(Foto di Ansa) 

Il 9 maggio russo

La guerra di Putin in Ucraina è diventata "in difesa della patria nel Donbas". Il discorso nella Piazza Rossa

Micol Flammini

Non ci sono stati annunci di vittoria né una dichiarazione di guerra: gli aerei dell’aviazione russa che per giorni avevano fatto prove di volo per sfilare alla parata e disegnare la Z non hanno volato

Secondo il ministero della Difesa ucraino, le perdite russe al 9 maggio ammontano a quasi 26.000 uomini. I numeri che riportano le autorità occidentali sono inferiori, ma comunque ingenti. Davanti alla Piazza Rossa, con la parata organizzata per celebrare il 77esimo anniversario del giorno della vittoria dell’Unione sovietica sul nazismo, Vladimir Putin ha ricordato per un attimo le perdite che questa nuova guerra: “La morte di ciascuno dei nostri soldati e ufficiali è un dolore per tutti noi e una perdita irreparabile per parenti e amici… Daremo un sostegno speciale ai figli dei compagni morti e feriti. In merito ho firmato oggi un decreto”. Davanti al ricordo dei soldati morti, di cui non ha fornito numeri, il presidente russo ha ribaltato la realtà, cercando di tratteggiare la storia di una guerra nata non per aggredire un paese vicino, bensì per difendere il territorio di una Russia che il resto del mondo vuole aggredita e isolata.  Il 24 febbraio, giorno dell’inizio dell’invasione, Putin aveva parlato di un’operazione speciale per denazificare l’Ucraina. Oggi, 9 maggio, la guerra è diventata una lotta in difesa della “patria” nel Donbas. 

Vladimir Putin ha mostrato la Russia come una vittima degli Stati Uniti e della Nato, una nazione che sarebbe stata colpita se non fosse intervenuta per prima in Ucraina, dove, tramite i neonazisti, gli Stati Uniti stavano creando una minaccia costante ai confini. “Abbiamo visto come si stava sviluppando l'infrastruttura militare, come hanno iniziato a lavorare centinaia di consulenti stranieri, come ci sono state consegne regolari delle armi più moderne da parte dei paesi della Nato”. L’accenno alle armi più moderne è servito anche per giustificare gli insuccessi dell’esercito russo in Ucraina: nel modo in cui la propaganda racconta la guerra, non è più una guerra contro l’Ucraina, ma contro la Nato. 

Putin ha detto che il pericolo per la Russia cresceva ogni giorno e ha “rifiutato preventivamente l’aggressione”. La guerra nel discorso del presidente russo è diventata quindi una decisione “forzata, tempestiva e l’unica giusta”. Putin ha messo insieme l’idea della Russia aggredita con quella della nazione unico baluardo contro il degrado morale dell’occidente: lamentele e sacralità. “Gli Stati Uniti, soprattutto dopo il crollo dell’Unione sovietica, hanno iniziato a parlare della loro esclusività, umiliando non soltanto il mondo intero, ma anche i loro satelliti che devono fingere di non accorgersi di nulla e accettare tutto docilmente. Ma siamo un paese diverso. La Russia ha un carattere diverso. Non rinunceremo all’amore per la patria, alla fede e ai valori tradizionali, agli usi dei nostri antenati, al rispetto per tutti i popoli e le culture”. Per Putin in occidente i valori millenari sono stati cancellati e “tale degrado morale divenne la base per ciniche falsificazioni della storia della Seconda guerra mondiale, per incitare alla russofobia, elogiare i traditori, deridere la memoria delle loro vittime, cancellare il coraggio di coloro che vinsero”. 

Non ci sono stati annunci di vittoria né una dichiarazione di guerra: gli aerei dell’aviazione russa che per giorni avevano fatto prove di volo per sfilare alla parata e disegnare la Z, simbolo dell’invasione, nei cieli di Mosca, non hanno volato. Quello di Putin nella Piazza Rossa era un discorso rivolto soprattutto ai russi, per dire loro: siamo un popolo unico, forte, indipendente, ne dobbiamo subire le conseguenze, le morti e dobbiamo difenderci. Lamentele e sacralità al servizio della propaganda e per continuare a giustificare una guerra alla quale non ha intenzione di mettere fine: le accuse agli Stati Uniti e la dichiarazione seconda la quale la Nato punta al territorio russo lo dimostrano. 

Questa mattina, prima dell’inizio della parata, il sito della tv russa era stato hackerato, il nome dei programmi era stato cambiato con “Nella tue mano c’è il sangue di migliaia di ucraini e delle loro centinaia di bambini assassinati. La tv e le autorità mentono. No alla guerra”.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.