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Censura in Cina

La lotta di Pechino contro la Bbc

Propaganda, censura e l’immagine che il Partito comunista cinese vuole vendere di sé al mondo

Micol Flammini

Il giornalismo internazionale che vuole raccontare la Cina è inconciliabile con la propaganda del governo. Lo scontro con Washington e Londra

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L’ente che regola l’informazione in Cina ha vietato la trasmissione dei programmi del canale televisivo Bbc World News, che già nel paese era molto limitato. Si poteva guardare soltanto in alcuni alberghi di lusso e zone  abitate da stranieri. Secondo Pechino, il canale avrebbe “violato in modo grave” le leggi sull’informazione vigenti in Cina. L’ente non dice come sarebbero state violate le regole,  ma il contenzioso tra la Cina e la Bbc va avanti da un po’. Nei giorni scorsi funzionari e media di Pechino avevano criticato le inchieste del canale britannico sullo Xinjiang, la regione abitata dalla minoranza musulmana degli uiguri  costretta in campi di rieducazione. 

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L’ente che regola l’informazione in Cina ha vietato la trasmissione dei programmi del canale televisivo Bbc World News, che già nel paese era molto limitato. Si poteva guardare soltanto in alcuni alberghi di lusso e zone  abitate da stranieri. Secondo Pechino, il canale avrebbe “violato in modo grave” le leggi sull’informazione vigenti in Cina. L’ente non dice come sarebbero state violate le regole,  ma il contenzioso tra la Cina e la Bbc va avanti da un po’. Nei giorni scorsi funzionari e media di Pechino avevano criticato le inchieste del canale britannico sullo Xinjiang, la regione abitata dalla minoranza musulmana degli uiguri  costretta in campi di rieducazione. 

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All’inizio di febbraio la Bbc aveva anche raccolto le testimonianze di ex detenuti e una guardia che avevano raccontato di stupri e torture subiti dalle donne dello Xinjiang. Il servizio  era stato molto criticato dal regime che aveva accusato già in quell’occasione la testata di non rispettare le regole dell’informazione del paese e il requisito “che le notizie devono essere vere e giuste e non danneggiare gli interessi nazionali”.  

 
La scorsa settimana l’Ofcom, il regolatore britannico delle comunicazioni, aveva deciso di sospendere la  licenza dell’emittente Cgtn, canale che fa parte della principale tv di stato cinese e che trasmetteva anche nel Regno Unito. L’Ofcom ha annunciato che, in seguito a dei controlli, era stato stabilito che la licenza era detenuta da Star China Media Limited, che non ne aveva diritto. Un portavoce del ministero degli Esteri di Pechino ha accusato Londra di aver preso una decisione che riflette “doppi standard e bullismo politico” e aveva annunciato che la Cina si riservava il diritto di dare “la risposta necessaria a salvaguardare i diritti dei media cinesi”. E la risposta è arrivata a una settimana di distanza e ha chiarito come la guerra tra Pechino e alcuni paesi occidentali corre lungo il filo del giornalismo. Il Regno Unito, così come gli Stati Uniti, è impegnato a evitare che la Cina riesca a mascherare la propaganda dietro all’informazione –  l’Amministrazione americana ha  inserito cinque media statali cinesi   nella lista delle rappresentanze di governi stranieri – mentre la Cina vuole censurare e oscurare i media che cercano di raccontare il paese, molto impegnato  a diffondere nel mondo, tramite la propaganda, un’immagine ben diversa di se stesso. Nello scontro tra i due blocchi l’informazione è diventata un aspetto fondamentale, le mosse del governo cinese contro la stampa internazionale si sono intensificate. 

  

Censura e propaganda sono i pilastri della conquista cinese della scena internazionale, sono quelli nascosti e che non si devono vedere, ma dei quali Pechino fa un uso molto ampio ed è anche pronto allo scontro con alcuni paesi. Il rapporto con l’America di Trump è stato complesso e duro, e nulla lascia presagire che con Joe Biden possano nascere tra Washington e Pechino dei rapporti più amichevoli. Il nuovo presidente ha voluto una task force del Pentagono che si occupi di Cina, sa che dovrà studiarla bene e la tratta come un sorvegliato speciale. L’approccio di Londra è lo stesso e oltre alla licenza tolta alla televisione, il vero messaggio alla Cina  il premier conservatore Boris Johnson l’ha mandato qualche settimana fa con la legge sull’immigrazione per chi possiede il British National Overseas: il passaporto dei cittadini di Hong Kong adesso dà diritto a un visto di residenza facilitato in territorio britannico. E’ un tentativo di aiutare i cittadini dell’ex colonia, dove la stretta della Cina si è intensificata, e al quale il regime ha risposto facendo leva sulla paura: se andate potreste non poter più tornare.

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