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Vent’anni dopo l’11 settembre

Giuliano Ferrara

Al posto della rabbia e dell’orgoglio abbiamo scelto di avvilupparci in cumuli di retorica imbelle

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Questi vent’anni dall’11 settembre sono tra i peggiori vissuti dall’occidente, un viatico disperante al XXI secolo. Il Novecento fu tremendo, ma procedette infine e si concluse con la liberazione dai totalitarismi tutti in una gigantesca ondata di speranza. Ora il panorama è livido.

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Questi vent’anni dall’11 settembre sono tra i peggiori vissuti dall’occidente, un viatico disperante al XXI secolo. Il Novecento fu tremendo, ma procedette infine e si concluse con la liberazione dai totalitarismi tutti in una gigantesca ondata di speranza. Ora il panorama è livido.

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Le bande jihadiste passano da Guantánamo al governo di Kabul dopo un’epopea vittoriosa, nel disdoro senza onore dei vinti. Le donne sono escluse dallo sport e segregate nell’istruzione, sepolte nella sharia. Se manifestano, sono frustate da teologi barbuti. I giornalisti d’opposizione battuti e torturati. Centoventimila persone in fretta e furia sono state sottratte alla vendetta dei virtuisti coranici, ma ce ne sono molte di più destinate a subirla. La ripresa del terrorismo internazionale è nell’incubatrice, dopo lo spettacolo di apertura all’aeroporto della capitale afghana. Negoziare con la barbarie è la nuova necessità per chi le ha aperto le porte abbandonando il campo e una generazione di amici.

 

La Cina, in questi vent’anni, ha fatto passi da gigante sulla strada del comunismo capitalista autoritario ed espansionista. A Hong  Kong vanno in pezzi anche le reliquie di una lunga storia di democrazia postcoloniale, un paese, due sistemi. Taiwan, e sono quasi cento milioni di abitanti, è sotto pressante minaccia. L’Africa è largamente penetrata e irretita in un circuito cinese. L’intero arco del medio oriente allargato è in sfacelo, restano in piedi Israele e i suoi nemici giurati nucleari, oltre che le rovine della Siria, del Libano dei curdi mollati dopo la effimera campagna contro lo Stato islamico. Nel Mediterraneo fu breve e stolta guerra, quella sì, niente illusione di nation building, ora la Libia è mezza occupata da turchi e russi che si dividono le alleanze tribali del dopo Gheddafi. L’Iran prenucleare alimenta le divisioni dell’occidente e intimidisce con il suo modello di Repubblica islamica matrice di terrore. Sauditi ed Emirati sono quello che sono sempre stati, alleati opportunisti di necessità e d’affari che covano in seno la serpe wahabita.

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La Nato è diventata un’organizzazione buona per il coordinamento umanitario della fuga, e la Francia dichiara l’encefalogramma piatto di un pilastro dell’occidente alla mercé delle ambizioni di Erdogan e delle manipolazioni russe, tra veleni e ideologie neoautoritarie. La Crimea è di Putin. L’Ucraina geme divisa e contesa, sbeffeggiata dal capo dei nuovi oligarchi e virtualmente abbandonata a sé stessa. Un pezzo d’Europa è nelle mani di ideologie e pratiche dette democrature o democrazie illiberali. L’ubriacatura populista e il suo miglior amico, il mondo politicamente corretto, hanno fatto dell’America una esausta vittima illustre, passata da un demente golpista a un bravo tipo che si specializza nella rinuncia e nel piede di casa, con una torsione di sistema che ha annullato le grandi tradizioni dei repubblicani alla Reagan e dei democratici alla Truman, pezzi di una storia mai così lontana, dileguatasi negli ultimi due decenni.


Dopo il più grande attentato della storia dell’umanità, dopo la sfida orante e crudele contro il cuore dell’occidente e del suo modo di vita, al posto della rabbia e dell’orgoglio, al posto della costruzione di un nuovo ordine imperiale e di un primato democratico fondato su tecnologia, armi e denaro, abbiamo scelto di avvilupparci in cumuli di retorica imbelle sui diritti umani, litigando su qualche decina di migliaia di straccioni in viaggio verso il miraggio e facendo funerali ideali ai morti in mare. Pare che la democrazia non si possa esportare, ma tutto il resto è aperto all’importazione. Intanto smantelliamo le statue di Colombo e facciamo editing grottesco alla cultura di secoli, in nome del senso di colpa dell’occidente, e celebriamo, è la parola giusta, il processo agli assassini di Parigi e del Bataclan, aspettando il momento in cui avremo vergogna anche dello stato di diritto, eredità della filosofia bianca dei Lumi. Questo è lo stato delle cose nel mondo libero prosciugato dalla sua abbondanza. Chi vede altro, lo mostri.

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