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Chi si gioca tutto in Campania

David Allegranti

De Luca avanti nei sondaggi, in un colpo solo rischiano tutti tranne (forse) Meloni. La Lega ha in ballo la leadership e i grillini la faccia. E c'è un sorpasso temuto dal Pd

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"In queste condizioni è impossibile aprire le scuole”, dice Vincenzo De Luca con espressione severa, la stessa che ha tenuto per tutta l’emergenza sanitaria. C’è infatti un prima e un dopo Covid per la Regione Campania e pure per le elezioni regionali di settembre. E c’è un prima e un dopo anche per De Luca, che nella gestione politica del virus ha cercato di presentarsi – probabilmente riuscendoci – come l’anti-Fontana, spesso anche drammatizzando il contesto fino a “mettere paura ai campani”, come dice qualche suo concittadino.

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"In queste condizioni è impossibile aprire le scuole”, dice Vincenzo De Luca con espressione severa, la stessa che ha tenuto per tutta l’emergenza sanitaria. C’è infatti un prima e un dopo Covid per la Regione Campania e pure per le elezioni regionali di settembre. E c’è un prima e un dopo anche per De Luca, che nella gestione politica del virus ha cercato di presentarsi – probabilmente riuscendoci – come l’anti-Fontana, spesso anche drammatizzando il contesto fino a “mettere paura ai campani”, come dice qualche suo concittadino.

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Cinque mesi fa, il Pd voleva bersi l’ex sindaco di Salerno come una cedrata fresca, fare l’accordo con i Cinque stelle e affrontare spavaldo “le destre” (sempre plurali secondo il canone zingarettiano) con un candidato condiviso, il Sergio Costa di turno da offrire all’alleanza grillopidì. Cinque mesi dopo, De Luca è il candidato del centrosinistra, i Cinque stelle vanno per fatti loro, con il presidente campano ci sono quindici liste – tra cui De Luca Presidente – e il Pd adesso ha paura di diventare solo uno dei tanti partiti di contorno del deluchismo. Gli è andata bene, anche se non benissimo: ha provato fino alla fine a far saltare l’accordo a Pomigliano d’Arco, la nuova Rignano sull’Arno, ma non c’è riuscito e lì alla fine l’alleanza giallo-rosé s’è realizzata, con gran soddisfazione di Luigi Di Maio, incidentalmente ministro degli Esteri con delega ai compromessi minori in Campania, che si è congratulato con se stesso per l’ottimo risultato.


Cinque mesi fa, il Pd voleva bersi De Luca come una cedrata fresca e fare l’accordo con il M5s: adesso rischia di arrivare dietro la sua lista


 

Cinque mesi dopo, insomma, De Luca è dato in vantaggio. Secondo un sondaggio Winpoll-Cise, il presidente uscente è al 58,6 per cento, Stefano Caldoro – candidato del centrodestra, già presidente di Regione dal 2010 al 2015 – al 28,9 per cento. Il centrodestra sembra aver perso l’occasione di candidare Mara Carfagna. Ma soprattutto l’ha persa Forza Italia, che adesso rischia pure di essere superata da Fratelli d’Italia in una regione che è sempre stata il granaio del berlusconismo. “Fra la diaspora di Forza Italia e la Lega che sta andando a picco, a guadagnarci sembra il partito di Giorgia Meloni. Vedremo, a urne aperte, se i voti li porteranno i candidati o se la spinta sarà venuta dall’appeal di una leader che buca molto bene lo schermo”, dice al Foglio il politologo Mauro Calise, autore di numerosi libri di successo sulla leadership e i partiti personali. Preconizza Clemente Mastella al Foglio: “Vince De Luca. Il Pd arriva dietro la lista di De Luca. Forza Italia arriva terza nel centrodestra e la Lega precipita dal suo 34 per cento al 10-12. Arriva dopo Fratelli d’Italia che recupera in Campania la quota tipica della tradizione di destra”. Segnatevi i numeri perché il sindaco di Benevento, che l’ha giurata a Salvini e sostiene De Luca, è di solito preciso con i conti. Ma se il centrosinistra vincerà davvero il merito sarà di De Luca, battutista truce e feroce. 

 

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“In Campania le coalizioni sono pari, e a De Luca rimane un vantaggio che potrà essere rosicato dall’ultima settimana di campagna elettorale”, dice al Foglio Gianfranco Rotondi: “Il governatore uscente prepara la sua discesa in campo nazionale, dunque giocherà una partita determinate e sorprendente, bisogna prepararsi”. De Luca farà dunque fuoco e fiamme a pochi giorni dal voto? “Certamente. E’ imprevedibile, farà di Salvini il suo bersaglio saltando a piè pari il mite Caldoro. Si proporrà come l’unico vincitore”, dice Rotondi, che argomenta: “Lui sa di non essere un vincente come governatore ma solo come influencer, è come tale si proporrà: farà di Salvini il suo antagonista – con attacchi anche molto duri – e dopo aver vinto dirà che ha vinto solo lui e quindi è incoronato anti-Salvini sul piano nazionale. Questo è il disegno”. Rotondi è convinto che Forza Italia sarà superata dal partito di Giorgia Meloni, ma non da Matteo Salvini, che pure ha già prenotato la candidatura a sindaco di Napoli per il 2021. Sarebbe comunque un bruttissimo colpo per i berlusconiani. Nel 2015, Forza Italia prese il 17,81 per cento: 405.773 voti. Alle Europee del 2019 i voti sono diventati il 13,6: 298.254. Fratelli d’Italia ha preso il 5,8 per cento: 127.211 voti. La Lega alle Europee ha preso il 19,2 per cento: 419.623 voti. E stavolta? Stavolta rischia di cambiare tutto, come profetizza Mastella, che già si frega le mani e fa multare Salvini (400 euro) per essere andato a Benevento senza mascherina.

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Gianfranco Rotondi: “De Luca sa di non essere vincente come governatore ma solo come influencer. Ora attaccherà Salvini”


 

L’altro elemento da analizzare politicamente sarà il risultato dei grillini, in una regione molto generosa con il populismo, terra natia e d’elezione di pesi massimi del M5s, come il napoletano Roberto Fico. “Sarà interessante capire come andranno i Cinque stelle. In Campania continuano con una contrapposizione frontale, mentre a Roma il clima si è capovolto”, dice al Foglio il politologo Calise. Alle Europee i grillini avevano preso il 33,8 per cento, ma sembra passato un secolo. “Il voto ci dirà se c’è un residuato antagonistico consistente nel loro elettorato, o se ormai l’unica linea è quella governativa di Di Maio. Quanti saranno, insomma, in Campania quelli che fanno ancora le barricate? Certo questo tipo di competizione non li aiuta, visto che i grillini non vengono mai favoriti nelle elezioni territoriali. Comunque, se va male sarà per Di Maio l’ennesimo segnale: la svolta governativa è l’unica strada da percorrere o si ritroveranno da soli al palo”. Con l’aggravante – per i seguaci della loro candidata, Valeria Ciarambino – che, in questi ultimi mesi, è nettamente cambiato il clima d’opinione: “Sì – continua Calise – De Luca, rispetto alla gestione della crisi sanitaria, ne è uscito bene, anzi benissimo. Fino a ieri, la sua forza erano le capacità amministrative, oggi si gioca anche la carta di un’ottima presenza mediatica”. Questo, dal punto di vista politologico è l’elemento più nuovo e interessante: “Per la prima volta, in una competizione regionale, c’è la coesistenza del fattore mediatico con quello territoriale. Per definizione, le elezioni regionali sono le più refrattarie alle dinamiche d’opinione. Non esiste una opinione pubblica regionale. La Campania, dal punto di vista simbolico e identitario, è un’espressione geografica. Esistono i napoletani, i salernitani, gli avellinesi. Ma ha mai incontrato un campano?”. Insomma, dice Calise, fino a cinque mesi fa “la dinamica di una comunicazione specifica sulla Regione non c’era. Non c’è stata nemmeno quando Salvini era all’apice della popolarità nazionale. E’ stato capace di sfondare territorialmente in Umbria, sì, ma lì c’era un partito in cocci per le note vicende giudiziarie. Tant’è che quando ha tentato la stessa operazione in Emilia-Romagna, non gli è riuscita”. Il covid ha modificato le regole del gioco, osserva il politologo: “L’emergenza sanitaria ha rivoluzionato l’agenda pubblica, l’attenzione si è spostata tutta sul sistema sanitario, e sui governatori che lo gestiscono. Così i governatori sono diventati star mediatiche nazionali. In questa situazione, uno come De Luca, di cui già si apprezzavano le battute televisive, ha sfondato. Per la prima volta, i governatori possono puntare anche sull’elettorato d’opinione. Fino a ieri c’erano in campo soprattutto le liste dei micronotabili, a raccogliere i voti porta a porta, oggi i presidenti di regione possono finalmente mettere la faccia sulla propria elezione”.

