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“Ora Di Maio chiarisca se stiamo con l’Alleanza euroatlantica o nella sfera cinese”

Valerio Valentini

Nel Pd ci si chiede perché nessuno dei Cinque stelle prende le distanze da Di Battista e dal suo endorsement filocinese. “Non è il delirio di un pazzo”

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Roma. Se fosse solo il delirio di un pazzo, vabbè. “Ma invece a me non pare che le parole di Di Battista sulla Cina possano essere liquidate così, come un vaneggiamento di un ex parlamentare”. Carmelo Miceli, deputato siciliano del Pd, è il responsabile per la Sicurezza nella segreteria del Pd. E quando ha letto le parole del Bismarck di Vigna Clara, che suggerisce di far pesare sul tavolo dei negoziati europei “il rapporto privilegiato del governo italiano con Pechino”, visto che “La Cina vincerà la terza guerra mondiale”, si è convinto che “come al solito, quando la comparsa Di Battista fa il suo ingresso in scena in frangenti così delicati e con dichiarazioni tanto roboanti, non sia per caso. C’è semmai un gioco delle parti”. E siccome non è il momento di giocare, “è doveroso – dice Miceli – chiarire le posizioni di tutti, dicendo con assoluta nettezza da che parte si sta: se dalla parte dell’alleanza euroatlantica o nella sfera d’influenza di Pechino”.

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Roma. Se fosse solo il delirio di un pazzo, vabbè. “Ma invece a me non pare che le parole di Di Battista sulla Cina possano essere liquidate così, come un vaneggiamento di un ex parlamentare”. Carmelo Miceli, deputato siciliano del Pd, è il responsabile per la Sicurezza nella segreteria del Pd. E quando ha letto le parole del Bismarck di Vigna Clara, che suggerisce di far pesare sul tavolo dei negoziati europei “il rapporto privilegiato del governo italiano con Pechino”, visto che “La Cina vincerà la terza guerra mondiale”, si è convinto che “come al solito, quando la comparsa Di Battista fa il suo ingresso in scena in frangenti così delicati e con dichiarazioni tanto roboanti, non sia per caso. C’è semmai un gioco delle parti”. E siccome non è il momento di giocare, “è doveroso – dice Miceli – chiarire le posizioni di tutti, dicendo con assoluta nettezza da che parte si sta: se dalla parte dell’alleanza euroatlantica o nella sfera d’influenza di Pechino”.

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Schierarsi, dunque. Senza infingimenti. “Perché se l’endorement alla Cina da parte di DI Battista ha un evidente valore politico, ce lo hanno anche le mancate reprimende a quell’endorsement da parte dei vertici del M5s. Ho letto di prese di distanze del tutto vaghe e generiche, affidate a ‘fonti grilline’, su un tema rispetto al quale nessuna vaghezza e nessuna genericità può essere ammessa. Non dal Pd, almeno, che l’irrinunciabilità al collocamento dell’Italia nel patto euroatlantico ce l’ha ben chiara in mente”. Anche perché, oltre ai silenzi, ci sono anche gli atti, più o meno recenti, a dare consistenza ai sospetti. “La Via della Seta, fortemente voluta dall’attuale ministro degli Esteri, è stato un dossier trattato con leggerezza. Doveva essere un accordo commerciale e invece s’è trasformato quasi in un accordo di affiliazione politica, una vicenda in cui l’Italia ha di fatto ceduto alle esigenze della propaganda della Cina. E poi la vicenda degli aiuti per l’emergenza sanitaria: ben venga il sostegno degli altri paesi, non possiamo che esserne riconoscenti. Ma se questa gratitudine deve essere il pretesto per aprire alla Cina settori strategici del nostro mercato e della nostra industria, come il 5G, allora no, proprio non ci siamo”.

 

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E insomma si chiede anche a Di Maio una parola di chiarezza. “E’ nell’ambiguità che i timori prendono forma. I timori, ad esempio, di chi crede che anche sulla questione del Mes ci sia un atteggiamento poco chiaro da parte del M5s”. Del resto anche Renato Brunetta, giorni fa, sul nostro giornale ha detto che “chi non vuole il Mes europeo vagheggia un Mes cinese”. Miceli dice allora che “le parole di Di Battista confermano la fondatezzadci simili sospetti. Perché è evidente che ciò di cui si sta parlando in questi giorni non ha nulla a che fare col Mes del passato. Quello strumento non esiste più, eppure il M5s continua ad aggredirlo con le stessa veemenza con cui si scagliava contro il vecchio Fondo salva stati. E dunque sì, all’ombra di questo grosso equivoco cresce il sospetto che qualcuno voglia utilizzare la disputa sul Mes per proporre una cambiamento nell’orientamento geopolitico dell’Italia”.

 

E certo, sarebbe il Parlamento il luogo più appropriato per discuterne. “E io auspico che lo si faccia presto”, dice Miceli. “Perché la pandemia e il conseguente stato di crisi possono legittimare una certa momentanea ridefinizione delle prassi nei rapporti tra le Camere e l’esecutivo, ma non possono in alcun modo giustificare un sovvertimento della gerarchia delle fonti: gli atti ministeriali o i Dpcm non possono sostituire il lavoro del Parlamento. Anche perché, nella marginalizzazione delle Camere si genera confusione, finisce che un’intervista o una dichiarazione assuma un peso specifico maggiore al dovuto”.

 

E vale per le elucubrazioni di Di Battista così come per l’app “Immuni”. “Come Pd - dice Miceli - abbiamo chiesto che si discuta in Parlamento di questa applicazione. E non perché siamo contrari all’utilizzo di una tecnologia di tracciamento ai fini della tutela della salute e della lotta al coronavirus. Ci mancherebbe. Ma bisogna fare chiarezza, perché ci sono problemi sia di forma sia di sostanza. Anzitutto, la app deve essere una sola, non è ammissibile una sovrapposizione di più software per la stessa funzione. In secondo luogo, l’uso dell’app deve essere volontario, ma volontario davvero. Imporre delle restrizioni negli spostamenti a chi non scarica il software non ci sembra opportuno, perché rischia di introdurre un obbligo di fatto. Più in generale, poi, bisogna fare chiarezza su un punto: e cioè questa app deve fornire dati e informazioni che siano strettamente indispensabili alla prevenzione del contagio, e nulla di più. E su tutto questo, il Parlamento deve poter discutere”.

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