I cyber partigiani

Per la controinformazione verso parenti dei soldati in Russia basta avere un telefono

Cecilia Sala

Vova contatta i famigliari, gli amici e le fidanzate dei soldati russi per fare la “guerra di nervi” a Putin

Il suo soprannome è Vova, il suo nome di battaglia è VVK@, ha i capelli lunghi e i piercing sulla faccia. A Kyiv  lavora per una compagnia che si occupa di Information Technology, lui è nel ramo delle criptovalute. Fuma tabacco aromatizzato al cioccolato e fa parte di un collettivo hacker che si chiama Zion, il loro capo si è rifugiato a Parigi: “E’ una specie di governo in esilio, così la guerra – cyber – può andare avanti qualsiasi cosa succeda a noi qui”. Nel suo appartamento Vova conserva le bottiglie di vetro e una tanica di benzina: servono per le molotov da lanciare contro i punti sensibili dei carri armati russi (ormai in Ucraina tutti sanno quali sono) se entreranno nella capitale. Più dei combattimenti teme di rimanere senza elettricità e con il blackout di internet: “A questo serve che il vertice della nostra organizzazione sia in Francia”, dice. 

 

Secondo gli analisti americani, per accerchiare Kyiv i russi impiegheranno un paio di settimane, poi – se decidono di entrare subito – i combattimenti per prendere la città saranno molto sanguinosi e dureranno almeno un mese. Vova sa come impiegare il tempo che lo separa dall’inizio della guerriglia urbana, portando avanti la resistenza con altri mezzi. Come in un campo di battaglia fisico, anche la guerra virtuale ha le sue direttrici, e sono tre. La prima è la più semplice: aggredire i siti governativi, dei media o della Banca centrale russa, e metterli fuori gioco per un po’ di tempo. 

 

La seconda è più ambiziosa: “Per far finire questa guerra dobbiamo entrare nelle menti dei russi” – a volte le espressioni di Vova sembrano uscite dai fumetti utopici o distopici che sono i suoi riferimenti culturali. Nella pratica, intende che gli attacchi informatici che permettono di bloccare, per esempio, il sito del Cremlino, non bastano. Zion lavora per rubare i dati russi, scoprire le identità dei soldati che sono in Ucraina per poi cercare online le fidanzate e i compagni di scuola, i commilitoni che non sono ancora partiti, e bombardarli con le immagini dei russi morti in Ucraina – sono migliaia (in due settimane, sono più dei soldati americani morti in Afghanistan in vent’anni) e a Mosca è vietato parlarne.

 

Vova mi ha dato accesso a una chat di Zion, ieri erano riusciti a hackerare le informazioni “degli ufficiali e dei piloti russi del 55° reggimento di elicotteri”: nomi, età, ma anche stipendio, scuole frequentate, l’anno in cui si sono arruolati, stato civile e informazioni sui parenti da contattare in caso di “incidente”, con i numeri di telefono. La loro strategia è partire dalle madri dei soldati più giovani, arruolati da meno tempo e con gli stipendi più bassi – a seguire gli altri. Una volta portato a termine il furto di dati, Zion condivide le informazioni con chiunque abbia voglia di aiutarli. Per la campagna di “controinformazione” verso parenti e amici in Russia è prevista la partecipazione dal basso, non serve essere dei programmatori, basta avere un telefono. “A casa nostra ci sono i carri armati e le bombe. Noi portiamo in Russia un tipo di guerra più contemporanea e senza spargimento di sangue, una guerra di nervi contro Vladimir Putin”. 

 

La terza direttrice di attacco riguarda le criptovalute: gli Stati Uniti sono preoccupati che la Cina compensi il danno economico subìto dalla Russia per le sanzioni, gli hacker sono preoccupati che il “bail out” di Mosca passi attraverso bitcoin e dogecoin, e stanno lavorando per provare a impedirlo.

Di più su questi argomenti: