Foto LaPresse

Pm che sbagliano

Luciano Capone

Condanna per il tarantino Di Giorgio e assoluzione per il senatore Loreto, ingiustamente arrestato da Woodcock

Roma. Si è conclusa con una condanna definitiva a 8 anni da parte della Corte di cassazione la vicenda giudiziaria, sovrapposta a quella politica, del magistrato Matteo Di Giorgio. L’ex sostituto procuratore di Taranto era stato arrestato nel 2010, con l’accusa di corruzione e concussione per aver pesantemente condizionato e influenzato la vita politica del suo paese, Castellaneta in provincia di Taranto, abusando del suo ruolo e dei suoi poteri. Secondo le accuse formulate dalla procura di Potenza, competente sui magistrati tarantini, Di Giorgio aveva costretto un consigliere comunale a dimettersi sotto la minaccia dell’arresto di alcuni suoi familiari, causando in questo modo lo scioglimento del consiglio e la caduta dell’amministrazione comunale.

L’ex pm, strumentalizzando le funzioni della toga, aveva costruito una sua rete di potere per contrastare i propri avversari politici e favorire gli alleati come Italo D’Alessandro, poi effettivamente eletto sindaco di Castellaneta, e anch’egli condannato a tre anni. Tra i reati c’è anche quello di concussione, perché il magistrato tarantino avrebbe fatto pressioni su alcuni imprenditori per colpire avversari e ricevere vantaggi per la propria famiglia sotto la minaccia di un sequestro che sarebbe arrivato e che lui avrebbe potuto evitare. Nel comune pugliese era stato creato un “sistema Di Giorgio” basato sul potere giudiziario, rafforzato dall’uso disinvolto della polizia giudiziaria a fini personali e allargato a una parte della politica locale, che aveva come principale nemico Rocco Loreto, senatore del centrosinistra e storico sindaco della cittadina. Il magistrato era di fatto un punto di riferimento dell’amministrazione, faceva incontri politici e aveva pensato di candidarsi anche alle elezioni provinciali.

L’inchiesta della procura di Potenza nasce nel 2007, dopo un esposto di un ex assessore comunale che ammette di aver subito pressioni per far cadere la giunta Loreto e andare ad elezioni anticipate che vedranno vincente la fazione degli amici del pm. Nel 2014 arriva una condanna a 15 anni in primo grado, poi ridotta a 12 anni e mezzo in appello e infine a 8 per la prescrizione di alcuni capi d’accusa e della concessione della attenuanti.

  

Ma la storia giudiziaria di Di Giorgio si intreccia con quella davvero paradossale del suo storico avversario politico, terminata qualche mese fa, dopo 16 anni, con un’assoluzione. Loreto infatti nel 2001 ha la sfortuna di incrociare un giovane e all’epoca poco conosciuto magistrato della procura di Potenza: Henry John Woodcock. Il senatore aveva presentato un dossier al ministero della Giustizia, al Consiglio superiore della magistratura e alla procura generale di Cassazione sul pm Di Giorgio e sul suo sistema di potere. Gli atti vengono poi inviati dal ministero alla procura di Potenza, competente sui colleghi tarantini, e finiscono sulla scrivania di Woodcock.

 

In breve tempo l’esposto contro il pm Di Giorgio si trasforma in un’accusa di calunnia nei confronti del senatore Loreto: sostanzialmente il rampante pm anglo-napoletano crede al collega tarantino. Il 4 giugno 2001, appena finito il suo mandato da senatore e senza più l’immunità parlamentare, Loreto viene addirittura arrestato su richiesta di Woodcock. Nel suo primo giorno da ex parlamentare, alle 7 del mattino, ad aspettarlo davanti alla porta di casa ci sono i carabinieri e, poco più in là, sul terrazzo della palazzina di fronte, i fotografi con il teleobiettivo. Le immagini dell’arresto finiscono sui giornali e Loreto si fa 15 giorni di custodia cautelare, quattro in carcere e 11 agli arresti domiciliari, prima che il tribunale del riesame di Potenza annulli la misura restrittiva per assenza di gravità indiziaria.

   

Dal giugno 2001 il primo grado del processo per calunnia avviato da Woodcock si conclude, dopo che Loreto ha rinunciato alla prescrizione, nel maggio 2017 con una sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste. Nel frattempo, in questi sedici anni, altri magistrati di Potenza avviano il processo che porterà alla condanna definitiva di Di Giorgio e Woodcock tante altre inchieste sempre più clamorose, dal Savoiagate a Vallettopoli, dalla P4 alla Cpl Concordia fino al più recente caso Consip.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali