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Ora Di Maio pensa alle dimissioni da capo politico del M5s

Salvatore Merlo

Schiacciato tra Conte e Dibba, ambizioni e rivolte. “A fine febbraio farò una mossa”, ha detto ai suoi collaboratori. Un altro Cincinnato? Strategie e convulsioni

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Roma. Conte a sinistra e Dibba a destra, circondato da uno stuolo di mezzi leader che vogliono fagli le scarpe, da Fico e da Morra, da Fioramonti e da Taverna, attorcigliato com’è nel garbuglio litigioso del M5s, ecco che Luigi Di Maio un po’ fa spallucce e un po’, ogni tanto, dice ai suoi: “Alla fine di febbraio lascio la guida politica. E vediamo come se la cavano”. E insomma questo leader di scarse lettura, ma di prensile intelligenza, autodidatta eppure intuitivo come Calandrino, il furbo del contado, gioca a pari o dispari: un po’ conta sulla natura arcitaliana dei suoi parlamentari (che se cadesse il governo non avrebbero più uno stipendio) e un po’ sogna la mossa eroica, il passo di lato. Non si paragona a Cincinnato – come ha fatto Conte – ma solo perché lui non è professore.

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Roma. Conte a sinistra e Dibba a destra, circondato da uno stuolo di mezzi leader che vogliono fagli le scarpe, da Fico e da Morra, da Fioramonti e da Taverna, attorcigliato com’è nel garbuglio litigioso del M5s, ecco che Luigi Di Maio un po’ fa spallucce e un po’, ogni tanto, dice ai suoi: “Alla fine di febbraio lascio la guida politica. E vediamo come se la cavano”. E insomma questo leader di scarse lettura, ma di prensile intelligenza, autodidatta eppure intuitivo come Calandrino, il furbo del contado, gioca a pari o dispari: un po’ conta sulla natura arcitaliana dei suoi parlamentari (che se cadesse il governo non avrebbero più uno stipendio) e un po’ sogna la mossa eroica, il passo di lato. Non si paragona a Cincinnato – come ha fatto Conte – ma solo perché lui non è professore.

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Alla Camera germoglia l’operazione politica dell’ex ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti, che traffica con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte – cioè con il cosiddetto “leader riformista” incoronato da Bettini e Zingaretti – per costruire la zattera dei grillini di sinistra. Mentre al Senato fermenta invece l’operazione parlamentare di Gianluigi Paragone che con Alessandro Di Battista rimescola da mesi e minaccia di costruire la scialuppa dei grillini di destra, anche se i più maliziosi (ovviamente amici di Di Maio) dicono che i due più altro stanno preparando una trasmissione televisiva. Chissà. “Una Gabbia per due”?

   

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E insomma il Movimento è agonizzante, ha ormai più posti che voti, è quasi un’illusione ottica, e quel che resta, tra rancori e golosità di lite, viene trascinato in parte verso la sinistra e in parte verso la destra, in uno spazio politico interamente occupato da due figure, l’azzimato Conte e il descamiciado Di Battista. E Di Maio? Di Maio da che parte sta? Da nessuna. Non c’è. Si trova in un non luogo della politica. E infatti il giovane ministro degli Esteri una cosa la sa per certo: non può restare fermo. Deve fare una sua mossa, e non perché tema la caduta del governo, lo scioglimento delle Camere e le nuove elezioni, tutto questo Di Maio lo esclude perché sa bene che se si andasse a votare quasi nessuno dei grillini malmostosi sarebbe rieletto. E non c’è niente che i grillini temano di più che doversi andare a cercare un lavoro per davvero. Di Maio deve piuttosto fare una mossa per rilanciarsi, per ritrovare un suo spazio, una sua misura, una sua posizione. Ma qual è la mossa giusta? Se continua a cacciare parlamentari dal M5s, diventa ancora più debole con Conte. E se facesse saltare il governo, anche lui si condannerebbe alla fine (anche se ormai lui un lavoro saprebbe dove trovarlo, e non allo stadio San Paolo di Napoli).

   

Ieri, tra un tormento e l’altro ha iniziato la sua missione libica, poi giovedì sarà di nuovo a Roma per incontrare i gruppi parlamentari di Camera e Senato, in una riunione in cui si vedrà plasticamente lo stuolo dei mezzi leader – compresi i così detti facilitatori – che cercano di commissariarlo e ne osservano il pallore, ne sottolineano gli sbagli, gioiscono per le critiche, tutti convinti di essere più capaci di lui. Ma tra le pochissime cose di cui Di Maio non dubita – e ha ragione – ci sono l’incomprensibile afasia (Fico), la facondia inconcludente (Morra), il semianalfabetismo (Taverna) e la vana concentrazione (Toninelli) di ciascuno dei suoi presunti avversari e competitori. Insomma Di Maio è insostituibile, e lo sa. Nemmeno Dibba è d’altra parte un concorrente, visto che l’ex Che Guevara di Villa Clara non solo è di gran lunga (ma di gran lunga) il più odiato e mal sopportato dai parlamentari grillini, ma è ormai a quanto pare salito sullo stomaco persino a Beppe Grillo. O almeno questo è quello che racconta Di Maio. E insomma Di Maio un’idea ce l’ha, e la maneggia senza prudenza, anche perché probabilmente vuole che qualche giornale (come noi) lo scriva: mollare. Un nobile, sofferto e responsabile passo indietro dalla guida del Movimento cinque stelle. Loro si andranno così a sfasciare da soli, guidati da qualcun altro, mentre lui farà diligentemente il ministro, continuerà a coltivare quei rapporti che è abbastanza bravo a costruire e poi chissà, il tempo e la distanza sono medicine straordinarie, fanno crescere sentimenti inattesi come la nostalgia. “E prima o poi sarò richiamato”, pare abbia detto. Anche se in Italia capita più spesso che il tempo e la distanza producano l’oblio. Dunque chissà. L’annuncio, la mossa, richiede ancora un mese di tempo, a quanto pare. Di Maio vuole chiudere le trattative sulle nomine pubbliche, non solo per la Rai, “e a fine febbraio vedrete che farò qualcosa”.

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