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Il sesto round di sanzioni contro la Russia ci sarà ma l’unità europea vacilla

David Carretta

La visita della Von der Leyen da Orbán non ha prodotto i risultati sperati. Così sull'embargo al petrolio russo Bruxelles si mostra vulnerabile. Un discorso analogo potrebbe adesso valere per il gas

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Bruxelles. Il sesto pacchetto di sanzioni dell’Unione europea contro la Russia, presentato una settimana fa dalla Commissione e non ancora approvato, si sta trasformando in un gran pasticcio. Lo stallo sull’embargo sul petrolio e altre misure dimostra che alcuni stati membri – l’Ungheria soprattutto, ma non solo – non sono pronti a pagare un prezzo, nemmeno scontato, per togliere a Vladimir Putin le risorse finanziarie per la sua guerra contro l’Ucraina. Nel frattempo, visto il periodo trascorso tra la fuga di notizie sui contenuti del pacchetto e la sua approvazione, gli oligarchi e le società russe che dovevano finire nelle liste nere dell’Ue (dal patriarca di Mosca Kirill alla banca Sberbank) avranno avuto il tempo di trasferire i loro soldi o i titoli di proprietà. Il ministro francese per gli Affari europei, Clément Beaune, ieri ha detto che “si può avere un accordo entro la settimana”, è solo “una questione di giorni”. Tra concessioni a Viktor Orbán e sanzioni tolte dal pacchetto, un’intesa ci sarà. Ma le divisioni emerse negli ultimi sette giorni non sono di buon auspicio per le scelte che l’Ue sarà chiamata a fare nello scenario di una guerra lunga e cruenta. La stanchezza del conflitto e il rallentamento della crescita stanno già spingendo alcuni attori economici a chiedere un ritorno alla normalità.

Con un paradosso: più i paesi dell’Ue finanzieranno la Russia, più a lungo Putin potrà prolungare la sua guerra destabilizzante per l’Ue. Un viaggio di von der Leyen a sorpresa a Budapest e una telefonata di Emmanuel Macron a Orbán non sono stati sufficienti per arrivare a una svolta. L’ultima bozza del pacchetto prevedeva una deroga all’embargo sul petrolio su misura per Ungheria e Slovacchia: due anni in più degli altri (fino alla fine del 2024) per smettere di importare greggio russo. Lunedì, dopo l’incontro tra von der Leyen e Orbán, il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, ha ribadito che l’embargo “nella sua forma attuale sarebbe una bomba atomica per l’economia dell’Ungheria”. Un portavoce della Commissione ha detto che le preoccupazioni ungheresi sono “legittime” e i problemi sono di natura tecnica, legati a oleodotti e raffinerie “settati” sulla Russia.

La soluzione può essere trovata con “calendari differenziati” e “investimenti nelle infrastrutture”, ha spiegato la Commissione. Ma ieri mattina von der Leyen e Macron hanno dovuto cancellare all’ultimo momento una videoconferenza con Orbán per discutere della soluzione. Il premier ungherese aveva chiesto una deroga totale dall’embargo, poi di cinque anni, entrambe giudicate inaccettabili dagli altri stati membri. Alludendo in più occasioni al blocco dei 7,2 miliardi di euro del Recovery fund (a causa del conflitto sullo stato di diritto), Orbán ha dato una dimensione politica al braccio di ferro sul petrolio. Scegliendo di assecondare l’Ungheria, invece di isolare il suo premier capriccioso, la Commissione e gli altri stati membri rafforzano l’immagine di un’Ue divisa.

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Per non ritrovarsi a fare i conti con tanti piccoli Orbán del sud, l’Ue ha deciso di abbandonare un’altra misura che era stata proposta nel sesto pacchetto: il divieto per le navi battenti bandiera europea di trasportare petrolio russo. L’obiettivo di questa sanzione è di evitare che la Russia possa dirottare con facilità il greggio verso altre parti del mondo. Ma Grecia, Cipro e Malta – paesi in cui la lobby degli armatori è forte – sono contrari. Una proroga di tre mesi prima dell’entrata in vigore del divieto per le petroliere europee non è stata sufficiente. Così, alla fine, gli ambasciatori dei 27 stati membri si sono limitati a stralciare la sanzione dal sesto pacchetto, rinviando la sua possibile introduzione a quando gli altri paesi del G7 avranno instaurato divieti analoghi. La disgregazione dell’unità a causa degli egoismi nazionali mette l’Ue in una posizione di debolezza nell’altra battaglia energetica con Putin che si è già aperta: il gas. Che sia di fronte alla minaccia russa di tagliare le forniture per i pagamenti in rubli o all’esigenza occidentale di imporre un altro embargo alla Russia, il pasticcio sul sesto pacchetto di sanzioni ha reso l’Ue più vulnerabile.

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