 

Per questo, De Luca ha personalizzato lo scontro, anche con il Pd. Si è accorto che può sfidare non soltanto Caldoro ma anche il partito che voleva farlo fuori. La parcellizzazione e la balcanizzazione del centrosinistra si può spiegare anche così: con De Luca che vuole far diventare il suo partito uno fra i tanti che lo sostengono. Ben quindici le liste con lui, si diceva. Ma potevano essere persino di più, visto che all’inizio erano in 19 a voler appoggiare De Luca ma a luglio c’è stata una riunione di scrematura. Tra i sopravvissuti anche PiùEuropa: “De Luca è oggi l’unico ostacolo alla cattura ideologica e politica del Pd meridionale da parte dei 5S e di De Magistris. Già questo per noi vale l’appoggio al governatore”, dice al Foglio il vicesegretario nazionale, Piercamillo Falasca, campano di Sarno, una laurea in economia alla Bocconi.


Forza Italia ha perso l’occasione di candidare Mara Carfagna e adesso rischia di arrivare addirittura dietro Fratelli d’Italia


 

La scrematura tuttavia non è bastata a diminuire il caos e i casi politicamente discutibili. Come quello di Ernesto Sica, ex sindaco di Pontecagnano, condannato per il dossieraggio contro Stefano Caldoro. Ex Forza Italia, ex Lega, alle Regionali sarà candidato di Italia viva. Non che dall’altra parte non manchino. Nel centrodestra c’è Dante Santoro, che a soli 31 ha già cambiato più partiti che camicie: nel 2011 si è candidato al consiglio comunale di Salerno con la lista “Salerno per i giovani”, a sostegno di De Luca; nel 2015 ha partecipato alle comunarie del M5s, poi si è avvicinato a Luigi de Magistris, aderendo a DeMa, e infine – quest’anno – si candida con la Lega.

 

Sono insomma tutti in campo a queste elezioni regionali. Oltre a Mastella c’è pure Ciriaco De Mita (anche lui con De Luca), giusto per far capire quanto sia forte l’effetto band wagon deluchiano, sul quale pure c’è molto da dire, come osserva su Fanpage Ciro Pellegrino: “Il solipsismo del personaggio è ben chiaro a tutti ed è ben chiara la sua allergia a spiegare ai comuni mortali le ragioni del suo agire. Egli ha poteri e li usa e vuole al massimo comunicare ogni venerdì, senza contraddittorio, cosa ha fatto e cosa ha detto. Eh no, non funziona così”. I comizi televisivi di De Luca su Lira Tv sono diventati un sottogenere letterario, diventati poi una parodia (e certe volte una autoparodia) al pari delle sortite pubbliche del grande assente di queste elezioni regionali: Luigi de Magistris. Il sindaco di Napoli, al secondo mandato, avrebbe potuto giocarsela alle elezioni. Alla fine non si è presentato e pure il sogno di replicare il modello Sandro Ruotolo delle suppletive – con Pd alleato a DeMa – svanito. Forse è persino la fine dell’eredità politica di de Magistris. Fulvio Frezza, fedelissimo del sindaco di Napoli e vicepresidente del consiglio comunale, si candida con + Campania in Europa, al fianco di De Luca. Gabriele Mundo, in passato assessore in Comune, nel 2016 rieletto nella lista de Magistris sindaco, si candida con Italia Viva. Maria Caniglia, presidente della commisione Welfare, un tempo vicina al sindaco, si candida con Fare Democratico, una lista che mette insieme ex Pd ed ex forzisti. L’assenza di de Magistris non deve però stupire, dice al Foglio la senatrice del Pd Valeria Valente: “La verità è semplice: il buon governo e la concretezza di De Luca vincono sulle mancate promesse e sulla demagogia del sindaco di Napoli, che hanno ridotto Napoli allo stremo. Come avrebbe potuto de Magistris proporsi in questa partita? Così de Magistris si sottrae da una competizione che con ogni evidenza lo avrebbe visto soccombere certificandone il fallimento e i suoi consiglieri, fiutato esito della partita, scelgono di giocare carta vincente schierandosi con il governatore dopo la delusione di una ‘rivoluzione’ fasulla”. 

