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Così si disegna la nuova mappa energetica dell’Ue, ci dice un esperto

Matteo Muzio

La dipendenza europea dal gas russo è un tema cruciale per la gestione dell’isolamento russo. Come vi si pone rimedio? Ecco perché nel breve periodo converrebbe puntare più sui rigassificatori che sui gasdotti. Parla Nick Sitter

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Milano. In queste ore l’Unione europea sta valutando forse la decisione più difficile da prendere da quando è iniziata l’offensiva militare della Russia in Ucraina: l’embargo energetico.  La dipendenza europea dal gas russo è stato ed è un tema cruciale per la gestione dell’isolamento russo, anche perché dal 2014 a oggi, cioè dalla prima avventura di Vladimir Putin in Ucraina con conseguente annessione della Crimea, certi paesi hanno aggravato tale dipendenza, mentre altri hanno compiuto scelte diverse. Nel 2021, secondo i dati dell’Agenzia internazionale dell’Energia, sono stati importati 155 miliardi di metri cubi, il 45 per cento delle importazioni complessive. Il professore Nick Sitter, docente di public policy alla Central European University di Vienna e alla BI Norwegian Business School, spiega al Foglio che paesi come l’Ucraina hanno ricevuto vantaggi: “Se la Russia utilizza il gas come strumento di dominio geopolitico, l’Ucraina per anni ha avuto accesso a gas sussidiato a basso prezzo, avendo in questo senso un vantaggio, che però ha comportato una dipendenza che per anni è stata anche politica”.

Altre nazioni dell’Unione europea invece hanno scelto di fare diversamente: ad esempio l’Italia nel 2019, durante il governo gialloverde, ha bloccato il progetto del gasdotto EastMed che avrebbe collegato il paese al giacimento Poseidon di fronte a Cipro e Israele, così come si ricorda l’opposizione strenua al gasdotto Tap, oggi visto come una salvezza: “Certi governi italiani hanno visto con simpatia il putinismo, quindi la loro visione è da vedersi in questo senso, mentre in Germania, ad esempio, è più forse un realismo cinico che ha fatto sì che si scegliesse il gas dalla Russia come alternativa economica e poco impattante dal punto di vista ambientale”, spiega Sitter. Questa scelta strategica ora deve essere ritrattata, e non è facile, secondo l’esperto: “Sicuramente sarà costoso dal nostro punto di vista. Per questo bisogna quanto prima passare all’uso del gas naturale liquefatto trasportato via nave, costruendo impianti adeguati che possano sopperire a questa mancanza che impatterà sui consumatori e sulla produzione industriale”. Lo sarà anche dal punto di vista del Cremlino, aggiunge Sitter: “Contrariamente a quanto si dice, la Cina non potrà comprare tutto il gas venduto dall’Europa”. Anche per problemi di natura logistica: “La Russia europea e la Siberia non comunicano a livello di gasdotti, sarebbe davvero difficile connetterle in tempi rapidi. Oltretutto, anche se Pechino facesse un grande acquisto di gas, ne potrebbe prendere al massimo metà. Quindi Mosca si ritroverebbe con metà del gas senza un compratore”. 

A gennaio gli Stati Uniti hanno trasportato verso l’Europa la quantità record di 4,3 miliardi di tonnellate di gas liquefatto, ma è stata solo una decisione di emergenza? Per Sitter questo è il segno di un cambio di passo generale, che sposta la necessità di muovere l’attenzione dalla costruzione dei gasdotti, molto lunghi da realizzare e a volte impattanti per l’ambiente, verso i rigassificatori: “Prendiamo il Qatar: sono scettico che costruire un gasdotto che passa attraverso zone politicamente instabili come la Siria o l’Iraq rappresenti una soluzione ottimale. I rigassificatori invece consentono all’Europa di avere più fornitori e non dipendere da Mosca come nell’ultimo decennio”. Così, ad esempio, ha fatto la Lituania: costruendo un rigassificatore a Klaipeda che può rifornire anche la Lituania. Anche se, ad esempio, la Polonia a fine 2022 non rinnoverà più il contratto con Gazprom perché utilizzerà a partire da ottobre un nuovo gasdotto realizzato verso i giacimenti norvegesi. In quel caso però, la decisione risale al 2001. Adesso c’è bisogno di soluzioni più rapide per tamponare l’inevitabile sofferenza economica dell’Europa che per tempo scelse la soluzione che apparentemente dava meno problemi.

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