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Referendum sull’antipolitica? Ma dove?

Giuliano Ferrara

L’intolleranza verso il sì referendario nasce da visioni errate dell’Italia moderna

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Molti in ottima fede non accettano di votare a favore della riduzione del numero dei parlamentari, e anzi sono infuriati con chi la pensa diversamente e lanciano con foga accuse di tradimento e collusione con i nemici della democrazia rappresentativa. C’è anche molta frustrazione in giro, quelli del “No” prevedono per il 21 settembre, chissà poi se sia vero, una cocente sconfitta per le loro posizioni e una risonante vittoria dell’antipolitica demagogica. Nonostante un voto parlamentare massiccio a favore della riforma costituzionale oggetto di referendum, l’idea che risulta insopportabile è una parata da balcone con Di Maio e altri affacciati su una folla plaudente nella scia del mito anticastale. Il Pd naviga nell’esitazione, richiama patti che legano il nuovo Parlamento a una riforma elettorale, e questo francamente è giusto ma aumenta l’incertezza generale, sparge una patina di banale politicismo, a parte le encomiabili intenzioni, sul pronunciamento finale degli organi direttivi di quel partito. 

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Molti in ottima fede non accettano di votare a favore della riduzione del numero dei parlamentari, e anzi sono infuriati con chi la pensa diversamente e lanciano con foga accuse di tradimento e collusione con i nemici della democrazia rappresentativa. C’è anche molta frustrazione in giro, quelli del “No” prevedono per il 21 settembre, chissà poi se sia vero, una cocente sconfitta per le loro posizioni e una risonante vittoria dell’antipolitica demagogica. Nonostante un voto parlamentare massiccio a favore della riforma costituzionale oggetto di referendum, l’idea che risulta insopportabile è una parata da balcone con Di Maio e altri affacciati su una folla plaudente nella scia del mito anticastale. Il Pd naviga nell’esitazione, richiama patti che legano il nuovo Parlamento a una riforma elettorale, e questo francamente è giusto ma aumenta l’incertezza generale, sparge una patina di banale politicismo, a parte le encomiabili intenzioni, sul pronunciamento finale degli organi direttivi di quel partito. 

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D’altra parte, molti che voteranno “Sì”, e alcuni di loro votarono allo stesso modo quando una maggioranza berlusconiana e poi una renziana proposero riforme costituzionali contenenti anche il famoso taglio, non sarebbero contenti di una nuova affermazione della piattaforma detta “dell’accozzaglia”, il partito del “no” eterno a qualsiasi cambiamento nella Costituzione più bella del mondo, in cui gente rispettabile, folle di giuristi, appellisti professionali e popoli vari della protesta già girotondina, si mescolano a demagoghi balordi quanto i grillini della prima ora, pomposi e faziosi sostenitori di un conservatorismo costituzionale e nemici giurati di ogni possibile progetto riformista, tipi che avrebbero volentieri azzoppato Berlusconi e Renzi, per non parlare di Craxi e della Iotti e di D’Alema che per loro fortuna non sono mai arrivati alla conta finale e l’hanno scampata bella.

 
Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei: in questo caso non vale in nessun senso, ciascuno ha compagni di strada che preferirebbe non avere, e come abbiamo spesso notato politics makes strange bedfellows.

 

Il punto è che l’intolleranza verso il “Sì” al quesito referendario dipende interamente da una valutazione errata di quanto è accaduto in questo paese nel tempo recente. Quello del 21 settembre non è un voto sull’antipolitica perché la signorina è morta e stramorta. Opporsi alla riforma e abrogarla a furor di popolo equivale in realtà, posto che tutti sanno in cuor loro (comunque abbiano deciso di votare) che la riduzione del numero dei parlamentari non è un indebolimento fatale o un colpo mortale alla democrazia rappresentativa, che semmai naviga in cattive acque per tutt’altre ragioni, opporsi è come se uno si pronunciasse contro la grande svolta della mutualizzazione del debito in Europa perché è stata trattata da un presidente del Consiglio di estrazione 5 stelle, perché è anche il risultato di una nuova collocazione dell’Italia e del suo governo Pd-5 stelle nell’equilibrio dell’Unione all’ora della pandemia e dello sforzo di ricostruzione e bilanciamento al quale si sono impegnate Germania, Francia e gli altri della partnership di Bruxelles.

 

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Tutti ricordiamo il momento più grottesco dell’antipolitica antieuropeista grillina, quando Dibba e Di Maio si recarono in un van al Palazzo Berlaymont e promisero di picconarlo a favore di telecamera. E quell’immagine ridicola è stata cancellata dall’esperienza politica del governo Bisconte, quali che siano le sue contraddizioni e i suoi sbaffi di cipria e fanghiglia. Sequestrata dal sovranismo al mojito, messa di fronte al suo esito truce dei pieni poteri e altre amenità, umiliata e calpestata, combattuta con gagliardia da tanti che ora votano in modo opposto, con la svolta di un anno fa l’antipolitica demagogica è deceduta. Chi si ricorda che i due ragazzotti, uno dei quali voleva espugnare l’Eliseo con i gilet gialli, mentre insieme attaccavano la roccaforte dell’Unione europea, erano campioni casaleggiani dell’abolizione dei partiti e delle assemblee rappresentative? Uno ha molto viaggiato, l’altro fa il ministro degli Esteri in un governo di concretismo europeista vecchio stile, un tanto postcomunista e un tanto democristiano nello stile e nei contenuti. L’Italia è un paese strano, se volete inaffidabile in tutte le sue promesse, compresa quella dell’antipolitica, ma le cose stanno così.

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