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Le storie raccontate a metà. Ecco il metodo di Xi Jinping, anche a Davos

Le contraddizioni del leader cinese nel suo discorso e l'analogia con limmagine dei "poliziotti in ginocchio" che omette il finale

Giulia Pompili

C’era molta attesa per l'intervento del leader cinese al Forum economico. Nell'ultimo, quello pronunciato durante il summit del 2017, aveva giocato la carta della globalizzazione. Ora il passo successivo è: quello occidentale non è più un modello

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L’inverno non può fermare l’arrivo della primavera e le tenebre non possono oscurare le luci dell’alba. Una delle metafore più potenti del discorso pronunciato dal presidente cinese Xi Jinping al Forum economico di Davos potrebbe averla pronunciata il nuovo presidente americano Joe Biden. L’inverno e l’oscurità contrapposte alla nuova primavera, insomma la normalizzazione, dopo quattro anni di anomalie, di divisioni, di contrapposizioni e isolazionismo. C’era molta attesa per questo discorso di Xi: l’ultimo, quello pronunciato durante il summit di Davos del 2017, era stato un discorso storico perché in quell’occasione Xi aveva giocato la carta della globalizzazione, cercando di passare come l’unico difensore del multilateralismo. All’epoca Donald Trump era appena arrivato alla Casa Bianca, e i successivi quattro anni hanno rafforzato e portato a un livello superiore la rivalità tra le prime due economie del mondo.

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L’inverno non può fermare l’arrivo della primavera e le tenebre non possono oscurare le luci dell’alba. Una delle metafore più potenti del discorso pronunciato dal presidente cinese Xi Jinping al Forum economico di Davos potrebbe averla pronunciata il nuovo presidente americano Joe Biden. L’inverno e l’oscurità contrapposte alla nuova primavera, insomma la normalizzazione, dopo quattro anni di anomalie, di divisioni, di contrapposizioni e isolazionismo. C’era molta attesa per questo discorso di Xi: l’ultimo, quello pronunciato durante il summit di Davos del 2017, era stato un discorso storico perché in quell’occasione Xi aveva giocato la carta della globalizzazione, cercando di passare come l’unico difensore del multilateralismo. All’epoca Donald Trump era appena arrivato alla Casa Bianca, e i successivi quattro anni hanno rafforzato e portato a un livello superiore la rivalità tra le prime due economie del mondo.

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Anche quattro anni fa Xi, che oggi è un leader sempre più potente, sia a casa sia all’estero, aveva parlato dell’importanza dell’internazionalismo, spiegando, tra le righe, che era arrivato il momento in cui le regole non erano più necessariamente dettate dal più forte, e cioè l’America. Ieri il presidente cinese ha ribadito il concetto: “Il paese più forte non dovrebbe fare il prepotente con quello più debole. Le decisioni non dovrebbero essere prese semplicemente mostrando i muscoli o agitando i pugni. Il multilateralismo non dovrebbe essere usato come pretesto per atti di unilateralismo”. Ma dopo quattro anni di quella che i funzionari cinesi chiamano la “mentalità da Guerra fredda”, Xi aggiunge al discorso del 2017 alcuni pezzetti del puzzle, un messaggio ovviamente all’America: il “pregiudizio ideologico” va abbandonato; noi non ci intromettiamo negli affari degli altri e gli altri non devono intromettersi nei nostri; noi facciamo le nostre regole per il “benessere globale” e promuoviamo un “nuovo tipo di relazioni internazionali”, “l’antagonismo sotto forma di Guerra fredda o di Guerra calda, di guerra commerciale o tecnologica, alla fine danneggia il benessere di tutti”. 


Le contraddizioni dentro al discorso di Xi a Davos sono diverse e macroscopiche: da anni la Cina si muove nel campo dell’interesse specifico e non dell’interesse collettivo, ritiene importanti i tavoli internazionali solo quando il suo peso politico è determinante, la guerra commerciale è un’arma usata di frequente per risolvere dispute politiche, la violazione dello stato di diritto e dei diritti umani universali è implicitamente subordinata all’espressione chiave della politica di Pechino: il “benessere collettivo”. Ma il messaggio più importante è soprattutto uno, e cioè che la superiorità del modello americano è un pensiero obsoleto, che appartiene al passato. Come il discorso di Xi Jinping, che ascoltato da solo potrebbe far pensare a una nuova Cina aperta davvero al mondo, così la propaganda cinese sui social network è molto istruttiva su questo: basta fermarsi a un certo punto della narrazione per mandare il messaggio che vuole Pechino. Il messaggio è: voi pensate di essere superiori, ma non lo siete. 

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L’altro ieri sui social cinesi è diventata virale un’immaginetta composta da due fotografie. La prima foto è stata scattata venerdì scorso a  Kunming, la capitale della provincia dello Yunnan: un uomo ha preso in ostaggio uno studente e si è seduto tenendo stretto il ragazzino, con un coltello in mano, all’angolo del cancello della scuola. Lo spaventoso standoff è andato avanti per un’ora e mezza, e l’immagine circolata  online era quella di un poliziotto che a un certo punto si è inginocchiato davanti al sequestratore chiedendo di scambiarlo come ostaggio al posto del ragazzino. La fotografia del poliziotto in ginocchio con le mani alzate è stata messa accanto a quella  dell’agente di polizia americano Derek Chauvin che tiene immobilizzato George Floyd con il ginocchio sul collo. Il titolo dell’immagine è: “Poliziotti in ginocchio”. Quello che però la narrazione cinese ha omesso di dire è che poi la polizia ha sparato in testa al sequestratore, liberando finalmente il ragazzino.

 

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La propaganda cinese funziona in questo modo: fermarsi al racconto fin dove è più conveniente. Una cosa molto simile sta accadendo con i vaccini. Da quando la comunità scientifica internazionale chiede alla Cina di adeguare i propri standard di trasparenza anche ai vaccini cinesi – per esempio quello dell’azienda Sinovac – la propaganda cinese, perfino quella istituzionale, sta diffondendo dubbi sulla sicurezza dei vaccini prodotti da aziende occidentali e chiede un’indagine dell’Organizzazione mondiale della sanità non a Wuhan, ma in un laboratorio di armi biologiche nel Maryland. E’ anche così che il sentimento anti americano monta in Cina, si nutre di narrazioni a metà e cerca di convincere il resto del mondo del fallimento del modello americano. Anche a Davos.

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