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l'editoriale dell'elefantino

La beffa di Kissinger agli avvilenti mimi del suo celebre realismo

Giuliano Ferrara

Non si può abbandonare l’Ucraina al suo destino, dice lo statista. Si deve vincere la guerra e poi ci deve essere uno scudo di tutela difensiva che implica un’Ucraina nella Nato

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Henry Kissinger ha fatto una bella sorpresa a tutti, specie a chi da tempo mima nel mondo, con effetti insieme avvilenti e esilaranti, il suo celebre “realismo”. Bisognava fare di più e meglio per contrastare e ammansire l’ansia bellica da sconfitta nazionale e imperiale che Putin ha diffuso e usato per riemergere come potere forte e se possibile grande potenza internazionale? Non è bastata l’adesione difensiva alla Nato di molti paesi dell’Europa orientale, ex sovietici? Non è bastata la strategia, sopra tutto tedesca, del cambiamento attraverso il commercio, Wechsel durch Handel, con l’intelaiatura ricchissima dello scambio energetico privilegiato? No, nulla è stato sufficiente contro il neoespansionismo russo. Questo, dice Kissinger, non vuol dire che si possa abbandonare l’Ucraina al suo destino, e con essa l’Europa e l’occidente che combattono su quel fronte, alla dinamica della sconfitta.

 

No. Si deve vincere la guerra e poi ci deve essere uno scudo di tutela difensiva, contropartite incluse per la sicurezza russa, che implica un’Ucraina nella Nato, addirittura, e lo dice, lo statista internazionale, cambiando opinione senza patemi d’animo, lui un avversario dichiarato delle strategie Nato successive al crollo dell’impero di Mosca.

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A questo ragionamento difficilmente confutabile, che postula il rafforzamento del fronte di guerra difensiva reso necessario dall’invasione, bisogna aggiungere che va smantellato un altro falso del campionario pseudorealista oggi in grande spolvero. Si sostiene che Putin non è in condizione di soccombere nell’impresa dell’operazione speciale, pena la perdita del potere e di tutto. Quindi il nemico è in una gabbia dalla quale, si evince più o meno direttamente, occorre aiutarlo a uscire, che è la premessa di un cedimento incurante degli effetti delle gesta criminali dei russi a ovest del loro confine, dentro casa nostra: diamogli quello che chiede perché non può evitare di averlo, è per lui questione esistenziale.

       

Putin è un autocrate, è anche un sistema di potere, di convenienze, di consensi stanchi e dubitanti. Minaccia in proprio, con elementari canoni di finta sobrietà, a parte la telefonata con Boris Johnson, e minaccia con il suo cuoco sanguinario della Wagner, con i ceceni di Kadyrov, con gli anchormen imbizzarriti dei suoi canali televisivi, con la triste potenza di una storia e di un’identità russe radicate nell’isolamento e nel senso d’inferiorità misto a spirito di grandezza, avvilimento e orgoglio. La sua è una kermesse della forza e della debolezza insieme. L’ambito di sostegno dell’autocrate è, con la tecnica della mobilitazione dei coscritti, così costosa, e nonostante le trame diplomatiche di Lavrov e le crepe per ora minime nel fronte occidentale, un segno di incertezza del potere che Putin riassume nella sua persona e rappresenta con tutta la sua storia. L’epopea di Stalingrado, riesumata per l’occasione insieme con l’idea di una difesa patriottica dal nazismo che viene da ovest, è alla fine una macabra caricatura, come la reinaugurazione di un busto di Stalin.

       

Quindi Putin ha compiuto un gesto solitario di potere assoluto, con maniere forti e un fondo paranoide evidenti fin dalle ore dell’invasione, eppure non è solo e deve far fronte alla condotta delle cose di guerra in un contesto di società, di stato, di esercito che si nasconde ma esiste. La resistenza degli ucraini e l’appoggio armato dell’occidente hanno fatto saltare un equilibrio, che l’insistenza e la caparbietà del potere del titolare del Cremlino può cercare di ristabilire, ma a un prezzo e con rischio ogni volta maggiore. Realismo, ancora una volta, non è cedere terreno, nello spirito di Monaco, per timore delle conseguenze. Realismo è prendere atto dell’inesistenza di alternative a uno scontro senza data di scadenza, tantomeno fissata da ragionamenti farlocchi sulle manie e le necessità esistenziali del nemico.  

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