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L’amico cinese

La società di un oligarca putiniano delocalizza in Cina per scappare alle sanzioni

Federico Bosco

La scelta del gruppo metallurgico Norilsk Nickel di sbarcare a Pechino è la dimostrazione di come le i provvidimenti occidentali stiano ostacolando la Russia. "Siamo vincolati al sistema cinese, ma meglio dentro che fuori", dice il numero uno della società

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Norilsk Nickel, gruppo metallurgico russo tra i principali produttori di nichel e palladio del mondo, sposterà parte della produzione del rame in Cina dopo aver preso atto che le sanzioni occidentali limitano l’accesso a componenti e attrezzature necessarie. La società è controllata da Vladimir Potanin, uno degli oligarchi più potenti della Russia, che ha dato personalmente la notizia con una lunga intervista all’agenzia Interfax.
 

Le sue parole sono uno dei resoconti più sinceri e dettagliati su come le sanzioni occidentali stiano ostacolando il settore delle materie prime della Federazione russa. Potanin ha spiegato che dal 2022 le sanzioni hanno ridotto le entrate di Norilsk Nickel del 20 per cento, con una tendenza in via di aggravamento causata da complicazioni nei pagamenti internazionali, rifiuti di consegna, sconti sui prezzi, e difficoltà insormontabili nel ridurre l’inquinamento nella produzione del rame.
 

Inoltre, l’oligarca ha detto che la dipendenza dalla Cina sta aumentando, sottolineando che il ruolo dominante dell’industria cinese nel consumo di metalli – la metà dell’intero commercio mondiale di rame e nichel – significa che i produttori russi erano già fortemente dipendenti dal loro principale cliente. “Questa dipendenza aumenta con la pressione sanzionatoria, e non ne usciremo”. Poi ha aggiunto: “Preso atto che siamo vincolati al sistema cinese, è meglio stare dentro che fuori, a guardare dall’esterno come veniamo schiacciati”, poiché “un bene cinese in Cina è molto più difficile da sanzionare rispetto a un bene russo fornito alla Cina”.
 

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Infine, Potanin ha confermato che il progetto di delocalizzazione è stato approvato al massimo livello politico, con un chiaro riferimento a Vladimir Putin e all’incontro tra il presidente russo e Xi Jinping che avrà luogo a maggio. I nuovi impianti cinesi di Norilsk Nickel saranno operativi dal 2027, una scelta di lungo periodo che lascia intendere che a Mosca non ci si aspetta un allentamento delle sanzioni, e quindi la riduzione delle tensioni con l’occidente legata a una soluzione negoziata della guerra in Ucraina. Gli analisti delle commodity consultati dal Financial Times sostengono che la decisione evidenzia l’intensificarsi dei legami russo-cinesi nel commercio di materie prime, rafforzando l’autosufficienza della Cina.
 

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Potanin infatti ha  anche detto che il gruppo sta lavorando a una joint venture con i produttori cinesi di materiali per batterie (sia a base di litio sia a ioni di sodio), con l’obiettivo di entrare nella supply chain delle principali tecnologie. Le sanzioni potrebbero influenzare anche i piani di Norilsk Nickel di costruire un impianto in Finlandia assieme alla tedesca Basf, che avrebbe lo scopo di espandere la capacità di esportazione di nichel in Europa. “Il destino di questi progetti dipende dallo sviluppo della situazione geopolitica”, o forse, dalle eventuali pressioni di Pechino in tal senso. L’intervista di Potanin arriva pochi giorni dopo la decisione di Stati Uniti e Regno Unito di imporre nuove sanzioni al settore dei metalli russo, vietando dal 13 aprile la negoziazione di rame, nichel e alluminio russi al Chicago Mercantile Exchange (Cme) e al London Metal Exchange (Lme).
 

La Russia sta perdendo gradualmente l’accesso ai mercati, alla finanza e alle importazioni tecnologiche occidentali, e non ha altre opzioni se non quella di rivolgersi alla Cina, l’unico paese che può fornire tecnologia avanzata, uno sbocco alle sue esportazioni, l’accesso a una catena di approvvigionamento alternativa e una moneta per le transazioni internazionali. Dal canto suo Mosca può offrire molto: gas, petrolio, metalli, minerali, e un valido mercato per la sovrapproduzione delle imprese cinesi. Il problema però è che questo interscambio avverrà sempre di più con prezzi e condizioni dettate da Pechino, esclusivamente in yuan. Un dominio sull’economia russa che sarà seguito dall’egemonia sulle decisioni politiche del Cremlino, con o senza Putin.

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