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Il piano per schiantare Boris Johnson

Paola Peduzzi

Vendicativo, armato di screenshot, metodico e incendiario, Dominic Cummings sta distruggendo il suo ex capo, il premier Johnson, una rivelazione alla volta. Storia di una festa durata anni e finita malissimo 

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Il primo ministro inglese, Boris Johnson, “ha mentito davanti al Parlamento riguardo alle feste” a Downing Street, ha scritto Dominic Cummings sul suo blog lunedì e in un attimo s’è  riacceso il partygate, lo scandalo che tormenta il governo britannico e che rischia di travolgerlo. Se il premier ha mentito ai Comuni, la faccenda diventa  grave: si passa dall’opportunità politica (invero bassissima) di tenere delle feste a palazzo in periodo di lockdown a materiale utile per pretendere e ottenere le dimissioni del capo di governo. Ed è questo l’obiettivo di Cummings, ex consigliere armato di una quantità di screenshot, messaggini, email, documenti riservati, confidenze e segreti che distruggerebbero chiunque di noi, figurarsi un premier sempre al limite del lecito politico come Johnson. Cummings non è soltanto un ex vendicativo, già di per sé una categoria pericolosissima, ma è anche un ex metodico,  cultore dell’Arte della guerra di Sun Tzu, il filosofo cinese che ispira Vladimir Putin, Donald Trump e i suoi consiglieri più sulfurei, e che diceva che “l’arte suprema della guerra è quella di sottomettere il nemico senza combattere” nemmeno una battaglia. Cummings non improvvisa, pianifica e non sta a badare se la vendetta sia tiepida o fredda: la vendetta va consumata e basta, cogliere il momento esatto fa parte del genio del vendicatore. Il metodo Cummings è fatto di frammenti lasciati cadere qui è là nei propri scritti, nelle informazioni trapelate sui media, nelle testimonianze pubbliche: messi tutti assieme minano la credibilità morale di Boris Johnson. L’ex non vuole semplicemente interrompere la carriera da premier del suo capo, vuole distruggerlo come persona, renderlo un politico fallito e un essere umano abietto. Cummings è convinto che buona parte di questo lavoro di distruzione sia fatto direttamente da Johnson, come dimostra il fatto che il premier sia finito in maniera tanto leggera e quasi stupida dentro a uno scandalo che poteva essere fermato o almeno contenuto fin dall’inizio. Ma quando l’inerzia declinante di Johnson rallenta, Cummings interviene. Spietato e con le prove, quindi imbattibile. Lo ha fatto lunedì dicendo tutto quello che sa della festa a Downing Street del 20 maggio del 2020, quella in cui furono invitate un centinaio di persone che dovevano portarsi da casa l’alcol da bere. 

 

L’ex consigliere ha scritto la sua versione sul party a Downing Street: il premier “ha mentito al Parlamento”

 

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Cosa accadeva nel Regno Unito il 20 maggio del 2020? I negozi non essenziali erano chiusi, i pub anche, gli alberghi e i ristoranti pure e non si potevano incontrare al chiuso persone al di fuori del proprio ristretto nucleo familiare. Sette giorni prima, il 13 maggio, c’era stato il primo allentamento del lockdown: due persone non congiunte potevano incontrarsi all’aperto mantenendo una distanza di sicurezza di due metri. Poiché c’era un tempo meraviglioso nel Regno Unito, le autorità continuavano a ripetere “stay alert”, non abbassate la guardia, non fatevi prendere dalla primavera: siamo ancora in lockdown. La famigerata “regola delle sei persone” che avrebbe fatto discutere tutta Europa (era il numero massimo consentito agli assembramenti) sarebbe stata introdotta quasi un mese dopo. Nei due giorni successivi alla festa, il 22 maggio del 2020, sarebbe uscito il primo resoconto della violazione del lockdown da parte dello stesso Cummings, il quale era stato visto il 31 marzo a Durham,  lontano dalla sua casa di Londra e probabilmente già positivo al coronavirus. Cummings aveva violato le regole del lockdown: ci fu un gran clamore, Johnson lo difese, Cummings fece una conferenza stampa  poco convincente, ma aveva il capo dalla sua parte e per questo si sentiva, a ragione, salvo.  Il 20 maggio del 2020 quindi, secondo la ricostruzione fornita da Cummings, il segretario dell’ufficio del premier Martin Reynolds mandò la famosa email d’invito a prendersi qualcosa da bere nel giardino di Downing Street (“socially distanced drinks”) portandosi ognuno il proprio drink (“bring your own booze”). Cummings e un altro funzionario del palazzo dissero a Reynolds che non era una buona idea e che anzi era contro le regole. Ma Reynolds gli disse che invece l’idea era ottima e che ne aveva parlato con il primo ministro, il quale era d’accordo. “Dissi al primo ministro qualcosa come: Martin ha invitato tutto il palazzo a una festa, e di questo voglio parlare, del fatto che devi prendere le redini di questo manicomio. Il primo ministro mi ignorò”, ha scritto Cummings sul suo Substack. 

