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Il ricordo della prima guerra in Cecenia nelle immagini dei saccheggi

Adriano Sofri

Oggi come allora le madri russe devono andare a cercare informazioni sui figli in guerra. Le autorità non comunicano i caduti. L'altra faccia della tragedia

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Se le cifre diffuse dalle autorità ucraine sui militari russi caduti fossero vere anche solo a metà, sfiorerebbero comunque, solo in un mese e mezzo, il totale dei caduti russi nelle due micidiali guerre di Cecenia (1994-96 e 1999-2009) e si avvicinerebbero al totale dei caduti russi nei dieci anni di guerra sovietico-afghana (1979-89). Abbiamo appreso che le morti dei soldati vengono comunicate raramente alle famiglie dalle autorità militari russe, e molti dei caduti, così come dei feriti e dei prigionieri, sono soldati di leva che non avrebbero dovuto essere impiegati nell’operazione militare, di cui spesso non erano stati nemmeno informati. Ed erano stati preventivamente privati dei telefoni. Da parte ucraina ci sono stati inviti alle madri russe a venire a prendersi i cadaveri dei loro figli, abbandonati senza sepoltura. Da parte ucraina si sono organizzate comunicazioni dirette attraverso Telegraph o YouTube fra le madri russe e i figli prigionieri, “all’80 per cento poco più che bambini”, che raccontano la loro esperienza: iniziativa controversa, fra il proposito umanitario e di informazione e l’abuso dei prigionieri di guerra, vietato dalle convenzioni di Ginevra. (Ai prigionieri viene chiesto il consenso, che resta inevitabilmente dubbio: si veda il Guardian, “‘Often a Russian mother has a TV for a brain’: Ukraine YouTuber films PoWs calling home”, 5 aprile). 

Le notizie di questi giorni, il filmato dei militari russi che spediscono il bottino dei saccheggi, mi hanno ricordato la Cecenia che conobbi durante la prima guerra. Incontrai le madri russe che venivano coraggiosamente a Grozny a cercare i figli dispersi, trovavano ospitalità nelle case cecene, per generosità o per il proposito di organizzare gli scambi di prigionieri, a volte familiarizzavano con le madri cecene. E poi c’era anche allora l’altra faccia della tragedia. Come nella tasca di un soldato russo morto a Urus Martan, che custodiva la lettera spedita a lui dalla madre: “Caro figlio, abbiamo ricevuto i tappeti, le posate e il resto. Ma non perdere più tempo con tante cose: manda solo i soldi, l’oro e i gioielli”.

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