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Parla la "Iron Lady di Hong Kong"

La guerra di Pechino alla democrazia

Ancora arresti di massa a Hong Kong, questa volta per aver organizzato le primarie legislative. L'Ue si interroga sul suo accordo commerciale con la Cina

Giulia Pompili

Mille agenti di polizia per arrestare cinquantatré persone tra ex parlamentari e attivisti, tutte legate al movimento democratico dell'ex colonia inglese. "Cosa c'è di sbagliato in una manifestazione così democratica? Come può la scelta della popolazione essere una minaccia alla sicurezza nazionale?” dice al Foglio Emily Lau

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Mercoledì mattina mille agenti di polizia sono stati mobilitati a Hong Kong per arrestare cinquantatré persone tra ex parlamentari e attivisti, tutte legate al movimento democratico dell'ex colonia inglese. E' la più estesa operazione di polizia da quando è entrata in vigore il 30 giugno scorso la controversa legge sulla Sicurezza imposta da Pechino. Tra le persone fermate ci sono almeno tredici ex parlamentari del Consiglio legislativo di Hong Kong e numerosi attivisti. Per la prima volta c'è uno straniero: il cittadino americano John Clancey, avvocato per i diritti umani e residente a Hong Kong. Il suo studio legale Ho Tse Wai & Partners è stato perquisito dalla polizia. E' tra gli arrestati anche Benny Tai, giurista e fondatore del movimento degli Ombrelli nel 2014: è stato lui, ad aprile scorso, a firmare un editoriale sull'Apple Daily  (giornale il cui editore è Jimmy Lai, anche lui in carcere in attesa di processo) per spiegare ai cittadini la road map del movimento democratico: arrivare almeno a 35 membri del Consiglio legislativo, regolarmente eletti, e poi bloccare nel 2021 il budget del governo autonomo di Hong Kong guidato dalla chief executive Carrie Lam, costringendola alle dimissioni (anche la redazione dell'Apple Daily è stata per l'ennesima volta perquisita). Gli attivisti democratici sono accusati di “sovversione dei poteri dello Stato”, in base all'articolo 22 della legge sulla Sicurezza, per aver organizzato e partecipato alle primarie legislative lo scorso luglio – il primo passo immaginato da Benny Tai. Gli attivisti avevano portato a votare più di seicentomila cittadini di Hong Kong in un'operazione che aveva avuto grande eco sulla stampa internazionale. E che aveva naturalmente anche provocato la reazione di Pechino ("Sono illegali"). 

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Mercoledì mattina mille agenti di polizia sono stati mobilitati a Hong Kong per arrestare cinquantatré persone tra ex parlamentari e attivisti, tutte legate al movimento democratico dell'ex colonia inglese. E' la più estesa operazione di polizia da quando è entrata in vigore il 30 giugno scorso la controversa legge sulla Sicurezza imposta da Pechino. Tra le persone fermate ci sono almeno tredici ex parlamentari del Consiglio legislativo di Hong Kong e numerosi attivisti. Per la prima volta c'è uno straniero: il cittadino americano John Clancey, avvocato per i diritti umani e residente a Hong Kong. Il suo studio legale Ho Tse Wai & Partners è stato perquisito dalla polizia. E' tra gli arrestati anche Benny Tai, giurista e fondatore del movimento degli Ombrelli nel 2014: è stato lui, ad aprile scorso, a firmare un editoriale sull'Apple Daily  (giornale il cui editore è Jimmy Lai, anche lui in carcere in attesa di processo) per spiegare ai cittadini la road map del movimento democratico: arrivare almeno a 35 membri del Consiglio legislativo, regolarmente eletti, e poi bloccare nel 2021 il budget del governo autonomo di Hong Kong guidato dalla chief executive Carrie Lam, costringendola alle dimissioni (anche la redazione dell'Apple Daily è stata per l'ennesima volta perquisita). Gli attivisti democratici sono accusati di “sovversione dei poteri dello Stato”, in base all'articolo 22 della legge sulla Sicurezza, per aver organizzato e partecipato alle primarie legislative lo scorso luglio – il primo passo immaginato da Benny Tai. Gli attivisti avevano portato a votare più di seicentomila cittadini di Hong Kong in un'operazione che aveva avuto grande eco sulla stampa internazionale. E che aveva naturalmente anche provocato la reazione di Pechino ("Sono illegali"). 

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In una conferenza stampa tenuta dopo gli arresti e numerose perquisizioni, il capo della nuova unità della polizia che si occupa della sicurezza nazionale, Steve Li, ha detto che sono state arrestate persone “coinvolte in un piano strategico e sistematico” per rovesciare il governo di Carrie Lam. Il segretario alla Sicurezza di Hong Kong, John Lee, ha detto che gli arresti sono stati “necessari”.

 

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Negli ultimi sei mesi molti attivisti sono scappati e hanno chiesto asilo all'estero, molti sono in carcere, in attesa di processo, oppure agli arresti domiciliari. Il governo centrale di Pechino ha già espresso supporto e soddisfazione per l'ennesima operazione di “sicurezza pubblica” nell'ex colonia inglese.

