(Foto di Ansa) 

il figlio

Il concerto dei Maneskin, gli idranti e la nube tossica al posto dell'euforia

Valentina Furlanetto

L'inferno dev'essere un concerto con adolescenti, tra i sassi del circo Massimo, il caldo torrido, i venti vocali che nell'attesa mia figlia ha inviato alle amiche. Sacrifici che si fanno per la prole

Caro Cesare, ti chiedo scusa ma non verrò al tuo concerto. Non ne ho le forze, lo dici tu alla mia amica Ilaria? Mi manda ventidue messaggi al giorno perché prenda il biglietto del tuo concerto, di quello dei  Subsonica, di Samuele Bersani. Tutti fantastici, ma no. Cesare, Samuele, Boosta: disprezzatemi, e dite per favore a Ilaria che non ho più l’età. Sì, per Lorenzo l’ho fatto, ma il Jovabeachparty è una meravigliosa festa sulla spiaggia, con la sabbia morbida sotto i piedi, il mare a fianco che ti ci puoi buttare e la musica tutto il pomeriggio. Lorenzo mi ha riconciliato col mondo, con i grandi eventi, volevo abbracciare tutti, perdonare tutti, ballare con tutti. Fino a che ho accompagnato mia figlia al concerto dei Maneskin e ora odio la gente, voglio un lockdown privato, pure un 41bis a casa mia. Il problema non sono i Maneskin, che sono bravissimi. Il problema sono io. O forse il problema è questo spirito da Legione straniera che si è impossessato di mia figlia e delle sue amiche. Vuoi non arrivare al concerto sei ore prima? Vuoi non accamparti al sole a luglio, con i panini, i teli e l’acqua senza tappo che sennò la bottiglia diventa pericolosa se la lanci? Così ho tolto i tappi e mi sono seduta in mezzo ai sassi del circo Massimo che potevi tirarne uno e ammazzare un passante, ma le bottiglie invece erano rese innocue, ovviamente inutilizzabili da bere dopo trenta minuti. Mia figlia era felice e in otto ore ha fatto venti vocali a Isabella, per chiederle se ha baciato Luca, che prima stava con Sara, che non le parla più, perché è innamorata di Stefano che però è fluido. Io mi sforzavo di non guardare il muro di esseri umani che si andava addensando sopra di me, sulla collinetta, ammassati in piedi su un declivio. Ero sicura che sarebbero prima o poi precipitati tutti e mi avrebbero schiacciato. E’ un miracolo che non sia accaduto. 


“Nell’odore di calca c’è aria di festa” scriveva Peppino Impastato, che non è mai stato a un concerto al circo Massimo. Però sono cose che per la prole si fanno, pure mio padre nel 1988 mi portò a vedere gli A-ha al Palasport di Treviso. A dirla tutta ci scaricò ai cancelli e rimase in auto a leggere, mentre noi dentro potevamo tranquillamente farci di crack. Oggi, alla luce di queste otto ore di Legione straniera, il suo gesto, spacciato come eroico, appare in una luce totalmente diversa. E tuttavia, lì sotto il sole, mi sono sforzata di essere ottimista, ma proprio mentre mi sforzavo ho alzato il viso e c’era un’enorme nube nera all’orizzonte. 
Ho pensato che l’inferno deve essere così: un concerto con adolescenti, tu che ti tieni la pipì per cinque ore e una nube tossica sopra. Ma poi mi sono detta che ero troppo negativa e avrei dovuto apprezzare il ritorno alla socialità, la fine delle restrizioni, l’abbraccio della folla e mentre lo dicevo un certo Alessio arrivava con l’idrante e noi sotto il sole a picco dicevamo di qua Alessio, prendi me, scegli me, ama me.

 

E questo è durato un paio d’ore. Poi finalmente è arrivata l’ombra dei pini, c’era vento, si stava bene, faceva quasi freddo. Ma Alessio, inebriato dal potere, continuava a spruzzarci d’acqua mentre noi urlavamo no, Alessio, basta, scegli un’altra. Comunque sono tornata a casa e dopo tutta quell’acqua, quel vento, la nube tossica, le ore in piedi mi è venuto mal di schiena. Ho preso un antidolorifico, ma poi mi faceva male anche lo stomaco. 
E allora mio marito si è steso a fianco a me e mi ha detto qualcosa che ha illuminato tutto di nuova luce, è stato un momento bellissimo in cui ho capito a che punto esatto sono nella mia vita e del concetto di amore, di coppia, di romanticismo. “So di cosa hai bisogno” mi ha detto e avvicinandosi di più mi ha sussurrato una cosa all’orecchio che non dimenticherò mai più: “Un gastroprotettore”. 

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