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Perbenismi funesti

Giuliano Ferrara

L’imbroglio e il gioco. La mostruosità del populismo penale di Travaglio e il Travaglio che piace. Note sparse

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Questa è la lettera che Giuliano Ferrara ha inviato a Luigi Manconi e Federica Graziani, autori di “Per il tuo bene ti mozzerò la testa. Contro il giustizialismo morale” (Einaudi), e agli organizzatori della presentazione del libro che si è svolta ieri al Maxxi di Roma.

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Questa è la lettera che Giuliano Ferrara ha inviato a Luigi Manconi e Federica Graziani, autori di “Per il tuo bene ti mozzerò la testa. Contro il giustizialismo morale” (Einaudi), e agli organizzatori della presentazione del libro che si è svolta ieri al Maxxi di Roma.

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Cari amici, per paura dell’influenza me ne sto a casa. Ne chiedo scusa a Luigi Manconi, Federica Graziani, al carissimo Mattia Feltri, all’editore e al pubblico. Su richiesta cortese, invio note sparse e brevi di consenso e di dissenso, senza mascherina. Era ora che qualcun altro, di buona cultura e di buon mestiere, attaccasse Marco Travaglio e il populismo penale. Io con pochi altri mi ero stufato, ci eravamo stufati. Il problema di Travaglio è che vede il mondo come un borghese dell’Ottocento, della razza ripudiata con orrore da Flaubert, di qui Javert, certo, grati alla maschera di Hugo, ma potevate scegliere il farmacista Homais.

 

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Per Travaglio i buoni sono buoni e i cattivi cattivi, gli onesti onesti e i disonesti disonesti. Il suo vasto programma positivista è sradicare la corruzione, è lui il vaccino. Ma sappiamo tutti che un mondo senza corruzione e senza imbrogli sarebbe sommamente noioso, privo di carattere, un mondo abbrutito da una patina di perbenismo funesta, un paesaggio senza letteratura, senza passioni, senza sane pratiche di reato, insomma censura pura e legge e ordine libidinali. Infatti anche Travaglio è un imbroglione, come mostra il saggio a lui dedicato alle voci Massimo Ciancimino o Antonio Ingroia o altre. Ma qui emerge una contraddizione di cui non sono sicuro gli Autori siano del tutto consapevoli.

 

Il suo imbroglio vale né più né meno dei nostri, la sua capacità di manipolazione è particolarmente urtante, perché mette capo alla ripetitività e alla noia, ma non particolarmente colpevole. In quanto corsivista, poi, Travaglio sa essere brillante, e vi ricordo che anche Pietro Nenni era un famoso storpiatore di nomi degli avversari, per di più fingeva di non ricordarli, con estremo godimento. Tutti giocano, perché lui no? Quelli che non giocano, gli spettatori e guardoni del suo e del nostro gioco, sono i potentati che hanno costruito il fenomeno: la Rizzoli, il mio caro e cinico amico Paolo Mieli, la televisione del presidente del Torino calcio, derrate di imbonitori, commentatori, intervistatori, emuli, epigoni e compagni di strada del populismo penale di Marco Travaglio.

 

Travaglio adora le manette e il carcere, si augura che nel carcere si viva e si muoia, addirittura, in nome della certezza della pena. Il libro nota come gli siano sconosciuti equilibrio, prudenza, aderenza alle regole, e misericordia. Buona parte dell’establishment italiano ha sfiorato il carcere o assaggiato le manette, si capisce che avesse bisogno di uno del mestiere per evitare ulteriori offese. La gente poi tiene alla reputazione, alla cosiddetta “mia persona” spesso evocata nei comunicati, e in questo somiglia all’opposto simmetrico del potenziale censore: lui sputtana, loro fanno la parte delle sgualdrine timorate. Bisognava sgravare partiti, politica, eletti del peso di coscienza dell’onestà, spiegare che i ladri della Repubblica la Repubblica l’hanno fatta, come accennò a suggerire Craxi nel momento della disperazione, invece è stata una corsa a dissociarsi dalla casta, tutti bravi farmacisti e notai quando è noto che in politica e nelle relazioni sociali servono come il pane anche i farabutti. Così alla fine Travaglio è venuto utile.

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Ho i titoli di garantista per via della mia praticaccia giornalistica. Vedo però nell’ipergarantismo, sopra tutto di questi tempi, una chiacchiera politicamente correttissima, come direbbe Luigi, che non mi assomiglia e non frequento di mio. Sono piuttosto innocentista o colpevolista, secondo quanto mi convenga, cioè convenga alle mie idee, al ritratto delle persone che incontro, al contesto in cui agiscono, e per esempio non sono mai stato garantista con Di Pietro, non lo sarei con Salvini, al massimo un tocco di fair play, evitare le insistenze, non essere carogna, questo sì, ma la litania liberale e radicale del garantismo in sé non mi affascina, non mi trascina né mi turba. La trovo un altro dei tanti modi di manipolare il discorso pubblico, uno dei più decenti, d’accordo, ma nel dizionario delle idee ricevute, dei luoghi comuni, metterei senz’altro la voce: garantismo, aiutare il reo a farla franca salvando la propria coscienza.

 

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Il Travaglio politico dell’ultimo anno, anno e mezzo, mi piace decisamente. Non so se ne avreste dovuto trattare più ampiamente, e in che relazione metterlo con l’altro, con la mostruosità del suo populismo penale che sprezza la persona e il senso comune più nobile e tradizionale, penso che sia un raddrizzamento, alla fin fine, e in parte un pentimento: montanelliano un par di balle, con tutto il rispetto distante per il famoso giornalista del Corriere, alla fine è addivenuto a Longanesi e ha capito che i valori e i princìpi, ad appoggiarvisi con troppa forza, inevitabilmente si piegano. I miei migliori auguri a un buon libro di cui c’era bisogno. Con amicizia

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