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Il discorso a Sochi

L’enormità delle parole pronunciate da Vladimir Putin sulla cancel culture

Giuliano Ferrara

Il presidente russo ridicolizza gender theory e cancel culture. Nel suo recente passato la Russia ha sperimentato il pericolo del pensiero unico, per questo il suo discorso colpisce il doppio. Ed è un altro segno di debolezza e decrepitudine delle nostre pretese occidentali di giovinezza morale

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Tra le mie specialità non c’è il moralismo, quindi se è diventato molto ricco o si tratta molto bene buon per lui, visto che ha fatto qualcosa di importante dando corpo a una classe media e ordine a una nazione sconvolta dalla rivoluzione antisovietica e dal suo esito oligarchico. Vladimir Putin è certamente il simbolo di un metodo di governo che purtroppo piace perché è pessimo, procede al netto risparmio delle libertà politiche e civili, limita fino a soffocarla la libera espressione della stampa e della società, offende in modo scabroso i diritti con un uso obliquo della forza, ribadisce e amplifica perfino i tratti di conformismo e sottomissione dell’homo sovieticus. Detto questo di un avversario molto speciale, pronto a darci il gas di cui abbiamo bisogno, esigente nelle contropartite, espansionista nel suo raggio di interessi euroasiatici e impiccione nella guerriglia cibernetica eccetera (un eccetera gigantesco e molesto), detto questo occorre osservare che è un ideologo per niente sprovveduto.

 

Il testo del suo discorso tenuto a Sochi giovedì scorso è impressionante. Non fumigavano gli incensi del cesaropapismo, come quando il capo della Russia si sposa alla sua chiesa autocefala ortodossa e si consacra ritualmente al cuore immacolato di Maria, uno spettacolino stucchevole e un già visto, e il tono era anzi condiscendente e prudente. Putin avverte che sui criteri di vita e di cultura dell’occidente non vuole immischiarsi, ciascuno fa quel che vuole e può, ma non intende importare né il modello della gender culture né il suo complemento generale, che è la cancel culture. Qui diventa naturalmente e spontaneamente efficace, si deve riconoscerlo, e annette al regime cui presiede il tesoretto prezioso della considerazione per la storia, più ancora che per la tradizione, e una certa linearità di ragionamento che nell’occidente di oggi fa scandalo e fa impressione. Precisa che non vuole difendere colonialismo, razzismo o sessismo, una congerie di fattori che anche per lui sono patologici, vuole soltanto spiegare la differenza tra le buone maniere di una cultura emancipata dalle sue vecchie magagne e l’etichetta obbligata di una nuova ideologia di regime.

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Quando dice al Financial Times che la democrazia liberale ha qualcosa di obsoleto, bè, è un avvertimento sinistro non del tutto privo di acume o se vogliamo di malizia. Fare attenzione, prego. Ma quando dice, come ha fatto a Sochi, che la cancel culture, con la sua pretesa di abolire il passato storico, selezionando al suo interno in modo mitico e non critico, è peggio delle gesta celebri della Commissione di agitazione e propaganda del vecchio Partito comunista dell’Unione sovietica, ecco, qui diventa esplosivo, sarcastico e ironico insieme, convincente. L’accusa alle fobie e fole contemporanee dell’occidente procede con la lucidità di un Orwell, anche se in bocca a un emulo del Grande fratello. Putin segnala che si può rivedere nella cancel culture l’opera attiva di un partito-stato e di un regime-società che detta la linea ai biologi, ai musicisti, ai letterati e ai poeti. In un timbro di voce posato e sornione, dice cose che suonano enormi ai nostri orecchi, anche e sopra tutto perché dette da lui, da un erede di Stalin.


Il padrone del Cremlino, dalle cui stanze fu ordinata o riordinata la struttura di ogni biblioteca e la sceneggiatura di ogni storia ufficiale, non capisce o affetta di non capire come sia possibile fare le bucce a Shakespeare per ragioni di incompatibilità imposte dal correttismo politico contemporaneo. Ma non si limita a sbeffeggiare la pretesa di riscrivere il Bardo travolgendo la genialità e l’universalità della tradizione classica. Mette avanti con moderazione, come un dato ovvio di conservazione di un antico costume e criterio di vita, la famiglia cosiddetta naturale, e poi arriva l’affondo contro il modernismo postavanguardistico: insegnare a un bambino che si può e si deve ricercare la propria identità di genere liberamente, al di fuori di un controllo famigliare repressivo, è più o meno un crimine contro l’umanità. genitore 1 e 2 sono termini privi di senso se comparati a padre e madre.

 

Sono cose che abbiamo ascoltato e condiviso in bocca a papi, quando facevano il loro sporco mestiere, e ad anime libere in diversi campi, maschi e femmine, conservatori e innovatori. Ma dette da Putin con modi irridenti, dette da uno che siede su quel che fu il trono colossale del conformismo ideologico di stato, e dette come rivendicazione di autonomia strategica della Russia postcomunista da un occidente che tradisce il meglio di sé stesso, sono altrettanti segni di debolezza e di decrepitudine delle nostre pretese di giovinezza morale. Come scava la vecchia talpa.

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