EPA/Sem van der Wal

Stallo di governo

Cosa vuole Sigrid Kaag, l'ex ministra che inguaia l'olandese Rutte

Francesco Gottardi

Le dimissioni tattiche della leader di D66, in seguito alla gestione della crisi afghana, hanno scombussolato l’esecutivo. Il premier prova a risolvere tutto con un weekend in campagna: Kaag prende tempo e detta le condizioni

E’ una partita a scacchi lunga almeno sei mesi, quella tra Mark Rutte e Sigrid Kaag. L’ultima a muovere è stata la leader del partito liberale D66, fino a mercoledì scorso anche ministro degli Esteri all’interno della fragile coalizione attorno al “premier teflon” dei Paesi Bassi. Poi le dimissioni: la camera bassa del Parlamento approva una mozione di censura contro il governo per la discussa gestione delle evacuazioni dall’Afghanistan, Kaag lascia l’incarico. E rischia di scatenare l’effetto domino sull’esecutivo, perché due giorni dopo si dimette anche la democristiana Ank Bijleveld, ministro della Difesa dal 2017, tra i più longevi del governo Rutte.

 

Finora tutto questo non prospetta elezioni anticipate. Il sistema democratico olandese è sufficientemente elastico e incline ai rimpasti, con equilibri variabili dall’interno. Kaag, più tattica che rottamatrice, lo sa bene. E si è vista forzata a fare un passo indietro: era stata lei stessa a presentare una mozione di censura nei confronti di Rutte, lo scorso aprile, in seguito all’opaca gestione dei negoziati per il nuovo esecutivo. “La mia fiducia nel premier è gravemente danneggiata”, disse allora la leader di D66: “Nel suo caso mi sarei dimessa”.

Dunque oggi era questione di coerenza – niente più: questo istituto parlamentare è una specie di ‘cartellino giallo’ non vincolante – e memoria politica. Oltre i giochi di palazzo: per Kaag il ministero degli Esteri – già una fugace presenza ad interim nel 2018 – rappresenta il coronamento di un lungo cursus honorum diplomatico, passato per il World economic forum e le missioni Onu in medio oriente, la sua seconda terra. Facile allora intravedere lo smacco: “Durante la caotica evacuazione dall’Afghanistan molte cose sono andate storte”, ha riconosciuto il ministro, che pure aveva dovuto fare i conti con l’ostile reazione degli olandesi ai centri di accoglienza per rifugiati – a fine agosto, nei dintorni di Utrecht, fu necessario l’intervento delle forze dell’ordine. E a nulla sono valsi i 10 milioni di euro stanziati dai Paesi Bassi per l’Afghanistan Humanitarian Fund: circa un sesto della cifra promessa dagli Stati Uniti, ma con meno di un ventesimo del pil.

 

Così la carta delle dimissioni vale doppio: Kaag è l’unico ministro degli Esteri nell’Unione europea a pagare per la crisi afghana. Una scelta ammirata, negli ambienti dei Democraten 66. E potrebbe garantire un ritorno anche fra l’elettorato. Del resto, sull’immagine della leader integerrima all’interno dell’Olanda traffichina sta spingendo Kaag in persona: “Trovo democraticamente impuro e poco credibile dibattere su un bilancio a cui ho contribuito come ministro”, ha twittato ieri, annunciando che per il Budget day di giovedì sarà Rob Jetten il presidente ad interim alla camera per conto di D66.

E il governo? Ora la grande incognita è capire cosa succederà attorno a Rutte. Dopo il dietrofront dei due ministri il premier ha smorzato i toni, minimizzando all’inverosimile: “I rapporti tra me e Sigrid Kaag sono molto migliorati. Anche se nelle ultime settimane c’è stata qualche seccatura”. Fra le righe, c’era un invito alla tenuta di De Zwaluwenberg: un cottage nei dintorni di Hilversum già teatro di delicati incontri della classe dirigente olandese. E arriviamo al weekend, le prove per un nuovo triumvirato tra i leader dei principali partiti di governo: Rutte, Kaag e il democristiano Wopke Hoekstra, ex ministro delle Finanze. Ma oltre alla distensione bucolica e al bon ton di circostanza, l’incontro si è risolto in un nulla di fatto. La situazione resterà in standby almeno per una settimana. E mentre Rutte continua a parlare di “atmosfera eccellente”, il mediatore del meeting Johan Remkes ha ammesso che “le dimissioni di Kaag e Bijleveld hanno causato molto dolore politico: non siamo sicuri che le parti vogliano continuare insieme”.

Per questo la posizione più comoda è quella di Kaag: senza più cariche, uscita dall’esecutivo con stile e con potere contrattuale per definire le condizioni future. Se si andrà avanti con un rimpasto, i D66 otterranno più spazio all’Aia. Se invece sarà stallo a oltranza, si potrebbe arrivare allo scenario più improbabile: l’ultima volta le urne sorrisero all’outsider. Anche oggi Sigrid conta di non farsi male.
 

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