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In pochi mesi, il presidente millennial del Cile ha già perso consensi

Maurizio Stefanini

Gabriel Boric era andato al potere in un clima di forte appoggio popolare. Insediatosi appena l'11 marzo, nei sondaggi precipita: le aspettative erano troppe e alcuni problemi sono oltre la sua portata

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Gabriel Boric, il presidente millennial del Cile, durante la sua prima visita al nord è stato addirittura preso a sassate, mentre al sud deve affrontare una guerra civile strisciante. Ci sono proteste anche a Santiago, con i manifestanti che chiedono la rinuncia dell'ufficiale generale dei Carabineros cileni Ricardo Yáñez e la liberazione dei detenuti ancora in carcere per reati commessi durante le rivolte del 2019. E nei sondaggi, precipita: dal 53 al 26 per cento di gradimento, un record negativo per un presidente insediatosi appena l’11 marzo, e ancora in luna di miele con gli elettori. I media internazionali quasi non se ne accorgono, ovviamente distratti come sono dalla tragedia in Ucraina. Ma il più giovane capo di stato della storia del paese andino, leader di una protesta studentesca diventato un erede di Allende riveduto e corretto, è nei guai.

 

E sì che era andato al potere in un clima di forte appoggio popolare, di grande simpatia internazionale, e anche di lodevole disponibilità della opposizione a collaborare con lui. E non è che Boric non abbia cercato di comportarsi nel modo migliore possibile. Minoritario in Congresso, ha arrangiato ad esempio un governo con 14 donne e 14 uomini in cui ha messo dentro anche un liberale come ministro dei Lavori pubblici, un banchiere alle Finanze e anche una ex presidente della Commissione Interamericana dei Diritti Umani nemica giurata di Daniel Ortega e Maduro agli Esteri, oltre a una nipote di Allende alla Difesa e a tre comunisti. E oltre che sull’involuzione autoritaria in Nicaragua e Venezuela anche sull’invasione dell’Ucraina il suo comportamento è stato senza ambiguità.

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Ma le aspettative erano troppe, e certi problemi oltre la sua portata. In particolare la rivolta della Coordinadora Arauco Malleco; un gruppo di estremisti dell’etnia indigena mapuche che non accetta la conquista cilena di fine Ottocento e ha deciso la lotta armata a oltranza contro i governi di Santiago, chiunque sia alla loro testa. Dopo che il ministro dell’Interno aveva denunciato un aumento degli atti di violenza da 305 a 1.700 in poche settimane, il 22 aprile tre camion sono stati bruciati, e un camionista ferito con due pallottole. E giovedì un gruppo di 40 incappucciati ha dato fuoco ad altri 25 veicoli. I camionisti, sia per ottenere protezione militare che per protestare contro l’aumento dei prezzi del carburante, hanno risposto bloccando otto città e soprattutto la principale strada che mette in comunicazione il nord con il sud del paese, ed evocando così il fantasma dell’altra rivolta di camionisti da cui iniziò la crisi di Allende. Visto che Boric a sua volta ha ordinato alla polizia di sgomberare, ha annunciato misure penali e ha accusato i camionisti di non voler dialogare.

 

A conferma del modo in cui è difficile in Cile toccare qualunque cosa senza provocare reazioni a catena, per provare a venire incontro alle aspirazioni indigeniste il governo ha poi fatto dichiarazioni sulla patria ancestrale dei mapuche che senza calmare gli estremisti hanno fatto preoccupare gli argentini. Una potenziale rivendicazione territoriale? Per parare Boric è andato allora in visita a Buenos Aires, e ha pure mandato una ambasciatrice di sua fiducia. Solo che si trattava della sindacalista comunista Bárbara Figueroa, da cui nuove polemiche. Adesso Boric cerca di rilanciare con l’annuncio di un piano di recupero economico da 3,7 miliardi di dollari. “E' l’economia, stupido”, in stile Clinton. Ma il 4 settembre lo aspetta un appuntamento cruciale, con il referendum su una nuova Costituzione che è stata elaborata da una assemblea costituente eletta sull’onda delle proteste da cui è venuta anche la sua elezione. E i sondaggi danno sempre più probabile una bocciatura: adesso si starebbe sul 46 per cento di no, contro il 40 per cento di sì. E' la Costituzione ereditata da Pinochet, ma ormai è stata emendata più volte nei suoi aspetti più discutibili. Di fronte alla crescente immagine di caos della sinistra al governo, in sempre più cileni cominciano a pensare che forse è meglio l’usato sicuro.

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