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Così la Russia sta trasferendo la crisi economica nei paesi alleati

Federico Bosco

Mosca, isolata dall'Occidente, rischia di trascinare nella spirale della recessione la Bielorussia, che dipende completamente da lei dopo le sanzioni del 2021. Il Kazakistan cresce ma meno di quanto potrebbe e sulla guerra non è completamente allineato con Putin

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l discorso del Giorno della Vittoria è stato quasi una delusione, Vladimir Putin non ha annunciato la mobilitazione generale né rivendicato una vittoria (anche solo parziale), giustificando le sue azioni come un attacco preventivo contro l’aggressione di un Occidente “moralmente degradato” che voleva togliere alla Russia i “suoi” territori di Donbas e Crimea. Tanti i riferimenti al sacrificio dei sovietici, parole che vogliono accendere il fervore patriottico dei russi per prepararli all’economia della resistenza e all’isolamento internazionale. Nel frattempo tante persone, spesso le più brillanti, emigrano: secondo i rapporti dei servizi di sicurezza (Fsb) nei primi tre mesi dell’anno 3,8 milioni di russi hanno lasciato il paese. Il danno inflitto dalle sanzioni economiche è reale e, a lungo termine, mette a rischio sia la tenuta interna sia le relazioni con i paesi vicini. 

 

Come fa notare il professore del King’s College di Londra Sam Greene, la Russia sta trasferendo la sua crisi in Bielorussia e Kazakistan, i due principali partner dell’Unione economica eurasiatica. Mentre il rublo russo ha recuperato gran parte del suo valore dopo il crollo di inizio guerra, il rublo bielorusso è crollato del 24 per cento rispetto al dollaro e di conseguenza del 32 per cento rispetto alla valuta russa. La Bielorussia non ha gli idrocarburi della Siberia e dopo le sanzioni seguite alle rivolte del 2020-21 dipende completamente da Mosca, che ora ha ben poco da offrire. Con queste premesse la previsione del Fondo monetario internazionale (Fmi) di una contrazione del 6,4 per cento del pil risulta per Minsk persino ottimistica. 

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La settimana scorsa il dittatore Alexander Lukashenko ha dato sfogo alla sua insofferenza. In un’intervista alla Associated Press ha detto che non si aspettava che il conflitto si sarebbe trascinato per settimane, ha definito “guerra” quella che Mosca chiama “operazione militare speciale”, e bollato come “inaccettabile” l’idea di usare armi nucleari. Quando i carri armati russi puntavano verso Kyiv si è speculato sull’eventuale ingresso in guerra delle forze armate della Bielorussia, ma alla fine Lukashenko si è guardato bene dal fare il passo che l’avrebbe reso pienamente complice della guerra di Putin. Intanto la resistenza bielorussa sabotava le ferrovie che trasportavano i rifornimenti dei russi, in quello che secondo i reportage del Wall Street Journal è stato un altro tassello del fallimento dell’assalto alla capitale ucraina. 

 

Per il Kazakistan il Fmi prevede nel 2022 una crescita del 2,3 per cento, che però risulta debole visto che i prezzi del petrolio sono alti e il paese centro-asiatico è tra i primi 20 produttori mondiali (prima della guerra la Banca mondiale prevedeva una crescita del 3,7 per cento). A gennaio Nur-Sultan ha represso le rivolte con l’aiuto di Mosca, ma ciò nonostante il governo di Kassym-Jomart Tokayev sta continuando con le riforme costituzionali che vogliono portare il Kazakistan oltre l’era del “padre della patria“ post-sovietica Nursultan Nazarbayev. Secondo gli analisti della regione l’intento di Tokayev è tracciare un solco tra passato e futuro, e rimuovere dal potere gli uomini dell’ex presidente Nazabayev, considerato l’architetto delle rivolte di gennaio. 

 

La posizione di Nur-Sultan è che la guerra è stata provocata dal mancato rispetto degli accordi di Minsk, ma il Kazakistan invita le parti a trovare un accordo ed è pronto a fare da mediatore tra Russia e Ucraina, privilegiando l’interesse nazionale. Il pacifico ma progressivo allontanamento dalla Russia è un processo irreversibile, rafforzato dal nuovo contesto internazionale in cui il Kazakistan diventa un partner più appetibile per Cina, India, Turchia e il resto del mondo islamico dell’Asia centrale; ma anche per l’Europa affamata di energia alternativa a petrolio e gas naturale russo. Tutto ciò fa sembrare la Russia di Putin ancora più intrappolata nella sua lettura della storia, incapace di guardare al futuro, nelle mani di una leadership che sta diventando uguale alla gerontocrazia della tarda era sovietica, prima della fine.

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