Luigi Di Maio nell'evento di presentazione del reddito di cittadinanza (Foto Imagoeconomica)

Di Maio trasforma il reddito di cittadinanza in una pentola di Mastrota

Salvatore Merlo

Sospesa tra televendita e politica, di fronte a giornalisti e deputati, la propaganda grillina ci porta nel paese delle meraviglie  

Quando Luigi Di Maio finalmente compare dal fondo della sala e di corsa, quasi ballando sulla musica a palla, raggiunge col suo microfono ad archetto il palco bianco e blu sotto la scritta gommata “reddito di cittadinanza”, ecco che una sensazione di piacevole familiarità avvolge tutti i presenti: caro vecchio Giorgio Mastrota! Turbo venditore di pentole. “Sìori e sìore, benvenuti. Vi spiegheremo bene cos’è il reddito di cittadinanza”. In questa sala di hotel romano ci sono Lino Banfi e Danilo Toninelli in quota comici, Davide Casaleggio e Alessandro Di Battista (profeti), il presidente Giuseppe Conte e Paola Taverna (istituzioni).

 

Tutti saliranno sul palco, a dire qualcosa, euforici testimonial dell’ordinario miracolismo che un po’ ricorda quello del Cavaliere – “un milione di posti di lavoro” – ma anche quello di Matteo Renzi. Con un calore tutto speciale, però, quell’eccesso di pathos che ci mette per esempio il capogruppo alla Camera, Francesco D’Uva, quando annuncia che “con il reddito di cittadinanza abbiamo cancellato il voto di scambio”, e quindi si lascia travolgere dal clima iperbolico: “In Italia le famiglie si vendono il voto per arrivare a fine mese” – che è tipo la panciera per dimagrire “che si può indossare persino sotto l’abito da sera”. O quando Pasquale Tridico, consigliere economico di Di Maio, spiega che il reddito di cittadinanza è un’idea di Federico Caffè e Papa Francesco, Martin Luther King e Amartya Sen, come la famosa canzone di Jovanotti: “Esista solo una grande chiesa / che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa”.

 

La foga di enumerazioni e parole ha il potere di trasportare chi ascolta in una dimensione irreale (“guardate questo nuovo copriletto salmone, bellissimo, tessuto cangiante”), e il susseguirsi degli interventi è un discount delle meraviglie. Casaleggio racconta che in Australia ha visitato industrie di automobili in cui lavorano solo i robot, quindi ci vuole il reddito di cittadinanza perché il lavoro per gli umani non c’è… Segue un sospiro, tono ieratico e frase che suona proprio bene: “Se possiamo immaginare il futuro possiamo anticipare la nuova economia”. Quasi George Clooney nella pubblicità della Fastweb: “Immagina, puoi”. Materassi, piatti, piumoni, erezioni mirabolanti. “Noi abbiamo misurato sulla nostra pelle la povertà”, assicura la Taverna. E qui evidentemente siamo sul piano della testimonianza diretta, un po’ come una di quelle chiattone miracolate dall’uso di opportuni attrezzi ginnici che in tivù garantiscono: “Adesso faccio quattro piani senza accorgermene”.

 

Certo, a riprova di quale sottile linea passi tra imbonitore e genio, è giusto ricordare che uno dei maggiori estimatori di quelle surreali televendite che ancora oggi animano il palinsesto mattutino era Carmelo Bene. Lui che non staccava di dosso gli occhi dall’astrologa Demetra, una buzzicona con forte accento romano capace di scodellare oroscopi e battute. Dorme in noi più un Cetto La Qualunque che un Umberto Eco. E questo Di Maio, Casaleggio, Casalino e tutti gli altri lo sanno bene. E infatti sono bravi. Anzi bravissimi. Ecco dunque le slide di Giggino Mastrota, i fumetti proiettati sul grande schermo alle sue spalle, “nonna Lucia vive da sola e anche lei avrà un aumento”, “la famiglia Brambilla potrà pagarsi il mutuo”, “il signor Angelo e il signor Mario”, e sotto ogni immagine, sotto ogni cartone animato, sotto questa pioggerellina di denari pubblici, il motto unificante, il vecchio e berlusconiano: “Nessuno rimarrà indietro”.

 

La compiuta sintesi fra l’arte di governo e il marketing. Grillo deve averlo capito, e infatti si è manifestato soltanto via etere, in un video talmente buio che forse non era manco lui a parlare. Peccato poi che la nomina di Lino Banfi a rappresentante Unesco, lì sul palco, alla fine abbia un po’ oscurato il resto di questo telemarket che ha raccolto tutte le telecamere di tutti i telegiornali, i conduttori dei talk e qualche direttore, i cronisti dei quotidiani, compreso chi scrive, strumenti della filodrammatica nel paese di Acchiappacitrulli. “Venghino sìori venghino”. Ovviamente alle europee prenderanno almeno il 30 per cento.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.