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Il rischio per l'Ue di rispondere all'Ira di Biden con gli aiuti di stato, come se fosse l'unica soluzione

David Carretta

Una fonte europea contesta "la tendenza a rispondere a ogni problema come se fosse una crisi esistenziale". La Francia sostiene la Commissione verso una politica commerciale più protezionista, ma molti degli stati membri non sono ancora pronti

Bruxelles. Per rispondere all’Inflation reduction act dell’Amministrazione Biden, l’Unione europea potrebbe lanciarsi in un vasto piano di aiuti di stato, mettendo a rischio la tenuta del mercato unico, senza comprovate ragioni economiche per farlo. “Negli ultimi anni si è sviluppata la tendenza a presentare ogni problema come crisi esistenziale e reagire in modo eccessivo”, spiega al Foglio un diplomatico di un paese contrario al piano della Commissione di aprire i rubinetti degli aiuti di stato. Prima con il Covid, poi con la guerra in Ucraina e i prezzi dell’energia, l’Ue ha allentato per due volte le regole. L’ammontare e la durata delle misure di sostegno hanno superato le reali necessità. Nel caso di gas ed elettricità, il mercato alla fine ha fatto il suo dovere, riportando i prezzi a livelli sostenibili. “Sull’Ira stiamo cadendo di nuovo nell’over reaction”, dice il diplomatico: “Nessuno sa ancora quale sarà l’impatto dei sussidi americani sull’Ue, in quali paesi e in quali settori”. A dicembre, il Consiglio europeo aveva chiesto a Ursula von der Leyen un’analisi di impatto dell’Ira, per avere una mappa chiara delle debolezze competitive e delle necessità finanziarie. Ma la Commissione non ha dato seguito. Il primo febbraio von der Leyen ha presentato un piano che ricalca le esigenze di Germania e Francia sull’allentamento massiccio delle regole degli aiuti di stato.

 

Al Consiglio europeo di oggi gli altri leader devono decidere se organizzare la resistenza oppure se darla subito vinta a Berlino e Parigi. Italia e Paesi Bassi, due paesi spesso su sponde opposte nell’Ue, si ritrovano alleati nello loro scetticismo sugli aiuti di stato. Entrambi hanno ribadito la richiesta di una valutazione d’impatto alla Commissione. “Abbiamo bisogno di comprendere meglio l’impatto dell’Ira sulla nostra industria europea prima di finalizzare la risposta dell’Ue”, ha scritto il governo di Giorgia Meloni in un “non paper”. “La Commissione dovrebbe studiare le necessità nei settori rilevanti e sviluppare una strategia di lungo periodo tenendo conto di tutti gli strumenti dell’Ue prima di decidere di consentire possibilità di aiuti di stato addizionali”, ha spiegato il governo di Mark Rutte. È vero che alcune grandi imprese europee hanno annunciato investimenti negli Stati Uniti per beneficiare dei sussidi e dei crediti d’imposta dell’Ira. Ma alcuni dubitano che ci sarà un grande esodo o una deindustrializzazione massiccia. L’Ue è già all’avanguardia nella politica climatica e ha promesso centinaia di miliardi di investimenti verdi con il Recovery fund e RePowerEu. “L’Ira è uno sforzo degli Stati Uniti per recuperare sull’Ue”, ammette un funzionario europeo.

 

“Con i suoi 369 miliardi di dollari a sostegno della diffusione delle tecnologie verdi, l’Ira ha suscitato una profonda preoccupazione in Europa” ma “spesso questo numero non è debitamente esaminato”, spiega al Foglio Simone Tagliapietra del think tank Bruegel: “Quasi 200 miliardi di dollari (dell’Ira) vanno effettivamente alla diffusione delle energie rinnovabili, che anche l’Europa sovvenziona per 80 miliardi di euro in media all’anno. Quindi, anche più degli Stati Uniti. Anche il credito d’imposta sui veicoli elettrici di 7.500 dollari dell’Ira non è in realtà così lontano dalla media di 6.000 euro forniti in tutta Europa”. Secondo Tagliapietra, “il vero problema della competitività industriale sono i 40 miliardi di dollari dell’Ira in crediti d’imposta per la produzione di tecnologia pulita, comprese le componenti per l’industria solare, eolica e delle batterie”. È lì che l’Ue dovrebbe concentrarsi per evitare che gli investimenti delle imprese europee si spostino negli Stati Uniti. Ma “per l’Europa è certamente gestibile”, dice Tagliapietra, sottolineando che “alcuni paesi dell’Ue hanno un riflesso quasi automatico agli choc esogeni: allentare le regole sugli aiuti di stato”.

 

La Francia è il campione degli aiuti di stato. Il commissario francese, Thierry Breton, predica che l’Ue è entrata in “un’èra di permacrisi”. I diplomatici di Parigi non nascondono la loro ambizione: replicare la risposta all’Ira “al di là del green tech” per tutti i settori strategici dell’Ue. Dalla difesa alla tecnologia, dal digitale al materie prime, la soluzione per la Francia sono aiuti di stato, preferenza europea negli appalti pubblici e politica commerciale più protezionista. Ma una maggioranza di stati membri non è ancora pronta a trasformare in una notte l’Ue da grande economia di mercato a economia quasi dirigista.