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L'editoriale dell'elefantino

L’attacco flop coi droni è una cosa. Ma se "i pazzi" ayatollah sviluppassero l’atomica?

Giuliano Ferrara

L'attacco iraniano contro Israele ha avuto l'effetto sperato: mera dimostrazione. Ma l'ipotesi che l'Iran arrivi a sviluppare tecnologie nucleari è ben diverso e molto più pericoloso

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Anche senza informazioni particolari si capisce che gli ayatollah non vogliono la guerra generale ora e limitano le operazioni dirette contro Israele perché invece vogliono la bomba nucleare domani. Si sono portati avanti quanto possibile con il lavoro, nonostante le attenzioni dell’intelligence israeliana, e non desiderano essere disturbati. Tuttavia la bomba in costruzione è protetta da una deterrenza che si distende sui numerosi fronti del Libano, della Siria, dell’Iraq e dello Yemen, sopra tutto dalla resistenza di Hamas all’offensiva israeliana a Gaza dopo il pogrom del 7 ottobre.
 

L’asse della resistenza di ispirazione iraniana ha inoltre un forte retroterra politico e diplomatico nei rapporti rinnovati e rinsaldati con Russia e Cina, e la sua capacità di deterrenza si misura anche dalla riluttanza americana a passare dalla difesa territoriale di Israele e dei suoi cieli a una fase di controffensiva strategica. Missili da crociera, balistici e droni a sciame hanno puntato senza grande successo su Israele, direttamente dal territorio iraniano, “per dimostrare che siamo più pazzi di quanto possiate immaginare”, secondo il Financial Times che cita una fonte iraniana a commento di una iniziativa militare senza precedenti.
 

Nel mondo occidentale e arabo moderato, che ha sostenuto direttamente o indirettamente l’autodifesa aerea dello stato ebraico, si sente solo un sistematico, insistito appello al contenimento e alla moderazione di Gerusalemme. E la bomba iraniana? Gli esperti o alcuni tra di loro dicono che non si deve drammatizzare, anche India e Pakistan sono in guerra virtuale permanente e hanno la bomba, sono cose che si regolano ancora in un equilibrio possibile di dissuasione incrociata e simmetrica. Anche la Russia in guerra in Europa ha violato ripetutamente il tabù nucleare a parole, ma nessuno ci crede veramente, in quella minaccia ostentata.
 

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Eppure da un decennio almeno era sembrato che una parte dell’opinione internazionale degli stati fosse applicata saggiamente al compito di impedire in via di principio e di fatto la bomba nucleare all’Iran. Che cosa ne sia rimasto, di quella consapevolezza, è un mistero.
 

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Si sa che l’Iran non è uno stato come gli altri. È una teocrazia plebiscitaria, controllata con pugno di ferro e spietate repressioni di un largo dissenso popolare dai preti di una gerarchia sciita in ogni senso ereticale, che non risponde alle regole tradizionali della politica e della ragion politica. L’Iran non è uno stato, o non è solo uno stato, è un regime fascio rivoluzionario islamico direttamente ispirato a una profezia ultrasecolare. Il regime è debole e insieme fanatico, le sue componenti politico-militari obbediscono a una logica inafferrabile secondo le categorie del rapporto tra entità sovrane. Sono effettivamente “più pazzi di quanto possiamo immaginare”.
 

Non si capisce come questa considerazione elementare non entri nei calcoli di Washington, Berlino, Parigi, Londra, e come si possa trattare un regime ispirato teocraticamente e disperato, in guerra aperta e dispiegata con Israele e gli Stati Uniti, come fosse uno stato tra gli stati e non invece una rivoluzione incendiaria in corso da quasi mezzo secolo.
 

Dovrebbero chiedersi, alla Casa Bianca e altrove, se chiedere moderazione a Israele voglia dire spegnere un incendio o non invece alimentarlo ancora, fino a un esito potenzialmente molto distruttivo. Missili e droni hanno sortito l’effetto calcolato di un flop, di un atto dimostrativo, ma la bomba atomica in quelle mani è un’altra cosa.

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