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il caso

L'assurda crociata no vax di una magistrata di Firenze

Ermes Antonucci

I vaccini contro il Covid-19? "Sieri sperimentali, causa di moltissimi decessi". Il green pass? "Strumento eversivo". Le incredibili parole, rivolte al Csm, della giudice fiorentina Susanna Zanda, la stessa che in una sentenza ha attaccato Renzi

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Era sbarcata persino al Consiglio superiore della magistratura la crociata no vax della giudice fiorentina Susanna Zanda, già nota per aver reintegrato lo scorso anno una psicologa sospesa perché non in regola con l’obbligo vaccinale, sostenendo che i vaccini contro il Covid-19 – definiti “sieri sperimentali” – “alterano il Dna” e hanno causato “migliaia di decessi”. Nei giorni scorsi è infatti emerso che la giudice della seconda sezione civile del tribunale di Firenze nel marzo 2022 si era spinta a inviare un quesito al Csm in merito all’uso del green pass nelle aule di giustizia

 

Il 31 marzo, infatti, era stata decretata la fine dello stato di emergenza dovuto alla pandemia, ma l’uso del green pass per gli over 50 era stato prorogato fino al 15 giugno. La magistrata si era quindi rivolta al Csm per sapere se fosse necessario il green pass per svolgere l’attività giudiziaria in tribunale. “Il supergreen pass tende ad indurre gli over 50 all’inoculo di un trattamento genico sperimentale, che si era già acclarato avere un’efficacia immunizzante ‘negativa’, come confermato dagli ultimi dati Aifa”, scriveva la giudice Zanda nel quesito (non è chiaro a quali dati dell’Agenzia italiana del farmaco si riferisse), aggiungendo che non esisteva alcuna emergenza sanitaria e quindi si potevano svolgere “i propri doveri istituzionali senza doversi sottoporre a trattamenti sanitari o parasanitari degradanti per la persona, invasivi e dannosi come i tamponi oro-faringei o i cd. vaccini ad MNRA”.

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Quest’ultima sigla, ripetuta più volte nel documento, già rende chiaro il livello di conoscenza scientifica della magistrata, essendo i vaccini in questione a mRna, cioè basati sull’uso di molecole di acido ribonucleico messaggero. 

 

Ma il peggio non è ancora arrivato. Nel quesito, Zanda definiva nuovamente i vaccini come “sieri sperimentali”, rivelatisi capaci di “determinare moltissimi affetti avversi e financo causa di moltissimi decessi”, se la prendeva con “la tortura dei tamponi” e la presenza del Qr code nei green pass, “lo stesso che si rinviene nei prodotti della merce esposta nei supermercati”. “La degradazione della persona del lavoratore a merce di supermercato potrebbe essere giudicato lesivo della dignità della persona, integrando un comportamento illecito della parte datoriale”, scriveva la giudice, che giungeva a paragonare la somministrazione del vaccino a uno stupro: “Se la retribuzione viene percepita attraverso lo stupro della propria persona questa retribuzione non è idonea a garantire la libertà dal bisogno e la dignità della persona”. 

 

Secondo Zanda, il risultato di tutto ciò era che lo strumento del green pass andava “giudicato come uno strumento eversivo rispetto non solamente alle norme positive della Costituzione e alle fonti internazionali, ma rispetto allo stesso spirito immanente della carta fondamentale”, e “perciò verrebbe legittimato il diritto/dovere di disobbedienza civile”. 

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A quanto risulta, all’incredibile quesito posto dalla giudice fiorentina non avrebbe fatto seguito alcuna risposta da parte del Csm. La vicenda si è risolta da sola con il superamento dell’obbligo del green pass per tutti.

 

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A questo punto, a farsi qualche domanda dovrebbe essere in realtà proprio il Csm: è possibile che una magistrata, che nei suoi provvedimenti giudiziari e anche nelle comunicazioni rivolte al Csm si è lasciata andare a una serie di pesanti giudizi basati su bestialità scientifiche (oltre che a definire “eversiva” un’iniziativa del governo), sia in grado di svolgere la sua funzione con il necessario equilibrio richiesto dal suo ruolo?

 

La domanda non riguarda soltanto la vicenda Covid-19. Lo scorso 6 marzo la giudice Zanda è balzata agli onori delle cronache per aver respinto una richiesta di risarcimento danni di 200 mila euro presentata da Matteo Renzi contro il Corriere della Sera per diffamazione. Nella sentenza, oltre a ritenere la richiesta infondata, la giudice ha scritto che la somma pretesa “ha una palese e ingiustificata carica deterrente, specie ove collocata nell’alveo di iniziative volte ad usare il tribunale civile come una sorta di bancomat dal quale attingere somme per il proprio sostentamento, anche quando lo si coinvolge senza alcun fondamento”. Parole, anche queste, a dir poco singolari all’interno di una sentenza. 

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