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Il tocco americano sul voto in Israele: contro Netanyahu arriva il Lincoln project

Micol Flammini

Gideon Sa’ar vuole trasformare le elezioni in una lotta esistenziale tra conservatori.  Ha chiamato i migliori, ma Bibi non è Trump

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Roma. La campagna elettorale per le elezioni che si terranno in Israele il 23 marzo – si vota per la quarta volta in poco meno di due anni – è un remake molto ambizioso di una sfida che abbiamo già visto animarsi negli Stati Uniti qualche mese fa. E non per similitudini tra i candidati, ma perché i due sfidanti in Israele hanno deciso di correre per questa elezione con un aiuto americano. Il leader di Nuova speranza, Gideon Sa’ar, ha reclutato i fondatori del Lincoln project, il gruppo creato da repubblicani antitrumpiani che hanno organizzato una campagna elettorale ironica e devastante contro l’ex presidente. Benjamin Netanyahu invece ha chiamato Aaron Klein, l’ex capo dell’ufficio Breitbart di Gerusalemme e collaboratore di Steve Bannon durante la campagna di Trump nel 2016. La Knesset, il parlamento israeliano, è stato dissolto a fine dicembre. A lasciar venire giù un governo pieno di discordie è  stato il vicepremier e ministro della Difesa Benny Gantz che, dopo aver rappresentato per tre tornate elettorali il rivale numero uno di Netanyahu, questa volta avrà una parte marginale. Per le elezioni di marzo, lo sfidante  di Bibi sarà Sa’ar, che rispetto a Gantz, ha un obiettivo in più. Non vuole soltanto diventare  premier, ma vuole strappare a Netanyahu il Likud, il partito, che fino a pochi mesi fa era  anche il suo. 

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Roma. La campagna elettorale per le elezioni che si terranno in Israele il 23 marzo – si vota per la quarta volta in poco meno di due anni – è un remake molto ambizioso di una sfida che abbiamo già visto animarsi negli Stati Uniti qualche mese fa. E non per similitudini tra i candidati, ma perché i due sfidanti in Israele hanno deciso di correre per questa elezione con un aiuto americano. Il leader di Nuova speranza, Gideon Sa’ar, ha reclutato i fondatori del Lincoln project, il gruppo creato da repubblicani antitrumpiani che hanno organizzato una campagna elettorale ironica e devastante contro l’ex presidente. Benjamin Netanyahu invece ha chiamato Aaron Klein, l’ex capo dell’ufficio Breitbart di Gerusalemme e collaboratore di Steve Bannon durante la campagna di Trump nel 2016. La Knesset, il parlamento israeliano, è stato dissolto a fine dicembre. A lasciar venire giù un governo pieno di discordie è  stato il vicepremier e ministro della Difesa Benny Gantz che, dopo aver rappresentato per tre tornate elettorali il rivale numero uno di Netanyahu, questa volta avrà una parte marginale. Per le elezioni di marzo, lo sfidante  di Bibi sarà Sa’ar, che rispetto a Gantz, ha un obiettivo in più. Non vuole soltanto diventare  premier, ma vuole strappare a Netanyahu il Likud, il partito, che fino a pochi mesi fa era  anche il suo. 

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Sa’ar ha abbandonato il Likud in polemica con la leadership di Netanyahu  e anche con le sue politiche, giudicate  troppo centriste per una parte del Likud. Nuova speranza, il partito di Sa’ar fondato poco prima che la Knesset fosse dissolta, vuole essere un’alternativa conservatrice al Likud e per togliere elettori a Netanyahu ha deciso di ingaggiare i migliori, i più esperti nelle lotte partitiche fratricide. Il Lincoln project è fatto da repubblicani che volevano liberarsi di Trump, “siamo conservatori”, rivendicavano, e accusavano l’ex presidente di avere fatto a brandelli la tradizione del partito, fatta di rigore e di responsabilità morali. Sa’ar ha visto in quel progetto il suo e così ha invitato Steve Schmidt, Rick Wilson, Stuart Stevens e Reed Galen in Israele. Vuole spingere gli elettori del Likud lontano da Netanyahu, ma l’operazione non è semplice perché Netanyahu non è Donald Trump e,  per quanto sia riuscito a mangiarsi il Likud, che esiste solo in quanto riflesso del suo leader, non ne ha tradito i princìpi o i valori. Netanyahu è un personaggio controverso, incriminato per corruzione, la sua sopravvivenza legale è legata a quella politica. Ma Netanyahu, premier dal 2009, ha anche determinato le sorti della sua nazione  in modo positivo in termini di sicurezza e di crescita economica. Se all’inizio della pandemia, la sua gestione non era stata delle migliori  è stato però in grado di organizzare la miglior campagna di vaccinazione al mondo. Già il venti per cento degli israeliani è stato vaccinato e  Netanyahu vanta anche il sostegno di Albert Bourla, ceo di Pfizer, nato a Salonicco e di origine ebraica. Tra i due c’è un ottimo rapporto: “Mi ha detto che tiene in grande considerazione lo sviluppo delle relazioni tra la Grecia e Israele, che ho guidato negli ultimi anni”, ha detto il premier. 

 

Netanyahu corre veloce, finora ha messo a terra  tutti i suoi avversari, e lo ha fatto anche accumulando conquiste importanti, da ultimo gli accordi di pace impensabili tra Israele e alcuni paesi arabi. Anche con un’arma come il Lincoln project dalla sua, per Sa’ar sarà difficile spogliare Netanyahu di tutti i suoi risultati. Tanto più che il premier ha deciso di giocare alla pari e di usare i metodi di Breitbart. 

 

C’è un po’ d’America in questa campagna elettorale israeliana che si porta dietro gli echi e i toni delle lotte esistenziali  dentro a un partito e i riverberi internazionali del trumpismo. Gli effetti del Lincoln project  ancora non si vedono, il gruppo deve prima adattarsi alla realtà di Israele, ma intanto i sondaggi dicono la loro: 15 seggi a Nuova speranza, 30 al Likud. 

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