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Senza interessi da difendere i nuovi partitini non serviranno a nulla

Giuliano Ferrara

Un partito verde e uno riformista di centro? Tutto ciò che smuove l’immobilismo del contratto gialloverde è un progresso, ma non si vede il fuoco nella pancia di queste organizzazioni di là da venire

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Walter Veltroni dice a Rep. che ci vorrebbe un partito Verde, ecologista, parte del centro-sinistra, vedremo poi se con o senza il trattino, al posto di un microrganismo inchiodato al due per cento, com’è oggi. Angelo Panebianco ha detto ieri a Valerio Valentini, qui, che sarebbe auspicabile, mediante scissione di una componente moderata e antipopulista in Forza Italia e nel Pd, la formazione di un partito centrista. Le argomentazioni del politico e del politologo sono in certo senso inattaccabili, almeno sul piano del famoso Sollen, il dover essere. Con qualche bizzarria ma con puntiglio Carlo Calenda aveva fatto per un tratto da battistrada alla sindrome fondatrice e scissionista, proponendo la gemmazione. Vero che in Europa un tratto distintivo in molti paesi è la impetuosa crescita di partiti ecologisti, pragmatici e modernizzatori, in quanto componenti rinnovatrici di sistemi politici invecchiati, e alternative intelligenti al becerume antisistema dei nazipop; vero che la sproporzione italiana tra la chiacchiera apocalittica e la delega dell’ecologismo ai casaleggiani non pragmatici e non modernizzatori, e ai No Tav, è clamorosa. Verissimo che il Pd tende strutturalmente all’autofagia, letteralmente si mangia le unghie e si rode il fegato in una contesa più che ambivalente, forse pluriambigua, tra una vocazione maggioritaria che non si trova, con la proporzionale, e una condivisione di valori presunta con i grillozzi, che notoriamente c’è e non c’è, e per quello che c’è, come giustamente rileva Panebianco, è una condivisione da sballo dei peggiori difetti assistenzialisti e illiberali: un progetto fu quello di liberare il riformismo nel Pd, e magari allearlo nella staffetta con il meglio dell’eredità berlusconiana, ora è il momento di liberare il riformismo dal Pd come nucleo onnicomprensivo ma autolesionista. Che volete obiettare?

   

Eppure, dal punto di vista del Sein, dell’essere o dell’effettuale, e del Müssen, il dovere come implicazione del necessario, obiezioni se ne prospettano. Senza riandare ai partiti storici frutto di circostanze di due secoli trascorsi e altro, che in Italia furono con futile leggerezza e tragiche conseguenze abrogati dalla magistratura anche nella memoria, nel bel mezzo della crisi e trasformazione indotte dalla fine della Guerra fredda, vediamo come sono nati i partiti recenti. La prima Lega di Bossi nacque dalla rivolta nordista e fiscale contro Roma e il centralismo statale, un allegro contrappunto secolare del banditismo meridionale nel cuore del nord produttivo, con qualche rafforzativo gozzuto. Interessi nell’ampolla del Dio Po. Forza Italia nacque dalla difesa della roba di Berlusconi, un pezzo del patrimonio industriale nazionale in via di esproprio dopo Gardini eccetera, e ebbe successo perché parlava all’Italia travolta dalla magistratura militante di un dettaglio che questa aveva trascurato: la libertà e l’autonomia di economia e politica, le libertà civili e anche individuali, che ebbero un temporaneo fulgore all’insegna di una rivolta di sistema favorevole all’alternanza e al maggioritario. Il carisma di un Re delle élite, e danaroso, in rappresentanza di larghi interessi di popolo, educati, nel frastuono multicolore di un’insurrezione personalistica e capatazzara, al meglio di una tradizione mite e nobile (bunga bunga politico e Luigi Einaudi, nientemeno). Il Pd nasce dal Pci e dalla Democrazia cristiana, versione cattolico-democratica, per rappresentare interessi d’innovazione e trasformazione che al momento finale della rottura renziana sono entrati in conflitto con burocrazia, anche mediatica, e vecchio sindacalismo, per non parlare dei costituzionalisti, vil razza dannata.

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Interessi e radici c’erano. La seconda Lega del Truce nasce dal vento dell’est, tipo Hotel Metropol, combinato e opportunamente incrociato con il maligno vento dell’ovest, Brexit e Trump, e con la riscoperta del dividendo che anche in Italia è notevole di una sottocultura sicuritaria e razzista. Il Truce non ha niente a che fare con il governo e la limitazione dei flussi di immigrazione, ed è tutto riassunto nel teatro di passioni tristi e di paure che su quella circostanza hanno sostituito politiche ragionevoli solo in un quadro europeo e mediterraneo di collaborazione (lo dicono i numeri). Comunque, l’origine è robustamente ideologica e ha a che fare con corposi interessi percepiti. I postfiniani della Meloni, bè, il nome Meloni dice tutto. E si potrebbe continuare vagolando all’estrema sinistra, ma lì dopo l’epopea di Fausto Bertinotti e dell’Arcobaleno verdeggiante è subentrato un deserto che nessuna scissione può ripopolare.

  

Un partito Verde nato da un’intervista sagace sulle macerie dei Verdi effettivi, con l’aiuto del gretismo, forse si può, e magari per molti sarà un progresso. Eppoi tutto quello che smuove il tetro immobilismo del contratto è in definitiva un progresso. Un partito riformista di centro, che guarda a sinistra sia pure soltanto contro la destra del becerume ed è motivato dall’antinazionalpopulismo, sarebbe naturalmente il benvenuto. Ma non si vede il fuoco nella pancia di queste organizzazioni di là da venire, non si vede l’impulso del necessario storico al di là dell’auspicabile politico, non si vede la coalizione attiva e generatrice di interessi sociali chiari, che sono mancanze non da poco.

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