 

 

De Luca insomma non ha neanche il contraltare del sindaco di Napoli, il cui destino politico appare incerto. Che cosa rimane a sfidarlo? Forse non Caldoro, ma il contesto socio-economico, come si evince da un’analisi della Banca d’Italia sull’economia campana, sulla quale le conseguenze dell’emergenza sanitaria hanno lasciato il segno, in una regione che – ha scritto di recente il Riformista – “si trova tra il 16esimo e il 18esimo posto nella graduatoria delle venti regioni italiane con una percentuale dei pagamenti che, a fine 2019, si attestava intorno al 25 per cento per quanto riguarda il Fondo europeo di sviluppo rurale (Fesr) e al 27 per cento per il Fondo di sviluppo europeo (Fse)”.


Mauro Calise: “Il voto ci dirà se c’è un residuato antagonistico nel M5s o se ormai l’unica linea è quella governativa di Di Maio” 


 

In poco più di un decennio la Campania ha attraversato fasi cicliche alterne, osserva il rapporto della Banca d’Italia: “Alla lunga recessione iniziata nel 2008, proseguita senza soluzione di continuità fino al 2013, ha fatto seguito una ripresa che negli anni più recenti ha perso progressivamente vigore. Il parziale recupero dai livelli di attività del 2007 rischia di essere compromesso in misura significativa dalla più grave pandemia dell’ultimo secolo, nonostante la diffusione del coronavirus e l’incidenza dei decessi attribuiti al virus siano stati in Campania ampiamente inferiori rispetto alle regioni epicentro del contagio”, scrive Bankitalia. Nell’immediato l’economia campana ha risentito “degli stringenti provvedimenti di distanziamento fisico e di limitazione della mobilità dei cittadini volti al contenimento del contagio. Tali interventi, che hanno inizialmente riguardato le zone in cui sono emersi i primi focolai, sono stati estesi a livello nazionale con il lockdown, imposto il 9 marzo, e la chiusura di tutte le attività considerate non essenziali, dal 26 marzo. In Campania l’impatto di tali provvedimenti è stato meno ampio: sono rimasti attivi il 58,6 per cento degli addetti alle unità locali presenti in regione, rappresentative del 60,5 per cento del fatturato, valori ambedue superiori alla media stimata per l’Italia. Il graduale allentamento delle misure si è avviato il 4 maggio”.

 

Le misure di contenimento e la diffusione globale del virus hanno iniziato a produrre i primi effetti sull’economia campana già nel primo trimestre del 2020: “Le esportazioni, pur continuando a crescere a ritmi elevati, sostenute dal favorevole andamento del comparto agro-alimentare, hanno rallentato. Il movimento di merci e passeggeri si è drasticamente ridotto. L’occupazione, già in calo nel 2019, si è ulteriormente contratta nel primo trimestre del 2020, con effetti verosimilmente sfavorevoli sulle prospettive dei consumi privati”. Insomma in prospettiva, finché non si avvia una rapida ripresa, “l’economia della Campania continuerà a risentire degli effetti della pandemia, in virtù dei legami produttivi con le regioni dove più diffuso è stato il contagio, della rilevanza dell’interscambio commerciale con il resto del mondo e del crescente ruolo che negli ultimi anni ha assunto il turismo, specie internazionale. Secondo nostri modelli di previsione, il brusco calo del Pil atteso per il 2020 sarebbe nel Mezzogiorno sostanzialmente in linea con quello nazionale”. E per metterci una pezza non basteranno i comizi televisivi di De Luca.

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