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Perché la tv russa d’opposizione Dozhd non potrà più trasmettere in Lettonia

Micol Flammini

Riga parla di problemi di sicurezza, ma il canale ha una grande storia di lotta contro il Cremlino e contro l’invasione dell’Ucraina. Quanto sarà difficile riparare la fiducia nel confronti dei russi

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Roma. L’emittente televisiva Dozhd, Pioggia, è stata fondata nel 2008. Non è un anno casuale: Dozhd è nata in aprile e in agosto, il presidente Vladimir Putin ha invaso la Georgia, dando la  prova inconfutabile che con lui la speranza di una Russia democratica non ci sarebbe stata. L’idea di creare un canale che desse spazio all’opposizione, alle proteste e che avesse uno stile più colorato e brillante rispetto alla televisione di stato era venuto a Natalia Sindeeva, giornalista e imprenditrice, che iniziò con suo marito a pensare a come raccontare l’altra Russia, quella ottimista, che non si schierava con le guerre, che era andata avanti mentre il Cremlino rimaneva indietro. Ben presto, la sopravvivenza del canale si è trasformata in una lotta contro  Putin, che Sindeeva ha raccontato in un documentario uscito quest’anno con il titolo “Tango con Putin”. Una lotta, una caccia, un nascondino pericoloso che si è concluso dopo l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo.

 

La legge sulla censura militare approvata e voluta dal presidente russo dopo il 24 febbraio  ha accelerato la repressione delle testate: quando alcuni media russi si sono ritrovati a dover raccontare la guerra senza poterla chiamare con il suo nome hanno preferito sospendere le loro pubblicazioni. Tra questi c’è anche Dozhd che il 3 marzo aveva annunciato la fine delle trasmissioni in Russia mandando in onda “Il lago dei cigni”. Il riferimento era ai giorni del colpo di stato contro Michail Gorbaciov nel 1991, quando alla televisione era stato vietato di trasmettere notizie e furono  proiettate ininterrottamente le note di ČCajkovskij.  Dozhd aveva trovato una seconda vita in Lettonia, un paese vicino, in cui abita una nutrita comunità russofona. Riga, che ospita anche alcuni giornalisti di Novaja Gazeta e la redazione del sito Meduza, aveva tutto l’interesse  che testate serie in lingua russa potessero contribuire a informare i russi in Lettonia e contrastare la propaganda del Cremlino. 

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Ieri la Lettonia  ha revocato la licenza di  Dozhd, dopo aver tenuto il  canale   sotto stretta osservazione:  i giornalisti avevano parlato dell’esercito russo definendolo “il nostro esercito” e avevano  mostrato una mappa dell’Ucraina che non includeva la Crimea. La rottura si è consumata con il commento di uno dei conduttori del canale  che in diretta ha parlato  della possibilità di mandare aiuti di base ai soldati di Mosca. Il direttore della rete è subito intervenuto licenziando il giornalista ed escludendo che Dozhd avrebbe mai mandato aiuti di alcun genere all’esercito. Non è stato abbastanza per salvare la licenza della rete che da oggi trasmetterà soltanto su YouTube. Secondo la Lettonia, l’emittente non “capisce e non è a conoscenza della gravità di ogni suo violazione” e ha motivato la restrizione con “minacce alla sicurezza nazionale e all’ordine sociale”. L’arrivo a Riga di media russi, anche se di opposizione, non è stato colto da tutti come un’opportunità e, tra i politici,  in più di uno hanno pensato che potessero costituire invece una preoccupazione, un rischio per l’unità del paese. A questi dubbi, la scorsa settimana, si sono aggiunti gli avvertimenti dell’intelligence lettone, che ha segnalato  “pericoli provenienti dai cosiddetti media indipendenti della Russia che trasferiscono la loro attività in Lettonia”.

 

Al Cremlino invece non è dispiaciuta affatto la notizia della sospensione della licenza di Dozhd in Lettonia. “Le persone pensano sempre di star meglio da qualche altra parte che a casa – ha detto il portavoce Dmitri Peskov – credono che da un’altra parte ci sia libertà, mentre a casa no. Questo è un chiaro esempio che dimostra quanto si tratti di illusioni infondate”. La vicenda di Dozhd in Lettonia mostra invece come la guerra della Russia contro l’Ucraina, soprattutto nei paesi che facevano parte dell’Unione sovietica e che ben conoscono quanto possa essere pericolosa la vicinanza di Mosca, ha creato una profonda diffidenza nei confronti dei cittadini russi e una difficoltà acuta a comprendere anche chi tenta di fare opposizione a Putin. Il messaggio che arriva da Riga, che ha una comunità russa da gestire sul suo territorio e si sente più esposta di altre nazioni europee alle minacce di Mosca, è che si può essere anche uniti contro la guerra e contro Putin, ma il rischio è di combattere su due fronti opposti tra i quali potrebbe diventare sempre più complesso capirsi. 

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