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Le vite (a 5 stelle) degli altri

I parlamentari del M5s si ribellano alla Stasi dell'Inps e di Rousseau

Valerio Valentini

Una trentina di deputati e senatori rifiutano di firmare il modulo che consente a Tridico di fare i nomi di chi ha intascato il bonus. E sul voto online è il caos. Le trame di Buffagni, il malessere sulla Raggi

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Roma. Chi lo fa, ovviamente, ci tiene a farlo vedere. Post su su Instagram coi volti seri e corrucciati, tweet autocelebrativi grondanti disciplina e onore: “Io ho firmato”, “Anche io ho firmato”, “Ho firmato pure io”. Eccoli qui, i soldatini zelanti del M5s, che chiedono all’Inps di rivelare tutta la verità, nient’altro che la verità, sul loro conto e sui loro conti, ché del resto male non fare, paura non avere, e loro sono lindi e immacolati. E però, poi, silente e marginale, c’è anche una truppa di parlamentari del M5s che a firmare la richiesta di autorizzazione non ci pensa neppure. E non perché, garantiscono, abbiano qualcosa da temere o da nascondere: è che non ci stanno a partecipare a questa “caccia al parlamentare”, a fare le comparse in una farsa che getta discredito sull’intera pattuglia di Montecitorio e Palazzo Madama. E così, mentre Vito Crimi, il reggente che non regge, invita tutti ad autorizzare la disclosure dell’Inps, così da individuare il furbetto grillino che s’è intascato i 600 euro del bonus, Luigi Di Maio guarda già oltre e invita gli italiani a tenersi pronti, ché il 22 settembre “si tagliano 300 stipendi inutili”. Cornuti e mazziati, insomma.

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Roma. Chi lo fa, ovviamente, ci tiene a farlo vedere. Post su su Instagram coi volti seri e corrucciati, tweet autocelebrativi grondanti disciplina e onore: “Io ho firmato”, “Anche io ho firmato”, “Ho firmato pure io”. Eccoli qui, i soldatini zelanti del M5s, che chiedono all’Inps di rivelare tutta la verità, nient’altro che la verità, sul loro conto e sui loro conti, ché del resto male non fare, paura non avere, e loro sono lindi e immacolati. E però, poi, silente e marginale, c’è anche una truppa di parlamentari del M5s che a firmare la richiesta di autorizzazione non ci pensa neppure. E non perché, garantiscono, abbiano qualcosa da temere o da nascondere: è che non ci stanno a partecipare a questa “caccia al parlamentare”, a fare le comparse in una farsa che getta discredito sull’intera pattuglia di Montecitorio e Palazzo Madama. E così, mentre Vito Crimi, il reggente che non regge, invita tutti ad autorizzare la disclosure dell’Inps, così da individuare il furbetto grillino che s’è intascato i 600 euro del bonus, Luigi Di Maio guarda già oltre e invita gli italiani a tenersi pronti, ché il 22 settembre “si tagliano 300 stipendi inutili”. Cornuti e mazziati, insomma.

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E allora non ci stanno, i parlamentari grillini. S’ammutinano silenziosamente: si rifiutano di firmare la certificazione richiesta. Trentasette, stando ai conteggi interni, quelli che martedì sera, termine ultimo per la compilazione del modulo, mancavano all’appello. Alcuni per deliberata contrarietà, altri perché magari stanno in vacanza, altri perché, non avendo la partita Iva e non essendo titolari d’impresa, si sentono al riparo dalla furia dell’Inquisizione interna, e dunque si ritengono esentati. E così il direttivo della Camera, a ora di cena, di fronte a quelle lacune, s’è visto costretto a sollecitare via mail “tutti coloro che non abbiano ancora inviato la dichiarazione Inps firmata”, specificando anche i modi con cui compilare il modulo e rispedirlo al mittente. Il tutto, beninteso, nell’attesa del mezzogiorno di fuoco di venerdì, quando Pasquale Tridico verrà audito dalla commissione Lavoro della Camera, chiarendo l’identità dei tre (o cinque?) incriminati dal tribunale delle veline dell’Inps e magari anche qualche inquietante stranezza nell’iter che ha portato il suo istituto dapprima a scandagliare laddove non era chiamata a farlo (visto che i deputati, a rigor di legge, avevano il diritto di chiedere il bonus), e poi a far filtrare nomi che forse non ci sono (non tutti, almeno: al momento solo i leghisti Dara e Murelli sono stati individuati, e sospesi dal gruppo).

 

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Ma se sulla firma del modulo per l’Inps la dissidenza interna del M5s si sostanzia soprattutto di silenzi, sugli altri temi deflagra in clamorose prese di posizione pubbliche contro il plebiscito indetto da Crimi, d’improvviso alla vigilia di Ferragosto, su Rousseau. Si discute sulla deroga al limite dei due mandati (chiunque ne abbia fatto uno da consigliere comunale potrà sperare in un terzo giro di giostra) e sulle alleanze alle amministrative dei mesi prossimi (ci si potrà alleare non solo con le liste civiche, ma anche col Pd). E tanto basta, per scatenare la canea.

 

Stefano Buffagni, giocando a fare il puro tra i più puri, e non parendogli vero di poter fare un frontale col suo storico rivale lombardo Crimi, gli dà in sostanza dello smidollato, cita a bella posta Casaleggio sr, ché “ogni volta che deroghi a una regola praticamente la cancelli” e insomma si prepara al congresso che verrà, quegli Stati generali eternamente rimandati dove il viceministro sgomitante punta ad arrivarci da candidato leader. Lo stesso appuntamento che chiedono però anche altri deputati: “Faremo gli Stati generali a colpi di votazioni su Rousseau?”, sbotta in chat il fichiano Luigi Gallo, subito seguito da Elisa Siragusa: “Trovo assurdo – protesta lei – che ogni sei mesi cambiano le regole in base agli interessi del momento”. E così, risalendo per li rami, anche la vicecapogruppo Ilaria Fontana, arcigna frusinate, squarcia il velo delle ipocrisie e condanna questa operazione agostana programmata apposta per legittimare le smanie di riconferma di Virginia Raggi: “La ratifica a cui siamo chiamati domani (perché di ratifica si tratta) è arrivata senza alcuna partecipazione, senza alcun dialogo, senza alcuna logica. Sembra quasi – accusa la Fontana – ad personam e le cose quando si fanno ad personam nascono male e finiscono peggio”. C’è un bel clima, insomma, per essere giorni di vacanza.

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