 

“Questa mattina i cittadini di Hong Kong si sono svegliati con una notizia scioccante”, dice al Foglio in un'intervista telefonica Emily Lau, parlamentare e presidente del Partito democratico di Hong Kong fino al 2016, “che ha fatto arrabbiare e preoccupare molte, molte persone. La gente è frustrata, non gli piace il governo locale e non si fidano, e ovviamente non si fidano nemmeno di Pechino. Queste cinquantatré persone sono state arrestate perché hanno organizzato le primarie legislative. Cosa c'è di sbagliato in una manifestazione così democratica? Come può la scelta della popolazione essere una minaccia alla sicurezza nazionale?”. Emily Lau, 69 anni, è una delle voci più importanti del movimento democratico di Hong Kong. Da giornalista del South China Morning Post divenne famosa nel 1984, quando fece la domanda più scomoda all'allora primo ministro inglese Margaret Thatcher. L'episodio l'ha ricordato il Nikkei a luglio, in un lungo ritratto di Lau, che in quell'occasione si guadagnò il soprannome di “Iron Lady di Hong Kong”. Durante il viaggio di stato della Thatcher nella colonia inglese, in una conferenza stampa Lau fece una domanda destinata a fare la storia: “Primo ministro, due giorni fa lei ha firmato un accordo con la Cina che promette di consegnare oltre cinque milioni di persone nelle mani di una dittatura comunista. Questo è moralmente difendibile o è proprio vero che nella politica internazionale la più alta forma di moralità è il proprio interesse nazionale?”. La Thatcher rispose che tutti erano contenti dell'handover, e che forse solo la giornalista era “la solitaria eccezione”.

 

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“Credo che la comunità internazionale debba parlare più esplicitamente con la Cina”, dice ancora Emily Lau al Foglio, “e spiegargli che è nell'interesse della Cina stessa che le persone a Hong Kong siano al sicuro e libere e che lo stato di diritto venga rispettato. Perché solo così potrà continuare a essere quella vibrante economia che è stata finora”. Secondo Lau si può essere più convincenti nell'esprimersi con fermezza contro le violazioni a cui si sta assistendo: “Personalmente non ho mai chiesto che i paesi stranieri fermassero il business con la Cina: io sono per la libertà di commercio”, dice Lau commentando l'accordo, i cui negoziati si sono chiusi il 31 dicembre scorso,tra l'Unione europea e la Cina: “Ma di nuovo: la comunità internazionale e specialmente l'Unione europea, composta da molti paesi che sono orgogliosi di essere campioni dei diritti umani e dello stato di diritto, dovrebbero dire alla Cina che deve rispettare i suoi cittadini. Altrimenti resta l'ipocrisia di quelle persone che chiudono un occhio e fanno finta di non vedere solo in nome del business”. Nel corso della giornata diversi esponenti di Bruxelles hanno condannato gli arresti, ma resta il problema d'immagine dell'accordo. Peter Stano, portavoce dell'Alto rappresentante Ue Josep Borrell, in conferenza stampa ha detto: "Gli arresti coordinati di più di 50 attivisti pro-democrazia è il segno che il pluralismo politico non è più tollerato ad Hong Kong. Chiediamo la liberazione immediata delle persone arrestate", mentre Eric Mamer, portavoce della Commissione, ha detto che l'accordo serve proprio a "ingaggiare una discussione con la Cina".  Molti parlamentari europei hanno chiesto ieri di rivedere l'accordo Ue-Cina, perché, come ha scritto Bernd Lange, eurodeputato tedesco che presiede il comitato parlamentare per il commercio, "queste azioni violano lo spirito del trattato tra Ue e Cina".  "Ormai la questione non riguarda più quanto la Cina persevererà nella sua eradicazione di qualsiasi voce di opposizione, ma se e quando l’Ue avrà il coraggio di opporsi con azioni concrete, per le quali ha tutti gli strumenti necessari", dice al Foglio Laura Harth, del Global Committee for the Rule of Law “Marco Pannella”, "e invece assistiamo all’errore storico dell’appeasement che proprio questo continente del 'mai più' dovrebbe saper riconoscere". 

 

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L'Amministrazione di Donald Trump ha imposto negli ultimi mesi diverse sanzioni contro funzionari di Hong Kong per la stretta repressiva, ma ha anche usato Hong Kong (e Taiwan) per ragioni politiche, in una guerra senza esclusione di colpi contro Pechino. La nuova Amministrazione Biden, tramite il futuro segretario di stato Antony Blinken, ha fatto sapere via Twitter che su Hong Kong non cambierà la posizione: “Gli arresti sommari degli attivisti pro-democrazia sono un attacco contro chi divende i diritti universali. L'Amministrazione Biden-harris si schiererà con il popolo di Hong Kong e e contro il giro di vite di Pechino sulla democrazia”. Ma che cosa succederà dopo l'ennesimo colpo intimidatorio alla democrazia di Hong Kong? “Non siamo ottimisti. Siamo preparati al peggio. Ma non ci fermeremo. Sappiamo che ci sono molti altri luoghi nel mondo dove i diritti umani sono violati in modo peggiore che a Hong Kong, e siamo grati ai media e ai governi che sostengono la nostra causa nonostante il Covid-19 e altre priorità. Ma tutti devono capire che se la Cina vuole essere un membro rispettato della comunità internazionale, beh, questo non è il modo adatto”.

 

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