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sconfitte

Il suicidio di Liz Cheney in Wyoming

Giulio Silvano

La deputata repubblicana e anti-Trump del Congresso è stata eliminata dalle primarie del partito. Ora dovrà anche lasciare il posto di vice nella Commissione d'inchiesta che indaga sull'assalto al Campidoglio  

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Trump ha vinto. Gli elettori repubblicani in Wyoming hanno eliminato alle primarie di ieri la deputata Liz Cheney, che non potrà tornare al Congresso a novembre. Dovrà quindi lasciare il suo posto di vice nella Commissione d’inchiesta che indaga sull’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, posizione che l’aveva trasformata in uno dei nemici principali dell’ex-presidente, argine alla trumpianizzazione del GoP, guerriera del conservatorismo non volgare.

 

La sua scelta di entrare nella Commissione ne aveva elevato lo status a operazione bi-partisan, togliendogli l’immagine di vendetta dei democratici contro l’ex-presidente. “I repubblicani non possono essere fedeli a Trump e allo stesso tempo fedeli alla costituzione”, aveva detto Cheney. Come in Dieci piccoli indiani dei dieci deputati che avevano votato per l’impeachment a Trump ne stanno restando ben pochi. Quattro hanno deciso di non ricandidarsi, convinti di perdere, altri quattro – Cheney, Rice, Meijer e Herrera Beutler – sono stati battuti alle primarie dai candidati populisti, e solamente due sono riusciti a sopravvivere evitando nelle loro campagne elettorali di fare il nome di Donald Trump. Dan Newhouse dello stato di Washington e David Valadao della California sono gli unici che potranno scontrarsi a novembre con i democratici. 

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La sconfitta di Cheney è forse stata più brutale di quanto non ci si aspettasse. Ha preso il 29 per cento dei voti, contro il 65,8 per cento di Harriet Hageman, la candidata appoggiata da Trump. Nei giorni in cui in Italia si parla del sacrificio di personalità di partito che si tirano indietro, che preferiscono non rischiare la sconfitta nei collegi non sicuri, Cheney sembra al confronto il simbolo della massima integrità e responsabilità di fronte agli elettori. Non ha mai cercato di assecondare l’elettorato ammorbidendo le sue posizioni sullo stato del partito e della nazione, non ha mai smesso di attaccare l’ex presidente e di identificarlo come un problema per la democrazia.

 

“Nessun partito, nessun popolo e nessuna nazione possono difendere e tenere in piedi una Repubblica costituzionale se accettano un leader che è in guerra con lo stato di diritto”, aveva detto a giugno. Alla fine del discorso serale dopo la chiusura dei seggi, a Jackson Hole, tra le montagne del Wyoming, ha fatto partire “I won’t back down” di Tom Petty. “Non ho alcun rimpianto”, ha detto Cheney dopo la sconfitta, “Non c’è niente di più importante della difesa della nostra Costituzione. E continuerò quindi a lavorare in questa direzione assicurandomi di farlo in modo super partes”.

 

Il New Yorker la scorsa settimana l’ha paragonata a un kamikaze, per la sua dedizione a combattere Trump sapendo di perdere il suo posto alla camera, dopo solamente un mandato. L’eroicità di Cheney, questo suicidio politico, diventa centrale, anche mediaticamente, dal momento che così pochi membri del GoP hanno avuto il coraggio di attaccare The Donald. E questo terrore diffuso ha solamente aumentato ancora di più il suo ascendente sul partito. Nel discorso finale di Cheney, il richiamo alla vittoria di Lincoln – “Abraham Lincoln è stato sconfitto alle elezioni per il Senato e per la Camera prima di vincere l’elezione più importante di tutte” – ha fatto illuminare gli occhi a chi vorrebbe vederla candidarsi alle presidenziali per ripulire l’immagine del partito. 

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E a proposito di immagine del partito, nelle primarie di ieri si è rivisto un altro volto simbolo di una stagione repubblicana, la ex governatrice dell’Alaska Sarah Palin, che ha vinto le primarie per la Camera. Dopo anni è tornata, appoggiata da Trump. Prima di morire, il senatore John McCain, che aveva scelto Palin come eventuale vice-presidente nel 2008, era stato uno dei critici più duri dell’ex-presidente. Sul rapporto troppo amichevole di Trump con Putin aveva detto: “Un presidente americano non può guidare le forze del Mondo Libero congratulandosi con i dittatori che vincono elezioni truccate”. Stanno vincendo gli amici di Putin.

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