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A Kyiv

Gli ucraini si fanno la no fly zone da soli

Daniele Ranieri

L’esercito di Kyiv vuole che i suoi cieli siano così pericolosi da costringere i russi a rallentare i bombardamenti. Usa le armi ricevute da noi, ma sa che è una questione di tempo. Le facciate color pastello sono annerite o sgretolate

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Kyiv, dal nostro inviato. Tra sabato e domenica e in meno di ventiquattr’ore le forze ucraine hanno abbattuto nove fra elicotteri e aerei russi, più un drone. Difficile ricordare un giorno così nero per una forza aerea, forse c’è da andare indietro fino alla Seconda guerra mondiale. Ma questa volta, a differenza di ottant’anni fa, ci sono le riprese dei telefoni e dei droni a rilanciare tutto. E’ una catastrofe dal punto di vista di Mosca, se andasse avanti così in un mese la Russia non avrebbe più un’aeronautica militare. Gli aerei cadono come mattoni dal cielo e si lasciano dietro appena un filo di fumo, i missili terra-aria centrano gli elicotteri in volo e li fanno esplodere, i piloti che sopravvivono perché riescono a eiettarsi in tempo sono catturati al suolo – con le loro tute blu oppure arancioni in questi infiniti campi ucraini di febbraio color caffellatte. Hanno la faccia stupita di chi fino a un minuto prima dominava il mondo e un minuto dopo deve stare con le mani alzate sopra la testa e ha un fucile puntato addosso e uno smartphone puntato in faccia.

Le forze ucraine ne hanno catturati sette, sempre fra sabato e domenica. Almeno uno è stato riconosciuto perché faceva anche missioni in Siria, c’è una sua foto di cinque anni fa accanto al rais Bashar al Assad.

Gli ucraini da terra danno la caccia agli aerei e agli elicotteri russi. Sono armati anche di missili terra aria polacchi Piotor e di missili americani Stinger – arrivati con i rifornimenti di armi da parte degli alleati internazionali quando si è cominciato a capire che il presidente russo, Vladimir Putin, aveva forse intenzione di invadere. Gli Stinger sono gli stessi missili che in Afghanistan privarono le forze sovietiche del vantaggio di controllare i cieli durante gli anni Ottanta. Gli abbattimenti continui convinsero il Politburo – o perlomeno furono un fattore importante nel processo decisionale – a ritirare i soldati dall’Afghanistan perché le perdite stavano diventando troppo alte e l’occupazione troppo costosa. Ma ci vollero anni. E oggi l’Ucraina non ha a disposizione tutto quel tempo prima che il disastro si consumi. Può contare su qualche altra giornata nera per i piloti russi? Sì, ma non basterà. I bombardieri russi per sfuggire ai missili voleranno più in alto e colpiranno con molta meno precisione, ed è una cosa che non ritengono importante.

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Alcuni da giorni propongono di imporre una no fly zone sull’Ucraina – vuol dire: un’area che nessuno può sorvolare – in modo da fermare i bombardamenti aerei russi. E’ una proposta velleitaria. In passato è stato fatto contro la Serbia di Milosevic e contro l’Iraq di Saddam Hussein, ma per imporre una no fly zone è necessario essere pronti ad abbattere gli aerei che la violano. Di fatto, se gli Stati Uniti o la Nato imponessero oggi una no fly zone sull’Ucraina sarebbe come se entrassero in guerra contro la Russia. E forse è proprio quello che vorrebbe Putin, perché così potrebbe compattare il paese, che gli sta sfuggendo di mano, sotto la bandiera della resistenza all’aggressione occidentale. Inoltre c’è un rischio di escalation. Il presidente russo lo ha detto in modo chiaro: chi interferisce con “l’operazione di denazificazione” sarà punito “come mai si è visto nella storia” ed era un riferimento alle armi nucleari.

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La soluzione che resta è creare con le armi una quasi no fly zone, che è quello che in questi giorni gli ucraini stanno facendo dal basso con i missili anti aereo che hanno ricevuto. L’idea è rendere così pericolosi i cieli dell’Ucraina per i piloti russi da rallentare o quasi fermare le missioni di bombardamento. E’ un progetto ambizioso e potrebbe arrivare troppo tardi. Per renderlo più credibile l’Amministrazione Biden è impegnata in trattative con la Polonia. La proposta americana per i polacchi è: voi cedete agli ucraini una ventina di caccia Mig-29, che loro sanno già come pilotare perché è un aereo che hanno anche loro e possono aggredire i bombardieri russi, e noi in cambio vi diamo aerei migliori americani. Il governo polacco ha detto che non si farà, ma il segretario di stato americano, Antony Blinken, parla della questione come se fosse ancora aperta.

Per ora i bombardamenti russi nella capitale ucraina Kyiv sono ancora apparizioni isolate, che fanno notizia. Si contano sulle dita di una mano. Laggiù due giorni fa è caduto un missile, ti indicano, e vedi il segno dell’esplosione in mezzo alla strada, la facciata di un edificio annerita dalla fiammata, le vetrate di una palestra disintegrate dall’onda d’urto. Dentro le cyclette sono rovesciate e coperte dalla polvere di cemento e i vetri scrocchiano sotto le scarpe. Poi prendi la macchina, fai cinque minuti di strada e vedi un altro tiro: questa volta ha colpito l’angolo di un palazzo di una ventina di piani, ne ha aperto un angolo, la facciata è rosa e poi c’è lo squarcio grigio: sembra un piccolo 11 settembre. Sotto la gente fa una coda disciplinata per fare la spesa a un supermercato.

I primi missili sono il trailer di quello che sta arrivando. La capitale non è ancora come Mariupol e Kharkiv, dove da quattro giorni la gente non riesce a uscire dai rifugi per colpa del fuoco dei cannoni e dei bombardieri intenti nel processo di “denazificazione” del paese. Ma la minaccia è imminente. L’artiglieria russa è a meno di venti chilometri e questo vuol dire che se volesse potrebbe già aprire il fuoco sulla città. I missili possono centrare la sua area con estrema facilità e hanno soltanto l’imbarazzo della scelta del bersaglio – ha la stessa ampiezza di Berlino. E poi ci sono i bombardieri, che in questi anni – quando ce ne importava di meno – hanno fatto pratica sulle città della Siria.

Senza no fly zone l’Ucraina è esposta ai bombardamenti russi, ma imporre una no fly zone vorrebbe dire alzare il conflitto a un livello che per adesso non riusciamo a immaginare.

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