In America

Perché l'inchiesta sull'assalto a Capitol Hill non è in prima pagina?

Paola Peduzzi

Liz Cheney legge in aula i messaggi di Donald Jr del 6 gennaio. Gli sms mostrano che i trumpiani sapevano che stava accadendo una cosa grave ma Trump li ha ignorati. C'è un grande allarme sugli effetti a lungo periodo di quell'evento, ma si cerca comunque la normalizzazione

Liz Cheney ha letto i messaggi arrivati a Mark Meadows con voce lenta e sguardo sofferto: non c’è senso di rivalsa né compiacimento nello scoprire l’entità del danno che Donald Trump ha fatto alla democrazia e alla coscienza americana. Cheney è la deputata repubblicana che vicepresiede la commissione d’inchiesta sul 6 gennaio, giorno dell’assalto al Congresso: era il numero tre del Partito, ma i trumpiani l’hanno fatta fuori perché, per il coinvolgimento di Trump nei fatti del 6 gennaio, lei ha votato a favore del (secondo) impeachment.

 

Meadows è l’ultimo chief of staff di Trump, ha collaborato con la commissione fornendo moltissimi suoi documenti, forse spaventato dalla condanna per Steve Bannon, ex superconsigliere di Trump, poi si è tirato indietro e non collabora più, forse spaventato dalle minacce del suo ex capo,  (deciderà il procuratore generale del suo destino giudiziario), va in tv e dice che questa commissione vuole soltanto abbattere Trump, ma intanto i suoi messaggi e le sue email sono state valutate dalla commissione.

  

La Cheney ha letto ad alta voce gli sms arrivati a Meadows il 6 gennaio: Donald Jr, figlio di Trump, scrive al chief of staff che suo padre “deve condannare questa merda il prima possibile. C’è bisogno di un discorso dallo Studio ovale, deve mostrare leadership: le cose sono andate oltre e sono fuori controllo”. Sean Hannity, superstar di Fox News trumpianissimo, scrive a Meadows: “Può fare una dichiarazione pubblica? Deve dire alla gente di andarsene da Capitol Hill”.  Anche Laura Ingraham, conduttrice di Fox News, scrive a Meadows: “Ehi Mark, il presidente deve dire alla gente a Capitol Hill di andare a casa, questa cosa fa male a tutti, e lui così distrugge la sua eredità politica”.

  

La Cheney ha letto altri messaggi, e moltissimi sono nei documenti consegnati in quei pochi giorni di collaborazione di Meadows. Mostrano due cose: i trumpiani si sono accorti della gravità di quel che stava accadendo al Congresso ma Trump ha deliberatamente ignorato i consigli e l’assunzione di responsabilità, ha lasciato che si compisse lo scempio dentro al Campidoglio, e poi quando i deputati e i senatori hanno ripreso il controllo e hanno sancito ufficialmente l’elezione di Joe Biden, Trump ha iniziato con la teoria del complotto della “grande bugia”. Allora, un po’ lo choc un po’ la presunzione che uscito dalla Casa Bianca Donald Trump non avrebbe più potuto nuocere così tanto all’America fecero sì che entrambi quegli atti, l’eversione e la grande bugia, restassero impuniti e che il coinvolgimento diretto di Trump non fosse provato.

   

Ora, a distanza di quasi un anno, si vedono gli effetti di quel condono. Il trattamento della vicenda stessa mostra una divisione: se segui i lavori della commissione, sei di sinistra e vuoi che Trump scompaia dalla faccia della terra; se non li segui, sei un conservatore trumpiano che crede alla caccia alle streghe e ai complottismi dell’ex presidente. Due ossessioni non fanno un progresso, ma certo è che si è messo in atto un processo di normalizzazione del 6 gennaio, forse nella speranza di poter mettere tra parentesi il mandato di Trump, che fa sì che oggi si pensi di poter trattare un grave attacco contro la democrazia americana come un episodio di una presidenza anomala.

   

Dal 6 gennaio sono scaturiti molti altri fatti che stanno avvelenando il discorso pubblico americano (oltre che rallentare la gestione della pandemia), ma l’allarmismo è sempre giudicato eccessivo o partigiano. Edward-Isaac Dovere della Cnn ha scritto un articolo il cui titolo e senso dicono molto: “I governatori democratici sono preoccupati per le minacce alla democrazia, ma non pensano che questa possa essere un messaggio vincente per il 2022”.

  

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi