccole eccezioni sono a favore del Mes (compresi i governatori del centrodestra di Calabria e Piemonte, oltre all’attuale governatore della Liguria Toti, e scommettiamo che in cuor suo anche Zaia i soldi del Mes non li butterebbe via). Il referendum di domenica prossima sarà importante per stabilire il futuro delle riforme costituzionali. Ma una volta esaurita la tornata elettorale il Pd e Italia viva dovranno ricordarsi che il modo migliore per battere il populismo non è twittare ma è dimostrare con i fatti che il legno storto dell’anti-europeismo si può raddrizzare offrendo al Parlamento l’unica cura di cui ha bisogno per aiutare l’Italia ad affrontare la pandemia: il vaccino della realtà.
 

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