 

L’obiettivo di Cummings non è soltanto politico: vuole minare la credibilità morale del primo ministro

 

La settimana scorsa Johnson è andato ai Comuni, ha ammesso di aver partecipato alla festa, si è scusato e ha detto: “Andai in giardino dopo le diciotto il 20 maggio per ringraziare molti del mio staff prima di tornare, 25 minuti dopo, a lavorare. Ero implicitamente convinto che si trattasse di un incontro di lavoro. Con il senno di poi, avrei dovuto dire a tutti di rientrare e avrei dovuto trovare un altro modo per ringraziarli tutti”. Dopo le rivelazioni di Cummings, l’ufficio del premier ha ribadito: “Non è vero che il primo ministro era stato avvertito dell’evento in anticipo. Come ha detto, era implicitamente convinto che si trattasse di un incontro di lavoro”.  Gli esperti di diritto dicono che “implicitamente” è la parola chiave della difesa del premier, cioè che lui non sapesse niente della preparazione della festa e che abbia realizzato soltanto dopo che non si trattava di un incontro di lavoro. Cummings sfascia l’implicitamente e pure tutto il resto: “I fatti del 20 maggio soltanto, senza considerare tutti gli altri, mostrano che il primo ministro ha mentito al Parlamento riguardo alle feste. Non soltanto io ma altri testimoni oculari che discussero questa faccenda allora possono dichiarare sotto giuramento che questo è quel che è accaduto”. Non è la mia parola contro la tua: chiamate qualcun altro a testimoniare e avrete le prove. C’è almeno un altro funzionario che aveva scritto a Reynolds che l’idea della festa era una scemenza, ma la sua identità non è pubblica, così come non è chiaro se questo funzionario e lo stesso Cummings saranno chiamati a testimoniare nell’inchiesta sul partygate. Al momento l’ex consigliere non ha mostrato prove, ma molti sono convinti che è meglio non verificare troppo: se non è questa festa, sarà un’altra, per esempio quella che si è tenuta la sera in cui Cummings è stato cacciato da Downing Street con il suo scatolone tra le mani, il 13 novembre del 2020 –   il bottino di informazioni sensibili in possesso di Cummings è enorme, e inestimabile.

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Si fermerà a un certo punto? Alcuni accarezzano l’idea del bluff ma uno che lo conosce dice: mai


Quando Boris Johnson divenne premier, tre anni dopo il referendum sulla Brexit, portò Dom Cummings a Downing Street con sé e gli lasciò introdurre quella che Jim Pickard e George Parker sul Financial Times definiscono “la strategia non si fanno prigionieri”: per quanto Cummings teorizzi la sublimazione della guerra senza battaglie, è un gran guerrafondaio che ama gettarsi nella mischia appena possibile. Gli aneddoti e pettegolezzi sulla sua brutalità nel trattare le persone, nel riorganizzare l’ufficio del premier, nel punire gli infedeli della Brexit sono  un pezzo rilevante delle leggende politiche inglesi. Tanto che a lui è stata anche spesso accreditata la gran vittoria dei conservatori alle elezioni del 2019, quando invece pare che Cummings fosse stato messo un po’ in disparte. Erano iniziati i dissapori con la fidanzata di Johnson, Carrie Symonds, che sono poi diventati decisivi nel determinare la dipartita di Cummings. Non si sa se sia stato lui o lei a porre la questione fatale a Johnson: devi scegliere tra noi due, si sa però che il premier ha scelto la sua fidanzata e questo spiega  perché l’istinto vendicativo dell’ex si riversi spesso sulla Symonds. Il rapporto tra Cummings e Johnson è stato più volte decifrato e raccontato: l’ideologo determinato che lavorava alla Brexit dall’inizio degli anni Duemila incontra il politico furbo e spericolato che fa di una battaglia di cui non gli importava granché il game changer della sua carriera. E’ chiaro che il politico deve molto, in termini pratici, all’ideologo ed è chiaro che questo disequilibrio deve essere risultato parecchio fastidioso a Carrie e a tutti quelli che dicevano a Johnson: il capo qui sei tu. 

 

Rishi Sunak è l’anti Boris perfetto e la via per Cummings di tornare al potere: gli ha già fatto un favore


Comunque sia andata, al netto dei pettegolezzi che in questa storia fanno moltissimo, Cummings è uscito da Downing Street con tutto il materiale necessario per lavorare al suo nuovo progetto: destituire Boris Johnson. Potrebbe avere anche trovato un alleato nel cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak, che in questi giorni di scandali e di richieste di dimissioni da parte di molti conservatori nei confronti di Johnson ha adottato la strategia del sommergibile. Si fa vedere poco, commenta in modo vago, non prende né le distanze né le difese del suo capo. A guardarlo con gli occhi di Cummings, che probabilmente non sono quelli più lucidi per osservare quel che sta accadendo, Sunak è l’uomo perfetto: apparenza mite, grande empatia, ricco di famiglia (la moglie), nessuno scheletro nell’armadio (per quanto ne sappiamo), il cancelliere dello Scacchiere sembra disegnato apposta per essere l’anti Boris, nonché una via diretta per Cummings per tornare al potere. Secondo i grandi sostenitori dell’asse Cummings-Sunak, il piano è nato quando il primo ha fatto di tutto per costringere l’allora cancelliere dello Scacchiere Sajid Javid alle dimissioni e sostituirlo con Sunak. In questo modo, e questo è Cummings in purezza, Sunak gli è già debitore. I più originali azzardano un’ipotesi: e se fosse tutto un bluff? Se Cummings fosse riuscito a costruire la sua immagine di metodico vendicativo con la stessa precisione con cui ha costruito la campagna pro Brexit cioè basandosi sulle bugie? Alcuni accarezzano questa ipotesi con grandi speranze: un ex mitomane è pericoloso sì, ma mai come un ex con gli screenshot. Molti altri ghiacciano subito gli entusiasmi: Cummings è incendiario, il fuoco lo appicca in ogni caso. Uno che lo conosce ha detto al Guardian: “Non fanno che chiedermi: quando si fermerà Cummings? E io ho sempre la stessa risposta: mai”.

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