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Le tante contraddizioni di Davigo sui verbali di Amara

Ermes Antonucci

L'ultima udienza del processo di Brescia a carico dell'ex consigliere del Csm ha fatto emergere una scia di incongruenze sulla reale data di consegna dei verbali segreti da parte di Storari

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L’udienza di martedì del processo in corso a Brescia a carico di Piercamillo Davigo, imputato per rivelazione di segreto d’ufficio in relazione ai verbali di Amara, ha lasciato a terra una scia di incongruenze e contraddizioni sulla versione fornita dall’ex consigliere del Csm sull’intera vicenda. L’interrogativo più grande aleggia attorno alla data in cui sarebbe avvenuta la consegna dei verbali resi da Piero Amara (sulla fantomatica “loggia Ungheria”) da parte del pm milanese, Paolo Storari, allo stesso Davigo. Entrambi hanno affermato che la consegna dei verbali (secretati) avvenne a Milano nei primi giorni del mese di aprile 2020. Diversi elementi, tuttavia, gettano dubbi su questa circostanza. Un dettaglio non da poco per un magistrato come Davigo, che ha fatto della moralizzazione e della trasparenza i princìpi guida del suo continuo attivismo sul piano pubblico e politico.

 

L’ultimo a mettere  in discussione la versione ufficiale di Davigo e Storari è stato il consigliere del Csm Nino Di Matteo, che, testimoniando a Brescia, ha raccontato di una riunione “choccante” avvenuta alla fine del febbraio 2020 tra gli appartenenti alla corrente di Autonomia e Indipendenza, e in cui Davigo si scagliò “con una veemenza inaudita” contro l’allora collega Sebastiano Ardita, indicato nei verbali di Amara come appartenente alla loggia massonica. “Tu mi nascondi qualcosa!”, arrivò a gridare Davigo  nei confronti di Ardita davanti a tutti.

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Di fronte ai ripetuti inviti di Ardita a spiegare a cosa si riferisse, Davigo replicò: “Te lo spiego dopo separatamente”. L’oggetto della riunione di fine febbraio era rappresentato dalla nomina del nuovo procuratore di Roma, su cui Ardita aveva intenzione di discostarsi dalle indicazioni del gruppo. Risulta però quantomeno difficile immaginare che a determinare la reazione così veemente di Davigo fu la scelta di Ardita sul successore di Pignatone.  

 

“L’unica spiegazione da dare a questo attacco era che Davigo nel corso di quella riunione fosse già a conoscenza dei verbali...”, ha chiesto uno dei pm bresciani a Di Matteo nell’udienza di martedì. “Ovviamente non ho dati di fatto”, ha risposto Di Matteo, aggiungendo però di aver “pensato quello che lei ha detto”. 

 

C’è anche un altro elemento che sembra smentire la versione di Davigo sulle tempistiche del passaggio dei verbali con Storari. A fornirlo è stato lui stesso durante un interrogatorio reso il 19 ottobre 2019 al procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, nell’ambito del processo a carico di Luca Palamara. In quell’occasione, ad alcune domande riguardanti il suo rapporto con Ardita, Davigo oppose il segreto d’ufficio a partire da marzo 2020. “Si tratta della ragione per cui non parlo più con il consigliere Ardita dal marzo del 2020”, disse Davigo a Cantone. Perché opporre il segreto da marzo, se la consegna dei verbali sarebbe avvenuta ad aprile? Mistero. 

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Dall’udienza di martedì, infine, è emersa un’altra incongruenza. Dopo aver ricevuto i verbali da Storari, Davigo avrebbe esercitato anche un ruolo attivo, non solo rivelandone il contenuto a cinque consiglieri del Csm e a un senatore, ma anche vagliando l’affidabilità dello stesso Amara. A raccontarlo è stato il consigliere Giuseppe Cascini nell’udienza di martedì: “Mi ero occupato di un’indagine per la procura di Roma in cui compariva anche l’avvocato Amara. Davigo voleva sapere se fosse affidabile o meno”.

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